< Gl'innamorati
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Nota storica
Atto III

NOTA STORICA

Del suo soggiorno nella Città Eterna (dicembre ’58 — luglio ’59) il Goldoni recava a Venezia ricordi tristi e lieti: la caduta della Vedova spiritosa al Tordinona, il trionfo di Pamela nubile al Capranica, la composizione della Maritata. Di più buona copia di lavori appena intravvisti dalla mobile e ferace sua fantasia; uno, tra gli altri, in versi sdruccioli, intitolato: Gli innamorati, «ridicolo e di passione» (Mantovani, C. G. e il T. di San Luca. Carteggio. Milano, 1885, p. 124, lett. da Bologna del 21 agosto 1759 al Vendramin). Per gran ventura, dopo maturo esame della materia così felicemente imaginata, la commedia, pronta secondo le Memorie (ed. Mazzoni, vol. II, p. 120) in quindici giorni, venne stesa in prosa. E in questa forma è promessa nel Monte Parnaso che preluse alle recite dell’anno comico 1759-60. In gara con le compagne Talia proverà con una commedia non «essere la prosa delle muse indegna».

               «Sarà gl’Innamorati
               Il comico soggetto,
               Che in nobil gara di propor mi avviso,
               La passione e il riso
               Dolcemente meschiando
               In comico soggetto,
               E l’utile e il diletto
               Recando ai spettatori.
               Spero trarne in merce laude e favori.

Gl’Innamorati sembrano oggi ancora il frutto più saporoso dei mesi vissuti dal poeta a Roma. Lettere, Memorie e ricerche erudite confermano concepito questo lavoro proprio colà, nella casa di quell’originalissimo abate che ospitava il poeta. Rivivono infatti in essa persone con le quali egli aveva avuto consuetudine cotidiana. Si legge nelle Memorie:

«Il titolo non prometteva niente di nuovo, perchè son poche le commedie senza amore, ma io non ne so alcuna dove gl’innamorati sieno della tempra di quelli da me impiegati nella mia; e l’amore sarebbe il più spaventevole flagello della terra, se facesse gli amanti furiosi e disgraziati come i due personaggi principali di questa. Eppure io ne conoscevo gli originali; li aveva visti a Roma; ero stato l’amico e il confidente di tutte due: testimonio della loro passione, delle loro tenerezze, spesso de’ loro accessi di furori e de’ loro ridicoli trasporti. Avevo sentito più d’una volta le loro querele, le loro grida, le loro disperazioni; avevo visto fazzoletti stracciati, vetri in frantumi, coltelli in aria. I miei innamorati eccedono, ma non sono per questo men veri; c’è più verità che verisimiglianza in questo lavoro, lo confesso; ma dietro la realtà del fatto, credetti di poterne ricavare un quadro che faceva ridere gli uni e spaventava gli altri.

In Francia un soggetto simile non sarebbe stato tollerabile; in Italia lo si trovò un po’ caricato e io intesi parecchi dei miei conoscenti vantarsi d’essersi trovati press’a poco negli stessi frangenti; non ebbi dunque torto di dipingere le pazzie dell’amore in un paese dove il clima scalda i cuori e le teste più che in nessun altro luogo» (loc. cit.).

Così il Goldoni descrive i modelli dei suoi innamorati e ne scusa gli eccessi. Non men vivo e giocondissimo è il ritratto, già prima offerto, del padron di casa, uomo assai bizzarro «ma di cuore eccellente e di sincerità senza pari». L’onore di albergare sotto il suo tetto il celebre commediografo l’aveva tanto esaltato da suggerirgli le più buffe forme d’omaggio. Lavorava in cucina egli stesso e tutti i giorni c’era un piatto per il sig. avvoc. Goldoni, fatto dalle mani del suo servitore, e nessuno poteva toccarlo senza il permesso del sig. avvocato. La figliola era un ottima cantatrice; si facevano con altre voci ancora e strumenti de’ concertini, ma sempre e tutto per il sig. avv. Goldoni. Che più? In carnovale per la corsa dei barberi quel mattacchione d’un abate al balcone donde il suo illustre ospite doveva assistere alla festa, affigge un cartello con tanto di scritta: Balcone per il sig. Avvocato Goldoni! (Mem., l. cit.). Ci voleva altro per isvegliare la scintillante vena del poeta?

Continuando le ricerche sul soggiorno del Goldoni a Roma, già bene avviate da G. Martucci (C. G. e il suo soggiorno a R., Rass. nazion., Firenze, 1 giugno 1886), l’industre Carletta (Antonio Valeri) col soccorso d’aridi documenti e della sagace sua fantasia volle identificare i principali personaggi della commedia. Ai nomi goldoniani egli sostituì senza più questi, reali: Pietro Poloni [Fabrizio], Maddalena Poloni [Eugenia], Carlo Goldoni [Flaminia], Bartolomeo Pinto [Fulgenzio], Natale Giobbe [Succianespole] (Dove abitò G. a R., Nuova Rassegna, Roma, 14 maggio 1893). I due innamorati sarebbero Maddalena Poloni e Bartolomeo Pinto, i quali si congiunsero in matrimonio il 3 giugno del 1761. Il Goldoni, secondo il Valeri, avrebbe atteso le loro nozze prima di render la commedia di pubblica ragione. Che il sempre riguardoso commediografo fosse capace anche di questo è ben possibile, ma non aveva fatto abbastanza col cambiamento di nomi e di luogo? E in quei due innamorati, crediamo, si poteano riconoscere non una, ma cento coppie della stessa tempra. Senza questo bastano le sole date ad abbattere l’ingegnoso castello eretto dal Valeri. Il quale sulla fede dell’edizione Pasquali ritenne la commedia eseguita nell’autunno del 1761. Invece, una volta tanto, hanno ragione le Memorie che anticipano di due anni la recita. Se pur non si volesse fidarsi ciecamente nelle promesse del Monte Parnaso, che in fondo poteva anche non mantenere tutto ciò che prometteva, come negar fede al prezioso Elenco delle recite al Teatro di San Luca, scovato di recente in quell’Archivio da Aldo Rava? Anche là la commedia è assegnata alla stagione autunnale de! 1759.

