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Poco spazio di terra (1834) Non sì veloci su le lubrich'onde
Questo testo fa parte della raccolta Opere di Fulvio Testi

al signor

ERCOLE MOLZA

Che instabili sono le grandezze della Corte,
e che la vita privata è piena di felicità.


Gira all’Adria incostante, Ercole il ciglio,
     Che di Corte real vedrai lo stato,
     E fin che hai tempo, e che ’l permette il Fato
     4De le fortune tue prendi consiglio.
Non ti fidar di calma. In un sol giorno
     Scherza ne l’acque, e vi s’affonda il pino,
     E tal ricco di merci è sul mattino,
     8Che nudo erra la sera a i lidi intorno.
Grazia di regio cor gran lume spande,
     Ma la luce ch’apporta è poco lieta;
     E come raggio di mortal Cometa
     12Tanto minaccia più quanto è più grande.
Compagno è ’l precipizio a la salita,
     E van quasi del par ruina e volo.
     Molti gl’icari son, ma chi d’un solo
     16Dedalo i vanni in questo ciel m’addita?
Vide la Gallia i suoi Sejani, e vide
     Anco l’Iberia i suoi, ma se più presso
     Volgi lo sguardo, in questo lido istesso
     20Più d’un ve n’ha che fra suo cor non ride.
O di sincero amor e di fè rara
     Non volubile esempio, odi i miei detti,
     E del vulgo profano i bassi affetti
     24A calpestar da queste voci impara.
Non aura popolar che varia ed erra,
     Non folto stuol di servi e di clienti,
     Non gemme accolte o cumulali argenti
     28Petto mortal pon far beato in terra.
Beato è quei, che in libertà sicura
     Povero ma contento i giorni mena,
     E che fuor di speranza e fuor di pena
     32Pompe non cerca, e dignità non cura.
Pago di sè medesmo e di sua sorte
     Ei di nimica man non teme offesa,
     Senza ch’armate schiere in sua difesa
     36Stian de l’albergo a custodir le porte.
Innocente di cor, di colpe scarco,
     E non impallidisce e non paventa
     Se tuona Giove, e se saette avventa
     40Del giusto Ciel l’inevitabil arco.
Seggia chi vuol de’ sospirati onori
     Su le lubriche cime: offrirsi veggia
     Quanti colà, dove l’Idaspe ondeggia,
     44Per la spiaggia Eritrea nascon tesori.
A me conceda il faretrato Apollo,
     Che da la Corte a solitaria riva
     Io passi un giorno, e là felice i’ viva
     48Col plettro in mano e con la cetra al collo.
E poi che pieno avrà con la man cruda
     Il fuso mio l’inesorabil Cloto,
     Rustico abitator a tutti ignoto
     52Se non solo a me stesso i miei dì chiuda.

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