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Greve cosa m’avene oltre misura,
poi che per forza vegio mi convene
cantar’contro a talento, ond’io mi doglio,
per contar la mia pena e la rancura,
5chè m’è tornato in grande affanno il bene
e la ric[c]a allegranza ch’aver soglio.
Ch’i’ agio amato ed amo co leanza
e fui amato ed eb[b]i gioia intera;
or m’è tornata fera
10la mia dorma [ . . .] for fallanza.
Dunqua, ben mi lamento con drit[t]ura,
la ond’io non ò pec[c]ato vivo in pene;
però di ciò com’albore mi sfoglio.
E s’io potesse contrafar natura
15de la finice, che s’arde e rivene,
eo m’arsera per tornar d’altro scoglio,
e surgeria chiamando pïetanza:
forse che torneria colà dov’era
d’amore a la ’rnprimera,
20sì ch’io raquisteria la mia allegranza.
Pero, Lamento, di gran doglia e dura,
merzè dimanda a chi ’n balìa mi tene
for colpa non m’auzida per orgoglio,
ma brevemente tragami d’ardura
25e de l’affanno ca ’l mio cor sostene;
campar per altra non posso, nè voglio.
Dunqua le di’ che fa dismisuranza
se contro a umilità mi stesse fera,
chè morte mi sembrera
30ogn’altra vita, sì m’à in sua possanza.