Chi ben guardi, oltre all’evidente riproduzione di scene vissute, trova negli Innamorati qualche traccia di una commedia del Molière, Le Dépit Amoureux. Non nella tesi generale. Nel Dépit la gelosia tormenta solo Eraste, e avvalora questa gelosia la falsa voce d’un ritrovo notturno avuto dalla sua Lucile con un rivale; ma resta qualche affinità nel modo onde di tal voce s’alimentano le ire dei due giovani, particolarmente nella scena — gioiello del lavoro molieresco — che dai più amari rimbrotti li mena alle più tenere paci. Tocca di tali affinità anche R. Guastalla, ma inclina a ritenerle «puramente casuali» (Antologia Goldoniana, Livorno, 1908, p. 218).

Riassumiamo la parte del Dépit che più ricorda gl’Innamorati. Eraste si confida al suo domestico Gros-René. Ama Lucile, ma per quante prove abbia d’esser corrisposto, geloso di Valerio, diffida. Meglio che gli argomenti del suo servitore, vale a dissipare i suoi dubbi un tenero biglietto della fanciulla. Per poco. Ecco che Mascarille, abilmente interrogato da Eraste e da Gros-René, palesa la storiella dell’incontro notturno. Allora il giovine, esasperato, a un invito che Marmette gli fa perchè si rechi da Lucile, risponde con lo stracciare la lettera, che poco innanzi l’avea colmato di gioia. L’atto accompagnano queste parole:

          «Va, sors de ma présence; et dis à ta maitresse
          Qu’ avec ses écrits elle me laisse en paix.
          Et que voilà l’état, infame! que j’ en fais».
           (I. 6)

Così fa Eugenia della lettera scritta per lei da Flaminia, quando, tirato in lingua Tognino, viene a sapere delle cure che Fulgenzio dedica alla cognata, e dà quest’incarico al servitore:

«Dite al vostro padrone che mia sorella Flaminia in nome mio gli ha scritto una bella lettera e che io medesima colle mie mani l’ho lacerata» (I 4).

Lucile, offesa dal procedere del giovine, pensa di accettare le offerte di Valerio, come per un istante pure Eugenia aderisce alla richiesta del conte, ma si pentono presto tutte due del passo inconsiderato e tornano senza indugio ai loro amanti. Nello spostamento e sostituzione di personaggi, avvenuta da commedia a commedia, le parole che adopera Gros-René per guarire il padrone dei suoi dubbi,

          «Lucile, à mon avis, vous montre assez d’amour;
          Elle vous voit, vous parie à toute heure du jour...»

sono messe in bocca a Flaminia:

«Egli è innamorato di voi perdutamente; si vede, si conosce che spasima, che vi adora...» (I. I).

Alla disperazione d’Eraste, ch’è quasi una preghiera, nello staccarsi da Lucile

          «Non, non; cherchez partout, vous n’en aurez jamais
          De si passionne pour vous, je vous promets.
          Mais personne, apres moi, quoiqu’on vous fasse entendre,
          N’aura jamais pour vous de passion si tendre»
           (IV. 3)

fanno eco parole simili d Eugenia:

«Troverete un amante di me più amabile, più ricca, più meritevole, ma non più tenera nè più fedele».

Altre minuzie ancora si potrebbero spigolare, ma se la filologia spicciola riesce a scorgere le fila rare e sottili che debolmente legano le due commedie (cfr. specialmente la laboriosa analisi di F. Baumann (Über das Abhängigkeitsverhältnis Alberto Notas con Molière und Goldoni, Romanische Forschungen, XXV, pp. 444 segg.), da noi in parte seguita), in verità chi senza prevenzioni comparatistiche le legga avverte un tale distacco nella favola, nelle figure, nel linguaggio e nell’intonazione da non pensare a rapporti di dipendenza tra le due. Con buona pace di Paul de Musset, gran denigratore del Goldoni e grande ammiratore del Gozzi, perchè non in grado di penetrare lo spirito di nessuno dei due, l’opera del Nostro (ch’egli afferma d’aver visto a Venezia nell’ottobre dei 1843 e in quell’autunno a Venezia non si diede!) non è «una trasformazione grossolana» (C. Gozzi, Mémoires écrits par lui même. Traduction libre par P. d. M., Paris, 1855, p. 24). Bene rimbeccò l’altezzosa e vuota critica Achille Neri e con l’usata precisione concluse: «gli Innamorati nella favola, e nello svolgimento e nei caratteri, sono così diversi dai Dépit amoureux, da non poter cadere in mente di chicchessia il pensiero di togliere al Goldoni il merito della originalità» (Una bugia di Paolo de Musset. Gazzetta letteraria, Torino, 7 luglio 1888). I rapporti che corrono tra gli Sdegni moliereschi e più commedie del Goldoni (Innamorati, Servitore di due padroni. Smanie, trilogia di Zelinda e Lindoro) son definiti assai felicemente dal Toldo nulla più di «un’ispirazione leggera, degna d’un artista che si rispetta e che ferma sulla carta, nella foga del comporre, certe reminiscenze, che in lui si sono immedesimate, ch’egli ha rielaborate, e che ormai sono sue» (L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie. Torino, 1910, p. 390).

