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In vigilia nativitatis Domini
ESSI son là, seduti in giro al verde
Tappeto; in man le carte
Ha Crispo, il baro gentiluom che perde
4Il primo giorno ad arte.
Di contro a lui Mena sbuffante e rosso
Squadra la faccia arcigna;
L’audace seduttor Celio a ridosso
8Fuma l’avana, e ghigna.
Fonde Miron la facultà sua nova,
E con gentil contegno
I baffi arriccia, e dà publica prova
12Che del suo stato è degno.
La nuova sposa intanto a un nuovo damo
Uccella, e cauta il piglia
Al cubàttolo, e aggiunge qualche ramo
16A l’alber di famiglia.
Sgrana Clodio il cisposo occhio, ed ammicca
Al sozio, chè con frasche
Accorte fra di lor Livio si ficca
20Visitator di tasche.
Nè Fulvio manca il nobile bardassa
Dal medicato crine,
Che l’oro vinto rastellando ammassa
24Con le rosee manine;
Mentre il rubesto Lio, mèsso a le strette
Per angustia del loco,
Gli si cuce a le groppe ritondette,
28Pensando a un altro gioco.
Qui il baronetto da l’ambigua razza
Pallido ride e scocca
Arguzie, ed a supplir quel che biscazza
32Altr’oro a Taide scrocca.
Bieco troneggia a canto a lui maestro
Sosia, l’ingentilito
Sensal, che perde men, benchè mal destro,
36Di quanto ha il dì rapito.
Là il vecchio Grifio da la spelacchiata
Zucca ritinta e da la
Barba verdastra la sua posta guata,
40E se perde s’ammala.
E intorno intorno, sporgendo il sembiante
Ebete, la moneta
Trepido gitta e mormora il galante
44Armento analfabeta.
Nè perchè per le folte sale prave
Stagnino l’aure, e i lumi
Rossi usurpino l’aria ultima, grave
48Di rei flati e di fumi,
O per la notte in nero agguato a l’uscio
Sotto il nevoso azzurro
Li abbranchi, ad onta del velloso guscio,
52Il frigido cimurro,
Men protraggono il ludo arduo. Non vide
La Patria, è ver, nei suoi
Trionfi e ne le sue fortune infide
56Questa matta d’eroi;
Non però de la Patria essa è men degna,
Men generosa e forte,
Se in altri campi e sotto ad altra insegna
60Sa dispregiar la morte.
Oh viva! E tu fra tanto a la gentile
Ammassa oro, e con epa
Digiuna su’l piccone e su’l badile,
64Sozza canaglia, crepa.
O, se l’ora notturna ozio concede
A le tue membra fiacche,
Corri a mugghiar del vecchio nume al piede
68Le tue preci vigliacche.
Ma non più, ma non più nascer vedrai
Su’l consueto strame
Il novo Dio: troppo ha sofferto omai
72Dal freddo e da la fame;
Troppo del Fariseo tristo il flagello
Esercitò le prone
Spalle. Ei rinasce: il mansueto agnello
76Tramutasi in leone;
E rugge e lascia il nero antro. I palagi
Tremano a’ suoi ruggiti,
E quei che nuotan fra delizie ed agi
80Guatansi inorriditi;
Guatansi. Da le rie mani a costoro
Cadono le segnate
Carte; le granfie gittano su l’oro...
84Qui, qui da le sudate
Officine, da’ campi a voi fecondi
Di triboli e di fame,
Larghi d’ozj e d’amori inverecondi
88A l’aureo vulgo infame;
Dal famelico mar, da’ covi in cui
Co’ figli e la consorte
Marcite, da le grotte ove ad altrui
92Scavate oro, a voi morte,
Qui, qui irrompete, o tristi greggie umane,
O vecchi, o spose, o madri,
O bimbi senza vesti e senza pane,
96Ai ladri, ai ladri, ai ladri!