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ritrovasse che simigliante proprietate, gentilicio morigeramine, et ducibile humanitate. Per la quale cosa cautamente gli feci essere data la sequente Epistola.
EPISTOLA PRIMA LA QUALE POLIPHILO NARRA ALLA SUA POLIA HAVERE SCRIPTO, ET ESSA UNQUANTULO NON MOVENTISE, LI MANDOE LA SECONDA.
Per la salute della quale, d’altronde non so trovare adiuvamento, si non et dì et nocte, et da qualunque hora di te dolcemente pensare, et pensando fingere uno aptissimo remedio il quale in praesente più necessita che mai. Altramente invalido et infirmo di resistere all’ampliatione di tanta E continua flamma succederae la rapace et exitiale sorte. Per la quale cosa, una di queste, per omni via mi converae da te acceptare. Si alla salute benigna et mite hogi mai te praesterai. Eccomi la foelicitate praesentanea. Eccomi una triumphante victoria adepta. Eccomi una corona d’amore potita. Eccomi pieno contento, et si per aventura (ch’io non mi suado) il contrario facesti. Eccome erumnoso, miserabile, et discontento. La una ambidui satisfacti. L’altra discontenti. Cum vanamente poscia pentirsene. Non consentire per tanto Polia decoramento Nymphale, et amantissima mia di incorrere in questa infame nota che tu consenti al mio almicidio. Perché la tua sublime conditione repugna et discrepa dalla impietate. Niente dimanco, io ti offerisco la oblata et immolata alma, et il mactato core che d’ambidui licente (Come signora) et al tuo libito disponi. Imperoché im perpetuo affectuosamente, et vivo, et morto tuo sum. Vale.
Credando Sacra Matrona che la Damicella, alle mie amorose parole alquanto debitamente essa commota assentisse. Non altramente che il chiamato Corydone da Batto soccorrete al suo dolore. Ma non per altro modo io dispersi vanamente il mio scrivere et parlare, che ad una marmorigena statua. Et tanto fructo alhora feceron gli mei parlari. Quale ova Hyponemia. Et peroe ragionevolmente considerando, che il primo colpo non sfinde l’alboro. Cum herculea audacia, che Amore in me spirava, et per la comperta via commodamente di scrivere. De llà a pauculi giorni, questa seconda epistoletta sedulo et intentamente supersedendo alla mia salute, gli mandai a dire. Se meno fusse l’aspro mio tormento, che la tua usata crudelitate Nympha bellissima et Polia macta virtute alle mie longe afflictione, cum blandivola sperancia mi suaderia a patientia. Ma chiaramente hora io cognosco (per la mia prava et impropitia Stella) la tua cruda saevitia et feritate, qualunque mio incendioso martyrio superchiare et ultra cedere. Dunque che iuva, che vale ad amore di acrescere et incrementare, omni hora, al mio già consumpto corculo, uno tanto dolce foco, si più atroce et frigescente sempre te monstri, più che rigente gelo. Et il pecto tuo più algorifico, che non sono Derce et Nome fonti et più che Salamandra freda che cum il contacto il foco extingue. Alla mia ancillare et servile patientia, et agli mei notificati voti et indicato affecto. Tanto più succenso, quanto più il contrario si oppone della tua ispiacevolecia. Niente dimeno, disvinculare non posso l’amorosa et solida cathena, che sotta tanto molle et premente iugo angariosamente me tene. Immo quanto più ricalcitro, tanto più me implico, preso et captivo in questa amorosa Nassa. Quale muscula nella inextricabile opera di Aragne involuta. Et cusì strictamente revincto, et mancipato et captivo, non valido né apto alla fuga, constrecto son ch’io flectendo me ad te inclini. Perché in te sola consiste la mia libertate pretiosa, et omni mio necessario bene, onde si apertamente intendi Signora mia tanto sincera, et consumata dilectione, et tanta voluntaria subiectione, et tanto activo et operoso amore, perché dunque non voli acceptare tanto liberamente queste cose ad te donate? Cum tutta la vita oblate che nelle tue delicate mano ancipite pende? Heu dulcissima et bellatula Polia soccorri te preco, et lassa et concede penetrare, uno pauculo queste mie (non superbe, non arrogante) ma divote parole nel tuo core. Et suscita in te alquantulo di compassione, recevi gli caldi sospiri, ausculta gli mei domestici et familiari lamenti, cognosci la cordiale benivolentia, attendi ad sì fedele, et mansueto subdito. Imperoché avidutamente io mi moro, me consumo, del tuo immoderato amore. Intanto che tutto il mondo non potria ritraherme né da questo né summovere (più firmissimo di Milone) che io sopra omni altra pretiosissima cosa excessivamente non te ami, coli, et reverisca, et che io cernuo non te adori, o effigiato et vero simulachro di Dea dinanti agli ochii mei, et lo intuito mio publicamente tanto conspicuo et insigne representato. In nel quale limpidissimamente vedo depincto omni mia salute, et expresso omni mia pace dilecto et contento. E ii