Di fronte al Dépit, sul quale grava un faticoso imbroglio di schietta fattura cinquecentesca (tolto all’Interesse di Niccolò Secchi), questa commedia del Goldoni corre agile e snella. Figure ed episodi — megalomania di Fabrizio, l’impronto insinuarsi di Roberto, la sciocca ingenuità di Tognino — concorrono unitissimi a muovere l’altalena degli amori d’Eugenia e Fulgenzio. E i due innamorati spiccano dal vario sfondo palpitanti di umanità: — il giovine, nel suo affetto profondo, fedele a se stesso fino all’ultimo; Eugenia, figura stupendamente colta della ragazza dispettosa, in cui il puntiglio vince l’amore. Perchè non a tutti come a Lisetta appare sicuro che tra le passioni della sua padroncina l’amore domini (a. III, sc. I). Anche in questa figura — artisticamente la gloria della commedia — come in altre sorelle minori goldoniane, la nota antipatica, fatta di puntiglio e di calcolo, è bene in vista e il cuore, poverino, se non è del tutto assente, è sacrificato. Chi appunta il teatro goldoniano di misoginismo, può ben farsi forte di questo carattere. Il tuffo che nelle ultime scene da Eugenia nel sentimento — a tutto scapito dell’unità dei personaggio e senza convincere chi vede e sente della sua sincerità — non è evidentemente che la solita concessione imposta dal lieto fine al teatro del tempo.

Al difetto di poca coerenza nel carattere d’Eugenia altri aggiunge quello d’esagerazione nella figura di Fabrizio. Ma quando la gustosa descrizione ch’è nelle Memorie non sia semplice eco della commedia stessa, bensì fedele ritratto del curioso abate, dove resta il difetto? Più giusta la critica mossa al personaggio del conte Roberto, ch’egli piovuto in una famiglia del tutto nuova si faccia innanzi con importuna precipitazione e chieda senz’altro in moglie la ragazza (Lamma, Prefazione agli I. Citta di Castello, 1908, pp. 11, 12).

Se mai, lievi difetti, compensati — e quanto! — da pregi di vita comica, di un comico profondo, frutto del più intenso studio della natura. La voce di rari critici malcontenti resta soffocata nel generale larghissimo consenso. Come poteva A. Ratti comprendere questa tra «le commedie romanzesche e sentimentali» (C. G. Discorso, Asti [1874]), Raffaelle Nocchi tra quelle «viziate dal sentimentalismo» e fraintenderne poi soggetto e psiche così da scrivere: «... in alcuni personaggi di Goldoni la mollezza feminea, anzi la fanciullaggine è tale, che in cambio di riso desta nausea, come nella commedia gl’Innamorati» (Commedie scelte di C. G., pubblicate per cura di R. N., Firenze, 1900, p. XXIII)? Nè meglio ne penetra il senso il Klein osservando: «In Italia dove le furie amorose arrivano ad eccessi di pazzia da catena, si tollerano anche simili commedie d’amore... Ma perchè mettere senz’altro in scena amori da manicomio» (Geschichte d. ital. Drama’s. Leipzig, 1868, voi. III, 1, pagina 461)? Gli fa eco un critico ungherese: «L’unica volta che il Goldoni ritrae innamorati mossi da vera passione, egli ci presenta due matti che ad ogni istante s’accapigliano. Sarà questa senza dubbio una concezione assai morale dell’amore, ma nello stesso tempo un po’ noiosa» (Ant. Rado, studio premesso al Burbero da lui tradotto A jotékony zsémhes, Budaspest, 1892, p. 491). Risponde al Klem e al Rado quest’assennato giudizio d un altro straniero, il Rabany: «Par exception, cette piece sort... du ton temperé ordinaire à l’auteur; l’energie romaine y respire dans la peinture de la passion. C’est là un nouveau trait qui mentre combien l’observation de G. est fidèle à la nature. Quand il n’avait que des modèles imprégnes de la mollesse de l’air vénitien, ses portraits nous paraissent souvent effacés; des qu’il se trouve en presence de types plus énergiques, il ne recule pas devant la violence des tableaux nouveaux qui se presentent à lui» (op. cit., p. 373). Prima del Rabany un illustre critico tedesco, l’Hettner, che in verità poco e superficialmente conobbe il teatro del veneziano, avea detto: «Solo in singoli casi, come particolarmente negli Innamorati e nel Burbero, il disegno dei caratteri raggiunge potenza di vera figurazione poetica» (Gesch. d. franzöz. Litt. im XVIII. Jahrh., Braunschweig, 1881, p. 53). Persino l’arcigno Sonnenfels eccettua dalle sue feroci diatribe antigoldoniane la presente commedia (Briefe iüber die mienerische Schaubühne, 1768. Vienna, 1884, p. 109). Ne fa molta stima il Brofferio (I miei tempi. Torino, 1904, vol. VIII, p. 124). «Col Burbero benefico — afferma l’anonimo autore [Sagredo] d’un parallelo tra il Melastasio e il Goldoni. (Venezia. 1834, p. 40) — sta in cima delle sue commedie tutte gl’Innamorati. Ammira il Meneghezzi l’autore d’esser riuscito «senza avventure intralciate, senza equivoci, senza scoprimenti, a tener vivo l’uditore, a renderlo allegro» (Della vita e delle opere di C. G., Milano, 1827, p. 136). Gli stessi pregi di aurea naturalezza e di serena comicità esaltano il Giovagnoli («sequela di scene così scoppiettanti di brio e di naturalezza, nella quale ambascie così comicamente vere, i dispettucci, i ripicchi di Fulgenzio e di Eugenia, diffondono tanto sapore di brio e di naturalezza» Meditazioni di un brontolone, Roma, 1888, p. 220) e il Petrocchi («una delle commedie, questa, più graziose, più brillanti e più vere, e dove, quel che è meraviglioso, è riuscito a cucire molta varietà di personaggi e di cose su un argomento che si direbbe monotono. Non è che una bolla di sapone, se volete; però qualche malizioso potrebbe ben dire: l’amore è diverso?» C. G. e la commedia. Milano, Vallardi, 1893, p. 182). «Ben s’intrecciò tal soggetto» sentenzia lapidarmente lo Schedoni e, ciò che più conta per l’indole delle sue ricerche, «non v’ha uno scherzo che disonori» (Principii morali del teatro. Modena, 1828, p. 82). Il sereno E. Masi in questa «bellissima» scorge «il tipo più schietto della commedia. di carattere del Goldoni» (Scelta ecc., Firenze, 1897, vol. II, pp. 381, 460). È tra i '' capolavori, secondo Marietta Ortiz («una delle più belle... ch’egli abbia composte» C. G. e il bicentenario della sua nascita. Almanacco Bemporad, Firenze. 1908, p. 358) e Cesare Levi («fra le buone... e una delle migliori, una delle più fresche e spigliate» Rivista teatrale italiana, 1 giugno. 1908, p. 3)..W Dejob l’episodio, dove Fabrizio manda Roberto a vedere le meraviglie della sua pinacoteca e vuole imporgli un nuovo avvocato per un processo che stava per comporsi, prova con quale arte il Nostro sappia trarre «da una scena episodica conseguenze in istretto legame con l’azione principale». «Sembra che l’autore voglia unicamente esilararci a spese d’un originale: ma le due ore passate per compiacenza nella sua galleria, la discussione sulla scelta dell’avvocato persuadono l’amante di Eugenia che Roberto non era giunto allora, come l’assicurava Flaminia per prevenire uno scatto di gelosia» (Les femmes dans la comédie, ecc. Paris, 1899, p. 371). Per gli Innamorati, «una delle miglion» commedie del G., ha più d’una pagina d’entusiastico encomio lo Schmidbauer. «Il fascino di tali scene [di gelosia] sta anzitutto nel dialogo pieno di arguzia e di brio. Vera azione non c’è, ma qui si può parlare d’azione interiore, psicologica. È un vero studio di caratteri, una pittura eccellente delle gelosiucce — gelosia non si può dirla — che riuscì assai bene al Goldoni. Non è facile definire esattamente dove stia il fascino del lavoro; il suo pregio è tutto nell’arguzia che con discreto sorriso delinea le piccole gelosie di quella coppia» (Das Komische bei G. München, 1906, pp. 70, 71 ). Lo Schmidbauer riporta ancora parte della «magnifica» scena (III, 1 ) dove Lisetta e Tognino spiano attraverso il buco della serratura gli avvenimenti del pranzo per dimostrare come tali trovate (cfr. Donne curiose) mettono nella luce più bella la potente evidenza delle sue pitture (ibid. p. 29).

