< Gli amanti
Questo testo è stato riletto e controllato.
Nella via (Vicenzella)
Il viale degli oleandri (Mario Felice) La veste di seta (Madame la marquise)

NELLA VIA

(Vicenzella).

Ritta presso il largo parapetto di pietra, Vicenzella con una mano teneva fermo il grosso polipo grigiastro e con l'altra ne tagliuzzava in pezzetti i tentacoli, adoperando vivamente un sottile e affilato coltellino. Accanto a lei, per terra, sopra un piccolo focolare di tufo giallo, bolliva una pignatta di creta bruna; vi era dentro acqua di mare e peperone rosso, secco, fortissimo; ogni tanto Vicenzella vi gettava una manata di pezzetti di polipo, dalla pelle grigia, dalla polpa candida: quando lo ebbe tagliato tutto, e tutto messo a bollire nell'acqua di mare, vi aggiunse delle gallette durissime: coprì ermeticamente la pignatta. Con un moto istintivo, si assicurò meglio negli zoccoli di legno, dal tacco alto e sonoro, e si avvicinò a Maria Grazia, l’acquaiola, che faceva andare in su e in giù la gran secchia chiusa dell’acqua e col piede sinistro cullava il canestrone, dove dormiva il suo figliuolino.

— Non sia per comando, Mariagra’, mi daresti un bicchier d’acqua?

— Acqua, tu volessi! Te’, figlia mia.

Vicenzella non bevette il bicchier d’acqua, ma se lo versò sulle mani, rasciugandosele al grembiule di cotonina azzurra.

— Quel polipo appesta, — mormorò, — e Ciccillo non può soffrirne il mal odore.

— Tanto gentile, è?

— È un signore, Mariagra’; che ci vuoi fare!

— Ciccillo non è per te, Vicenzè, senti chi ti vuol bene.

— Ciccillo dev’essere, — ribattè brevemente Vicenzella. — La creatura tua s’ingrassa ogni giorno. Dio la benedica.

— Se la mangiano le mosche, povera Cannitella, — e si chinò per schiacciarle.

Vicenzella ritornò pressò il focolaretto. Ora, seduta sopra una seggiola sgangherata, appoggiata al largo parapetto di pietra, per non cadere, sorvegliava la cottura del polipo, scoperchiando ogni tanto la pignatta, immergendovi uno schidioncino a due rebbi. E taciturna, coi fieri occhi lionati che guardavano la via di Santa Lucia che era piena di sole, di carrozze, di persone, che era attraversata ogni minuto dai trams, ella lavorava a una sua calzetta azzurra, col tallone bianco. Gennarino, il pizzaiuolo, passò, portando sul braccio un largo scudo di stagno, su cui erano disposti, a corona, i segmenti di pizza, odorosi di pomodoro e di origano.

— O Vice’, è cotto il polipo?

Essa fece finta di non udire: e conservò la severità della sua bocca larga ed espressiva, la fierezza dei suoi occhi che non conoscevano lusinghe, la durezza delle nere sopracciglia aggrottate.

— Se mi dai un po’ di polipo, Vice’; ti do una fetta di pizza.

— Non ho appetito, e il polipo è crudo.

— Scommetto che se viene Ciccillo, il polipo è cotto. Per lui succedono miracoli, succedono.

— Si capisce.

— Quanto sei cattiva, Vice’!

— Chi ti chiama a parlare con me? Va’, vattene.

Gennarino represse un moto di rabbia e si allontanò, gridando e decantando l’odore e il sapore delle sue pizze. Vicenzella continuò placidamente a far la calza fra il chiasso e il rumore della via, guardando in su, ogni tanto, come se aspettasse qualcuno. Una grossa femmina, con la giacca di lanetta nera, il grembiale bianco e un fazzoletto rosso al collo, le si accostò: aveva in mano un mucchio di soldoni, mentre una bambinella le si attaccava alla gonna.

— Questa è la chiave, Vice’, e questa è Fortuna. Bada alla casa e bada alla piccola.