È dunque nella critica un plebiscito d’ammirazione. Nè tutto e tutti possiamo citare in questa rapida rassegna. Ma non vorremmo chiuderla senza riferire almeno in parte le belle e acute osservazioni di quell’attento analizzatore del teatro goldoniano ch’è Domenico Oliva: «Ella pare così lucente e benedetta: la semplice storia d’amore, il fiorire della vita e della giovinezza, la cara primavera dell’anima inebbriano e rapiscono tutti i cuori. Ma osservate bene e penetrate oltre all’apparenza e intendete tutto quanto volle colui che vi fece sorridere e ridere e riserbava una simile festa ai contemporanei e a tardi nepoti. Sotto tanta gaiezza non ispunta qualche malinconia? Questa è la commedia dell’amore: ma è una commedia, e una commedia e sempre, almeno in parte, una satira: quindi e anche la satira dell’amore, molto più umana, molto più vera, e pertanto più profonda dell’altra immaginata e composta dal grande poeta norvegese. Il nostro poeta vi ha palesato tutti gl’inconvenienti, tutti i fastidi della passione tiranna; vi ha palesato tenerezze e dolcezze e delizie, ma anche e sopra tutto il rovescio della medaglia, cioè tutto quello che ogni amore implica di folle e di stolto e di umiliante e di penoso. Che cosa è il vero amore se non una specie di pazzia?... Ma oltre allo studio del cuore, oltre alla analisi di questa povera debolezza umana, qui l’arte e quella che vince, arte perfetta di linea e d’equilibrio, della classicità più armoniosa e più squisita... Il teatro che possiede questi capolavori non teme il paragone di nessun altro teatro» (Giornale d’Italia. 11 luglio 1907).

Col favore dei critici ben s’accorda la costante fortuna della commedia sulla scena fin dal suo primo apparire. Anzi le prime accoglienze — vuole l’autore (Mem. l. cit.) - furono più festose ch’egli non pensasse. Ma non sapeva d’aver creato una delle sue più belle? Della fedeltà di certe impressioni sue, rievocate a cinque lustri di distanza, convien dubitare un po’.

Fermeremo ricordo di quelle recite soltanto che per l’occasione, nomi di interpreti, o per qualche notevole eco rimasta nella stampa, hanno peculiare significato.

1762, 24 aprile, Ferrara. Rappresentazione in onore dell’autore arrivato quel giorno stesso colà nel suo viaggio alla volta di Parigi. «Per farme una finezza i ha recità | Gl’Innamorati e ho visto veramente | Quanto son compatido in sta cità» (Terzine nella Raccolta di poeti contemporanei in occasione che la N. D. M. Contarini- Balbi fa la solenne professione nel Monistero delle Vergini. Venezia, 1762. Cfr. Musatti, G. a Ferrara nell’aprile 1762, Ateneo Veneto, nov. dic. 1908).

1765, 4 genn. (m. v.). I Notatori Gradenigo (XVo, a carte 78 verso) annunciano al T. S. Salvatore la ripresa degl’Innamorati, «commedia da molto tempo non rappresentata», e aggiungono: «si suppone una delle migliori opere che abbia scritte il celebre autore».

1805, 31 dicembre, Roma. Teatro Valle. Compagnia di Gaetano Perotti «Gl'Innamorati. Commedia di C. G. Il teatro comico non ha forse niente di meglio. Tutti la conoscono, e molti ci si specchiano. L’assunta Perotti non la vestì, ma la disse benissimo. L’amoroso Checcherini la precisò con giudizio, e mai con calore». Così la Gazzetta dei Teatri d’Italia. Num. I, carnevale MDCCCV. Giornale de’ Teatri di Roma. Nella stessa stagione a Roma riportò un bel successo negl’Innamorati anche Maddalena Gallina (ibid. p. Xlil).

1827, 12 agosto. Teatro Re di Milano, Comp. Gatteschi. La rivista I Teatri dedica al lavoro quest’apprezzamento: «I personaggi che vivevano ai giorni del Goldoni certamente non sono più sott'ogni aspetto i personaggi de’ nostri giorni; ma il cuore umano non ha cambiato natura, e quell’uomo immortale lo colse, lo sorprese in tutti i più piccioli incidenti delle sue variabilissime fasi; quindi è che, se il bisogno di nuovi diletti ci trae a desiderare nuove commedie, la maestra unica del maggiore fra i pennelli comici dell’Italia, ne riconduce ancora con una invincibile forza a Goldoni» (28 agosto).

1829, marzo, T. Re, Milano, Comp. Reale Sarda (Censore universale dei teatri, 11 marzo). Era nel repertorio dal 1821, anno in cui la R. S. si costituì (Costetti, op. cit.. p. 15).

1829, ottobre, ib. ib., Comp Ducale di Modena (ibid., 10 ott.).

1830, marzo, T. S. Luca, Venezia, Comp. Modena e Soci (ibid., 27 marzo).

1835, settembre, Roma. Otto Nicolai, il compositore delle Allegre Comari di Windsor, annota nel suo diario (15 sett.): «La compagnia drammatica diede Gl'innamorati di Goldoni con vera maestria. Questi sono attori!» Non nomina il Teatro, nè, quel che più vale, la Compagnia ( Tagebücher, Leipzig, 1892, p. 73).

1839, estate, al Comunale di Cesena. Compagnia Nardelli, della quale faceva parte Amalia Bettini. «Esito poco buono» (A. e L. Raggi. Il T. C. di C., 1906, p. 36). Difetto d’esecuzione?

1846, 9 novembre, al Comunale di Modena, Compagnia di T. Zocchi, con Adelaide Ristori (Tardini, La Drammatica nel Nuovo Teatro Com. di M. 1898. p. 45).

1851, 18 maggio, ib. ib., Comp. di Giuseppe Astolfi, con Fanny Sadowski, prima attrice (ibid., p. 1851).

1854, 16 gennaio, al S. Samuele di Venezia, Comp. di Luigi Duse, col titolo

Il pranzo senza posate (!) ossia Gl’Innamorati. (Collezione Goldoniana di E. M.).

1854, 3 dicembre, ib. ib., Comp. di Cesare Dondini. Ne facevano parte Clementina Cazzola e Guglielmo Privato (Tardini, op. cit., p. 87).

1872, 15 gennaio, ib. ib., Comp. di F. Sadowski diretta da Cesare Rossi. Serata di Giuseppe Ceresa [Fulgenzio] (ibid., p. 155).

1885, 28 marzo, al Valle di Roma, Comp. di Cesare Rossi, interpreti nelle parti principali: il capocomico (Fabrizio), Eleonora Duse (Eugenia), Flavio Ando (Fulgenzio). Era la serata della Duse e fu uno dei suoi primi trionfi (v. Popolo Romano, 29 marzo 1885). «Nei fasti del Teatro Valle rimarrà memorabile — scrive nella Nuova Antologia del I aprile di quell’anno *** (Augusto Franchetti?) — la rappresentazione degl’Innamorati. Da gran tempo questa bellissima commedia non era più stata riprodotta sulle scene romane e crediamo che ben pochi giovani la conoscevano. Aveva, dunque, per la maggior parte del pubblico, le attrattive della novità. Ebbene, non ricordiamo di essere mai stati presenti ad un successo più pieno ed incontrastato». Segue qualche osservazione sul lavoro che nella parte di Succianespole e qua e là nel dialogo sembra al critico un po’ antiquato. Ma non trova fuori del vero, come altri notò, il personaggio di Fabrizio. «Fuori del vero è invece l’interpretazione che di quel carattere, per lunga consuetudine, danno i comici. Mentre la Duse rinnovava, per così dire, con tutte le grazie e le civetterie dell’arte moderna, il personaggio dell’innamorata e dispettosa Eugenia, Cesare Rossi, che pure è un insigne attore, non sapeva o non voleva staccarsi, nella parte di Don Fabrizio, dalla mala abitudine invalsa nelle compagnie italiane, di aggiungere alle commedie del Goldoni ciò ch’egli non ha mai inteso di mettervi. Per tal guisa al Don Fabrizio del Goldoni se ne venuto sovrapponendo, per opera dei comici, un altro che passa continuamente il segno e fa scivolare la commedia nella farsa». Anche all’Andò non si risparmia un’osservazione quasi identica per aver riprodotto «alcuni tradizionali giuochi ed artifizi di scena che appartengono al periodo dell’arte più convenzionale e barocca». La Duse invece «ch’è l’attrice italiana meno ligia alle tradizioni dei comici, ha avuto il coraggio di non preoccuparsi punto di ciò che prima di lei avevano fatto, negl’Innamorati, altre illustri attrici e ci ha dato un’Eugenia viva e vera senza aggiungere una sillaba a ciò che Goldoni aveva scritto e senza ricorrere a vieti artifizi per promuovere il facile applauso». La lunga rassegna si chiude con nuove lodi alla commedia (pp. 508, 509). La grand’arte della Duse in questa memorabile prova ispirò alla Contessa Lara [Eva Mancini Cattermole] un sonetto, dal quale riproduciamo questi versi:

     «S’affaccia sul balcone: la testa incipriata
          scrolla, si morde i labbri; quindi siede e ricama.
          Dunque ei non torna, al solito, pentito? Oh, la serata
          burrascosa d’ieri!... Meglio!... Forse non l’ama
     più nè pur essa!... Ei giunge. Fra lieta e corrucciata
          or la coppia sorride: ma ben presto richiama
          qualche pensier sofistico: da capo una scenata,
          pianti, ripicchi. — Adori il conte! — E tu la dama! —
     Così di baci e sgraffi l’amor vive. L’amore!...

(Corriere di Roma, 26 dicembre 1885).

Più d’una volta questi Innamorati resero omaggio al loro autore in occasione del primo centenario della morte e del recente bicentenario della nascita. Con essi onorò il Goldoni nel 1893 a Torino la Compagnia Marini (cfr. num. unico edito dal Ferino, p. 18) e al Nuovo di Firenze la Comp. Lombardi-Pavoni davanti «un pubblico enorme e con un successo idem» (Gazzettino d. arte dramm., Roma, 15 genn.; v. anche Corriere italiano, Firenze, 7-8 genn.). Nel 1907 la diede al Teatro Rossini di Livorno la Comp. Calabresi [Fabrizio] — Severi [Eugenia] con discorso di C. Guetta; al Salvini di Firenze l’eseguirono gli allievi della Scuola di recitazione diretta da Luigi Rasi. Il programma di questa recita venne riprodotto nell’opuscolo contenente il discorso commemorativo di E. Masi (Barbera, 1907).

Furono cari assai quest’Innamorati in ogni tempo ai Filodrammatici, il cui zelo, si sa, cresce con le difficoltà (cfr. Gandini, Cronistoria dei Teatri di Modena, 1873, voi. 2, p. 154; rec. del 16 febbr. 1824; Martinazzi, Accad. de’ Filodramm. di Milano, 1879, p. 119; ree. del 26 luglio 1804; Prinzivalli, Accad. filodrammatica romana. Terni, 1888, pp. 55 [1836], 72 [1847, due recite], 716 [1885]) e ai Filodrammatici romani non isdegnò d’unirsi una volta anche Cesare Rossi (cfr. Corriere d’Italia, 2 febbr. 1907, notizia di V. Prinzivalli). D’una rappresentazione degl’Innamorati in casa di Giuseppe Chiarini nell’estate del l880 a Livorno, presente Augusto Franchetti, resta, documento simpatico, una lirica di Guido Mazzoni che vi recitò la parte del Conte («Recitando gli Innamorati del Goldoni» Poesie, Bologna, 1904, p. 121).

Altri artisti di grido non comparsi in questa rassegna provarono l’arte loro nella nostra commedia. Ricordiamo intanto, tra gl’interpreti che l’autore ebbe presenti scrivendola, Antonio Martelli [Fabrizio], famoso Brighella (Bartoli, Notizie istoriche de’ Comici italiani, Padova, 1782, voi. 2, p. 30), il Lapy, del quale Antonio Piazza abbozzò questo poco lusinghiero ma vivo ritratto: «... uomo assai famoso per la sordidezza della sua avarizia e per la sua temerità di metter mano negli altrui scritti. Barbiere di professione, passò dalla bottega al teatro, mettendosi la maschera del Dottore, perchè sapeva parlar bolognese. Il celebre Goldoni, inimitabile a ben vestire anche i corpi più mal fatti, si valse di quella rozza per la sua Curcuma nella Sposa persiana, e per Succianespole negl’Innamorati. In que’ tempi, che bastava assai poco a far ridere, colui ebbe fortuna. Magro quanto il digiuno, con una faccia secca e intagliata, affettando una voce sottile, e camminando come le anitre che menano sempre la coda, non ci volle di più, perchè il popolo gli battesse le mani» (Il Teatro, ovvero fatti di una Veneziana che lo fanno conoscere. Venezia, 1778, tomo II, pp. 12, 13).