— Gnorsì, ma’ — fece l’altra, senza muoversi.

— Io non so quando torno: debbo andare ad esigere del denaro sino a Porta Capuana, dalla mamma di Ciccillo. Vicenzella arrossì: e, per un momento, la voce le tremò.

— Non la maltrattate, ma’ — disse piano.

— L’interesse è una cosa e l’amore è un’altra, — disse gravemente l’usuraia, scuotendo i soldoni, — Ciccillo si mangia tutte le fatiche di sua madre.

— Voi non l’avete mai potuto soffrire, ma’ — disse Vicenzella, chinando gli occhi, abbassando la voce, per reprimere la collera.

— E si mangia anche le tue!

— Voi non ci entrate, voi non mi siete madre. Matrigna, matrigna, come si dice, ma sempre matrigna siete!

— Poi, vedrai la verità, — soggiunse quietamente Gesualda, che non voleva litigare nella via. — Ti raccomando quest’anima di Dio.

Si allontanò lentamente, grassa, ondeggiante, con la pappagorgia che si allargava sul fazzoletto rosso. Vicenzella avea lasciato di far la calza, ancora tutta pallida di collera soffocata.

— O Vice’, Vice’ — strillava la piccolina, attaccandosi alle sue gonnelle, — raccontami un racconto.

— Non ci ho la testa, Fortuné, lasciami stare.

— Sì, sì, raccontami il fatto della Bella mbriana.

— Senti, Fortuné, se ti contenti, la sorella tua ti da un soldo, e tu ti compri una bella cosa.

— Che mi compro, che?

— Un soldo di nocciuole infornate? Ne hai tante!

— No, no.

— Un soldo di caffè?

— No, no.

— Un soldo di fichi d’India, ne hai due.

— Sì, sì, dammelo.

E Fortuna scappò via, verso il fondo di Santa Lucia, per comprarsi un soldo di frutti freschi e insipidi. Vicenzella guardava in su verso il Gigante, con la faccia bruna, di un bruno affocato di rosso, dove non compariva sorriso.

— Vice’ — disse Aniello, il marinaio, dammi un carboncino per accendere — la pipa.

— Tenete, tata, — fece Vicenzella, sollevando la pignatta.

Aniello era scalzo, vestito semplicemente di un paio di calzoni di tela bianca che gli arrivavano a metà gamba e di una camicia portata come una blusa sopra i calzoni: si vedeva il bruno petto villoso: sulla testa un cappellaccio di paglia, tutto sfondato. Era salito su dalla spiaggia di Santa Lucia, veniva dallo stabilimento di bagno dove faceva da marinaio, cioè da bagnino.

— Gesualda? — disse lui.

— Va esigendo denaro.

— E Fortuna?

— È andata a comperare un soldo di frutta.

— Mi meraviglio che non ci è qua don Ciccillo, — disse il bagnino. — Starà facendo il bagno, con quella ragazza.

— Quale ragazza, tata?

— Non lo sai? Mi ha detto Gaetano, il compare mio, quello dello stabilimento del Sole, che ieri don Ciccillo ci ha accompagnato una ragazza, una bella ragazza, con lo scialletto e la frangetta sulla fronte.

— Non può essere.

— Come, non può essere? Gaetano non è pazzo.

— Non è pazzo, ma quello che vi ha detto, tata, non può essere.

— Lo ha visto coi propri occhi!

— Santa Lucia non lo assiste: questo che ha detto, non può essere.

— E va, che sei una bestia!

Il bagnino si allontanò, scese la scaletta che porta sulla riva: Vicenzella crollava il capo, come se niente avesse potuto convincerla. Ma l’impazienza la faceva fremere: e mentre guardava in su, verso il Gigante, immergeva macchinalmente lo schidioncino nella pignatta, dove bolliva il polipo nella sua acqua di mare.

Erano le undici, la via di Santa Lucia era tutta presa dal sole, Vicenzella non stava più alle mosse: Fortuna, seduta per terra, accanto a lei, dormicchiava. Come l’ora del mezzodì si approssimava, la vendita del polipo cotto cominciava. Vicenzella aveva tre o quattro piattelli di cretaglia bianca, sul parapetto della via: appena un avventore si presentava, ella immergeva lo schidioncino nella pignatta, ne traeva un pezzo di polipo, tutto riccio e lo metteva sul piattello, aggiungendovi un pezzo di galletta, già molle, e una cucchiaiata di brodo rosso. L’avventore, in piedi, chiacchierando, mangiava con le mani il saporito e tenace frammento di polipo, poi accostava le labbra al piattello e sorbiva il brodo. La porzione semplice costava due soldi, la doppia quattro soldi. Vicenzella, misurava con equità la porzione, non si confondeva, non esitava: in un momento ebbe intorno due o tre muratori che lavoravano al Chiatamone, un ostricaro, un postiglione di tramvai: ella si sbrigava, assai seria, non dando retta alle parole di quelli che le facevano la corte, stringendosi nelle spalle, con un moto di superbia e di disprezzo, buttando i soldi nel taschino del grembiule. Quando venne Franceschella, la venditrice di acqua sulfurea, per avere due soldi di polipo, non ve n’era più.

— È finito adesso adesso, — -disse Vicenzella, mostrando la pignatta dove solo un po’ di brodo restava.

— Buona giornata, allora?

— Buona.

— Beata te! Con questa paura della malattia, che Dio ci scampi, nessuno beve più acqua sulfurea. Non facciamo niente: e sì che ho promesso il voto alla Madonna della Catena, se mi riesciva una buona stagione. Che ci vuoi fare? Non isposerò neppure quest’anno.

— Ma Carluccio fa ancora il soldato?

— -Lo fa sino a Natale: poi, torna. Mi ha scritto la lettera. Ciccillo non ha fatto il soldato?

— No: il governo non lo piglia, è figlio unico di madre vedova.

— Quando vi sposate?

— Ci vogliono i soldi, — disse Vicenzella, con una malinconia profonda.

— Non li fai, tu?

— Li fo, li fo....

— Ebbene?

— E poi se ne vanno. Non ci è che fare.

— O che brutta sorte! Basta, tu non hai più polipo e io vado a comperare due soldi di pesce fritto.

Vicenzella aveva ricoperto il fuoco del focolaretto e in una conchetta di creta, sul marciapiede, lavava i piattelli e la pignatta: poi li mise ad asciugare al sole, sul parapetto largo. Ora, in piedi, dopo essersi passate le mani sui capelli giallastri, contava i soldi che aveva fatti, e prendeva le mosse per partire.

— Vicenze’, io vengo con te, — mormorò la sorellina.

— Sì, sì, — disse Vicenzella, impazientita, rimettendosi i soldi in saccoccia.

Ma un giovanotto tutto agghindato si fermò innanzi a Vicenzella.

— La grazia vostra, — disse lui, toccandosi il cappello alla sgherra.

— Padrone mio, Pascalì.

— Vi debbo fare un’imbasciata.

— Vi manda Ciccillo?

— Sissignore, vi saluta assai assai e vi fa sapere come lui non ha potuto venire, perché ci è stata una combinazione di certi amici, che lo hanno invitato in una trattoria: e che si trova là e vi prega, se potete mandargli un paio di lire, perché non vuol far cattive figure. E vi saluta tanto e vi manda a dire come lui, fra una mezz’oretta, è qua.

— Queste sono le due lire, Pascalì.

— Vi saluto: e grazie.

— Ciccillo viene?

— Fra una mezz’oretta è qua.

— Salutatemelo, Pascalì; ditegli che scusasse, se sono tutti soldi.

— Non fa niente.