Il secolo XIX die agl’Innamorati una classica Eugenia in Carlotta Marchionni (cfr. F. Righetti. Studi sull’arte drammatica, Torino, 1834, vol. 2, p. 146): ottimi Fulgenzii: il Dc-Manni, Ferdinando Meraviglia (Rasi, ad nomina), Tommaso Salvini (Jarro. Vita aneddotica di T. S., Firenze, 1908, p. 383), Ernesto Rossi (Quarant’anni di vita artistica. Firenze, 1887, vol. I, p. 94, Carlo Guetta, E. R., Livorno, 1906. p. 9). il Rossi in Comp. Reale Sarda recitò nel 1854 a Firenze gl’Innamorati con la Ristori. Al «perfetto accordo» di quei «due nostri artisti incomparabili e insuperabili... allora giovani entrambi» nel capolavoro goldoniano accenna con entusiastico encomio il De Gubernatis, ch’ebbe la ventura di sentirli (C. Goldoni, Corso di lezioni, Firenze, 1911, p. 323). Note originali recarono certo nella parte del focoso innamorato Ermete Zacconi (Costetti, Il teatro italiano nel 1800, Rocca di S. Casciano, [1901], p. 455) e Michele Bozzo. «Chi ricorda il Bozzo negli Innamorati — chiede G. di Martino — e propriamente nella scena XIII del secondo atto con Eugenia? Chi ricorda quegli attentati alla sua vita col famoso coltello, quelle lacerature furibonde di fazzoletto, la rottura del cappello a staio... (licenza che l’anima di Goldoni gli avrà perdonata in merito della grande interpretazione!) compiuta a colpi del cappello medesimo contro la sua testa, ricca di capelli neri e lunghi, a zazzera?» (Proscenio, Napoli, 30 giugno 1901). E questa descrizione c’insegna pur troppo che anche la nostra commedia non si recitava sempre in costume goldoniano! Non vanno dimenticati, nella gustosa parte di Fabrizio, Luigi Taddei, Giuseppe Moncalvo (Rasi, c. s.), che l’eseguiva in veste e linguaggio di Meneghino, e tra le Eugenie, a noi più vicine, Tina di Lorenzo, Dora Baldanello (cfr. G. P. [Giulio Piazza] Gli innamorati. Il Piccolo, Trieste, 29 maggio Ì908), Virginia Reiter (Manca, Gli ultimi Goldoniani. Rivista d’Italia, febbr. 1904, p. 286), Giuseppina Bianchini (Il Piccolo, 23 giugno 1909). Ma oggi le nostre attrici giovani trascurano troppo la bellissima parte e bene a ragione un critico si duole ch’esse «non conoscano p. e. che Mirandolina e non stimino degna d’un po’ di studio l’Eugenia degli Innamorati» (Maschera, Napoli, 21 novembre 1909).

Alla parziale riduzione in dialetto milanese, che il Moncalvo recitava, va aggiunta un’altra napoletana, opera di Roberto Villani, dal titolo Nnamurate ntussecuse (Russo Ajello, Tragedia e scena dialettale. Torino-Genova, [s. a.], pp. 199, 200). È verisimilmente il rifacimento, al quale allude questa notizia del Brognoligo: «poco tempo e a Napoli ebbe il plauso del pubblico e della critica una riduzione dialettale, felicissima, degli Innamorati...» (La Fortuna del G. La Vedetta. Fiume, 1907, p. 314).

Anche d’una libera imitazione del Nota «Le risoluzioni in amore» (rappr. nel 1820 a Genova) è da tener conto. Il Nota si valse però ancora della trilogia di Zelinda e Lindoro e del Dépit. L’analisi minuta delle relazioni di questa commedia con le sue fonti è nel citato studio del Baumann.

Le Scelte e Antologie dove si trova tutto o in parte questo lavoro sono quelle del Fraporta (1781, voi. 2), del Montucci (1828, IV) che toglie, aggiunge, corregge, al solito, e in una nota se la prende calda col Goldoni per via dei fegatelli arrostiti (a. I sc. VIII), la Scelta milanese, edita dal Silvestri (1825, I), quelle del Sonzogno (voi. I, 1886), del Guastalla e, ultima, la scelta dell’Istituto editoriale italiano (1912, voi. XI), diretta dal Martini. Un’edizione scolastica degli Innamorati, curata da Ernesto Lamma è citata più sopra. Ne riferi Maria Ortiz nella Cultura di Roma (1 aprile 1908).

Al sonetto della Contessa Lara e ai versi di Guido Mazzoni sono da aggiungere altri di Lucio d’Ambra (Gl’Innamorati. Tirso, Roma, 1907) pure ispirati dalla nostra commedia.

Anche la musica concorse alla popolarità degl’Innamorati. Ne trasse un libretto Giuseppe Poppa per i maestri Sebastiano Nasolini (atto primo) e Vittorio Trento (a. secondo), ribattezzando il povero Fabrizio senza più in Fanfarone e Succianespole (nome poco musicabile?) in Tartufala. Non contento di queste innocue libertà il Poppa, in una nota al cortese leggitore, rivede così le bucce anche all’arte del Goldoni: «Ho cercato di tener dietro possibilmente alle traccie luminose segnate nell’originale del mentovato chiarissimo Autore, il quale sciolto dallo strettoio dei chiari scuri e delle convenienze ne ha fatto un’eccellente commedia (Gli Innamorati, dr. p. mus. di Q. F. da rappresentarsi nel nobilissimo Teatro Venier in San Benedetto il Carnevale dell’anno 1793. In Venezia, 1793, Penzo. Si diede anche col titolo: Gli amanti in collera. Cfr. Gazz. urbana veneta, 1793, p. 77). Ma che sarà mai lo strettoio dei chiari scuri?

Certo il carattere della conunedia, apparso troppo italiano a qualche critico straniero, ne pregiudicò la diffusione all’estero. Il numero delle traduzioni da noi rintracciate non pareggia il valore dell’opera ed è ben inferiore alla copia di versioni avute da altre di assai minor pregio. Fa come sempre onorevole eccezione la Germania, la quale, non ne conta meno di tre.

Die verliebten Zanker. Eine frye Übersetzung aus dem Ital: des berühmten Dr. C. Goldoni von J. G. von Laudes. Wienn, zu finden in dem Krausischen Buchladen, nächsl der K. K. Burg, 1764 (con un rame che rappresenta la sc. XI della. I).

Die verlieblen Zänker, nel IV volume della traduzione del Saal, pubbl. nel 1769.