Ella restò pensosa, un momento, mentre Pasqualino se ne andava, facendo scricchiolare le sue scarpe. Poi, traendosi dietro la sorellina, attraversò la via, aprì la porticina di un basso e ne trasse fuori un cestino ed un banchetto: Fortuna le portò il banchetto, riattraversarono la strada, ritornarono al loro posto, sul marciapiede. Ora, tenendosi il banchetto innanzi, accovacciata per terra, Vicenzella traeva le noci fresche dal cestino, e vi batteva su, presto presto, con un pezzo, di legno, per staccarne la scorza verde. La scorza verde gocciava acido gallico e le dita di Vicenzella si facevano nericcie, mentre ella formava dei castelletti di sei noci e di dodici noci, aperte, lasciando vedere il mallo bianco.

— Dammi una noce, Vicenze’.

— Tieni.

Dopo averle aperte tutte tutte, Vicenzella mise il banchetto innanzi alla sua sedia e si pose a sedere. Guardava in su, dalla parte del Gigante, se Ciccillo comparisse. La vendita delle noci, sulle prime, andò scarsamente: venne una serva del vicinato, ne voleva otto per un soldo e le deprezzò, erano o fradicie o insipide.

— E perché ci vieni qua? — le disse selvaggiamente Vicenzella. — Rompiti le gambe in un altro posto.

— Così speriamo, di vederti morire uccisa! — esclamò la serva, andandosene.

Un vecchio pensionato, invece, ne comprò due soldi, non leticò sul numero, ma le scelse una per una, disfacendo i castelletti. Pazientemente Vicenzella li rifaceva, domandando a sè stessa, mentalmente, se la mezz’oretta era passata. Giusto, i bambini uscivano dalla scuoletta di don Ferdinando, l’ex capitano borbonico: erano le tre, dunque. I bimbi circondarono il banchetto di Vicenzella, strillando, pestando i piedi, mentre ella cercava di quietarli, fermando le loro mani impazienti: uno specialmente, voleva due centesimi di noci, voleva a forza quattro noci, piangeva, singhiozzando, stringendo convulsamente il due centesimino. Essa gliele dette, egli se ne andò, saltando. Già una striscia di ombra si allungava sulla via di Santa Lucia, e la gente vi s’infittiva: una lieve ombra si distendeva anche sulla faccia di Vicenzella. Aveva vendute tutte le noci, anche. un castelletto di piccolissime, anche un castelletto di fradicie: e restava inerte, con le mani sotto il grembiule, non perdendo mai di vista la discesa del Gigante, donde Ciccillo doveva venire. Fortuna era andata a giuocare con la bambinella di Mariagrazia l’acquaiuola, quando una donna si avvicinò a Vicenzella. Era una donnina magra e bruna, con un filo di coralli rossi al collo, e un vestito di percallo giallone.

— Salute, Vice’, — disse, deponendo per terra una canestra vuota.

— Sei stata a portare la biancheria?

— Già: torno adesso da Porta Capuana.

— Hai esatto?

— Ma che! Figurati che ho scambiato una camicia alla signora e non ha voluto pagare. È proprio una disperazione. Stasera, vedi, avevo promesso a Ciccillo, a quel povero fratello mio, così buono, di fargli certi maccheroni con le alici e con l’olio, che gli piacciono tanto.

Sta fresco! Pane e acqua se li vuole.

— Gli piacciono assai?

— Assai.

— Questi sono venti soldi, Carmela, fagli trovare i maccheroni.

— E che vuoi fare? Se lo sa lui, mi grida! Io non li prendo.

— Fammi questo favore, non glielo dire, prendili: me lo fai proprio per piacere.

— Sì, ma te li restituirò.

— Sì, sì, purché li prendi, ora. Digli che venga, poi, stassera, che non se lo scordi.

— Glielo dico, glielo dico.

Anche Carmela sparì, con un passo rapido, portando la canestra vuota della biancheria sul fianco. Già il tramonto discendeva sul mare e sulla strada, ma Ciccillo non era comparso, non compariva. Gesualda era tornata, col suo passo di oca grassa, col suo pugno pieno di soldi: e si era portata con sé Fortuna, in casa, per cucinare un po’ di pranzo. La piccolina venne a cercare quattro soldi a Vicenzella, per sua matrigna.

— Non li ho.

— Come non li ha? — -gridò la matrigna, coi pugni sui fianchi.

E venne sulla strada.

— Dammi quattro soldi, Vicenze’.

— Non li ho.

— Non è vero, bugiardona.

— Non li ho: e se li avessi, non ve li darei.

— Sì, per darli a quello straccione, a quel briccone, a quello scroccone! Ora fa all’amore con una sarta, fa.

— Non è vero.

— Me lo ha detto la mamma.

— Non è vero.

— Bene, lo vedrai.

— Se lo vedo, non lo credo.

— Sai che vi è di nuovo? Chi non mi dà niente, non mangia: oggi, non mangi.

— Non mangio.

— Sei birbona come tua madre, la buon’anima.

— Se non ve ne andate, vi misuro lo zoccolo in fronte, ma’.

— Sei capace di tutto: ma tu, stasera, non mangi.

Difatti, poco dopo, Gesualda mandò Fortuna a chiamare il padre, allo stabilimento. E si misero tutti tre, intorno a un largo piatto di maccheroni. Vicenzella andava e veniva, preparando certe sue cose per la sera.

— Perché Vicenzella non mangia? — chiese il padre.

— Non ha fame, — disse brevemente Gesualda.

— Non ho fame, — disse Vicenzella.

E se ne uscì. Aveva riportato in casa tutti gli arnesi che le erano serviti per la vendita dei polipi e delle noci. Ora, al suo posto, aveva trasportato un piccolo braciere di creta, dove un fuocherello di carboncini ardeva: e sul fuocherello avea messo a cuocere le spighe di granturco. Con acuto e appetitoso odore le spighe si arrostivano e macchinalmente, con un ventaglio da un soldo, Vicenzella soffiava sul fuoco. Più che mai, ora, ficcava gli occhi nell’ombra, per vedere se colui che aspettava dalla mattina, spuntasse. Non badava ai golosi pescatori che venivano a comperare le spighe arrostite, due per un soldo, non badava alle parole di Maria Grazia, l’acquaiuola, che cenava con un soldo di spighe e le diceva di lasciarlo stare, Ciccillo. Ora, non aveva più pace e tutte le parole che aveva udite contro il suo innamorato, dalla mattina, le ritornavano in mente, cattive, crudeli.

Una comitiva di studenti che avevano fatta una scommessa, volevano delle spighe: essi avevano fatto cerchio, aspettando che si arrostissero, scherzando con Vicenzella, che li guardava senza rispondere, seriissima, quasi truce. Ma ad un tratto, una visione le passò fugacemente innanzi agli occhi: le parve di vedere in tram, Ciccillo, Ciccillo suo, accanto a una ragazza con lo scialletto nero e la frangetta bionda sulla fronte. E senza curarsi delle spighe che si abbruciavano, degli studenti che aspettavano, ella si mise a correre, dietro il tram, come una pazza, stringendo nella saccoccia il coltellino affilato con cui tagliava il polipo, la mattina. Ma il tram fuggiva: e i viandanti si fermavano a guardare questa popolana che lo inseguiva.

Quando arrivò alla piazza Vittoria, il tram era fermo, lasciando discendere i passeggieri.

Un giovanotto e una ragazza discesero; si tenevano per mano, andandosene per la grande via che la luna illuminava. Cauta, silenziosa, feroce, Vicenzella li seguiva: e spasimava, un vapor rosso la faceva delirare. Quelli andavano, lenti, stretti, come perduti d’amore. Ella non resse. Li raggiunse, li divise:

— Assassino, assassino! — urlò come una bestia ferita.

— Ebbene? — disse Ciccillo freddissimamente, — che c’è?

Ella non rispose, guardandolo con gli occhi stralunati.

— Vattene subito a casa tua, — comandò lui.

— Me ne vado, me ne vado subito, — singhiozzò lei, implorando.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.