Sind die Verliebten nicht Kinder. Ein Lustspiel in drey Aufzügen. Nach dem Italiänischen des Goldoni. Gotha, bey Carl Wilhelm Ettinger, 1778. (Tradusse H. O. Reichard, editore del Gothaer Theaterkalender). Cfr. Hodermann, Gesch. des Gothaischen Hoftheaters, 1775-1779, Hamburg u. Leipzig, 1894. p. 157.

La traduzione del Laudes si eseguì la prima volta a Vienna il 4 ottobre del 1764, quella del Reichard il 7 dicembre del 1776 a Gotha e grande fu la fortuna di tutte e due sulla scena. Abbondano le testimonianze nelle cronistorie dei teatri tedeschi, nelle biografìe di comici, nei giornali e nelle preziosissime collezioni di programmi, di cui le biblioteche di Germania sono tanto ricche. Per il valore delle traduzioni cs. Sulger-Gebing, in Zeitschrift f vergl. Literalurgesch., 1897, p. 494 e Mathar, C. Q. auf dem deutschen Theater des XVIII. Jabrbunderls, Montjoie, 1910, pp. 61-64, 165-167. Il titolo lezioso e moraleggiante («Non son bambini questi Innamorati») scelto dal Reichard, fu criticato aspramente dai Tieck (Kritische Schriften, Leipzig, 1908, vol. III, p. 219). Celebri attori tedeschi del settecento lasciarono ricordo di sè quali interpreti degli Innamorati: l’Eckhof e Schröder nella parte di Fabrizio, Prehauser in quella di Succianespole (cfr. Hodermann, op. cit., p. 61; Theater-Journal f. Deutschland, 16º fasc, 1780, p. 30, 31, Sulger-Gebing, l. cit.). Il grande Schröder, da giovane, era stato anche Succianespole (F. L. S., Ein Beitrag zar Kunde des Menschen u. Kunstlers con F. L. W. Meyer, Hamburg, 1823, vol. I, p. 252). Ottima Eugenia fu Rosalie Lefevre (Bäuerle, Memoiren, Wien, 1858, p. 181) che dopo il suo contrastatissimo matrimonio con un patrizio, entrato in arte, per amor suo, col curioso psedonimo di Nouseul (parola che serviva di richiamo ne’ loro convegni segreti), volle debuttare a Rastadt nel 1770, in questa commedia, facendone un’apoteosi dei propri amori. Così l’arte goldoniana, fatta solo di verità, trovava corrispondenza nella vita. Goethe, che nel 1767 aveva visto la commedia a Lipsia, in lettera del 16 ottobre di quell’anno vi fa allusione per adombrare il tempestoso carattere di certi suoi amori (Kern, Goethe’s «Tasso» und Goldoni’s «Tasso», Berlin, 1892, p. 88). Vane sarebbero state per lui come per altri, crediamo, le moralissime considerazioni che un avviso tedesco traeva dagl’Innamorati a tutto beneficio della «povera incauta gioventù!» «Specchiatevi, o giovani, in questi litigiosi innamorati, ridete di loro, nè agite mai così che di voi si debba ridere!» (Unsinn auf Comödien-Zetteln in Theater-Kalender auf das Jahr 1783. Gotha, pp. 60, 61). Par quasi che l’anonimo estensore di quest’impagabile avviso conoscesse le osservazioni mandate innanzi dallo stesso autore alla sua opera (v.: L’aut. a chi legge). Dove l’inciso «se non mi vergognassi» mostra chiaro come anche la propria esperienza gliele suggerisse.

Secondo il Mathar il dialogo tra Fabrizio e Succianespole sarebbe stato imitato dal Lessing nella sua Minna, là dove la Signorina chiede a Just del padrone (op. cit., p. 64).In quell’esilarante episodio, avvertiamo, già Goldoni avea ripetuto sè stesso. Una scena fatta di gnor sì e gnor no nelle risposte è nella Bancarotta (III, 3), interlocutori Pantalone e Graziosa.

Traduzioni degl’Innamorati hanno ancora il Portogallo: Os namorados zelosos, Lisboa, 1784; la Grecia (in un una scelta di commedie goldoniane tradotte, pubblicata nel 1830), la Spagna: Enamorados zelosos (Comedias nuevas, n. 105, Barcellona, s. a.), e ancora: Los enamorados, Comedia en dos actos y en verso, escrita por Don Dario Céspedes, estrenada con extraordinario éxito en el Teatro del Circo la noche del 5 de Enero de 1875, Madrid, Rodriguez, 1875. È dedicata a Elisa Boldun («Ayer està comedia era italiana: hoy, gracias à tu genio, es castellana»). Questa non è solo un’imitazione, come attesta una linea in calce all’elenco dei personaggi, ma un rifacimento abbastanza fedele. Il Céspedes, senza nulla aggiungere di suo, soppresse il malaugurato pranzo e fuse in uno i due ultimi atti. Il nome dell’autore non doveva mancare nel frontispizio. Così l’«imitacion» somiglia un plagio.

E. M.


Gli Innamorati si stamparono la prima volta a Venezia nel 1762, nel t. II dell’ed. Pasquali: quindi uscirono a Livorno (Santini 1763 e, più tardi, Masi VIII, 1789) a Torino (Guibert e Orgeas II, 1772) a Venezia ancora (Savioli XI, 1774 e Pitteri id.; Zatta cl. I, VI, 1789; Garbo VI, 1795) a Bologna (Lucchesini, 1784) a Lucca (Bonsignori II, 1788) e forse altrove nel Settecento. — La presente ristampa seguì più fedelmente il testo del Pasquali, curato dall’autore. Valgono le solite avvertenze.

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