< I Nibelunghi (1889)
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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Sedicesima
Avventura Quindicesima Avventura Diciassettesima

Avventura Sedicesima

In che modo Sifrido fu ucciso


     Gunthero ed Hàgen, valorosi e arditi,
Con anima infedel nella foresta
Una caccia apprestâr. Con cuspidati
Lor giavellotti egli volean cinghiali
5Cacciar, bufali ed orsi. Oh! qual potea
Esser cosa più ardita? — In regai foggia
Venìa con essi anche Sifrido, e molti
Cibi di varie fogge altri con seco
In via recava. Ad una fresca fonte
10Ei la vita perdea; ciò gli ebbe ordito
Brünhilde in pria, di re Gunthèr la donna.

     Andava allora il nobil cavaliero
Là ’ve trovò Kriemhilde sua. Ma intanto
Di lui, de’ suoi compagni, altri sul dorso
15Ponea de’ muli un nobile da caccia
E ricco arnese. Andarne egli voleano
Di là dal Reno. Oh! non dovea Kriemhilde
Maggior doglia soffrir! La sua diletta
In bocca egli baciò. Conceda Iddio
20Che salva i’ ti rivegga, o donna mia,
E me riveggan gli occhi tuoi! Tu dêi
Co’ tuoi dolci congiunti a questi giorni
Intrattenerti, che restarmi a casa,
Qui, non poss’io. — Pensò Kriemhilde allora
25(E nulla osò ridir) ciò ch’ella in pria
Ad Hàgene ebbe detto. Incominciava
A lamentar la nobile regina
Perch’ella mai nascesse in vita. Pianse
Di principe Sifrido in là da modo
30La nobile mogliera. Oh! vostra caccia
Abbandonate! al forte ella dicea.
Male sognai la notte, e come due
Feroci verri pel selvaggio loco

Vi cacciavano; rossi per il sangue
35Del prato i fiori. E s’io piango sì forte,
Io n’ho vera cagion. Temo d’assai
Qualche trama funesta ove qualcuno
Abbia offeso chi noi possa d’un odio
Mortale perseguir. Deh! signor mio
40Diletto a me, restate! Io vel consiglio
Con tutta fede. — O mia diletta, ei disse,
Fra giorni brevi tornerò. Nè alcuno
Di questa gente so, che a me del core
Porti alcun odio. I tuoi congiunti tutti
45Benevoli mi son, tutti ad un grado,
Nè da que’ prodi inver diverso affetto
Io mi mertai. — No, no, prence Sifrido!
Io temo il tuo perir! Male sognai
In questa notte, e come due montagne
50Su te cadean dall’alto, e come poi
Non ti vidi mai più. Che se tu vai,
Intima doglia ciò mi fa nel core.
     Cinse de le sue braccia la preclara
Donna Sifrido e la bella persona
55Amoroso baciolle. Ei si prendea

Di là commiato in breve istante. Vivo
Ella nol vide più d’allora in poi!
     Di là, per lor sollazzi, ad una fonda
Selva andâr cavalcando, e molti prodi
60Cavalieri seguìan prence Gunthero
E i fidi suoi; ma Gernòt e Gislhero
A casa rimanean. Di là dal Reno
Molti corsieri andaron carchi, e pane
E vino elli recavano a’ compagni.
65Alla caccia raccolti, e carni e pesci,
Altre provviste e varie, onde ha dovizia
Per suo dritto un signor possente e ricco.
E quelli intanto per la verde selva
Loro ostelli assegnâr contro le uscite
70De le fiere selvaggio, essi, aitanti
E baldi cacciatori, or che la caccia
Dovean guidar per un vasto spianato.
Anche Sifrido là discese, e questo
Fu detto al re. Da tutte parti allora
75Fûr da’ compagni della caccia attorno
Poste le guardie, e l’uomo ardito e forte
Assai, Sifrido, così disse: Scorta

Chi ci sarà di voi, arditi e prodi
Guerrieri, per la selva e sopra l’orme
80Delle belve selvaggie? — Oh! vogliam noi,
Hàgene rispondea, pria separarci
Del cominciar la caccia qui, per ch’io
E questi che son qui, signori miei,
Riconoscer possiam chi fia migliore
85Cacciatore in cotesto andare attorno
Per la foresta. Spartirem le genti,
I cani spartirem; così ne vada
Ciascun là ’ve più vuol. Chi meglio caccia,
Grazie avrà per cotesto. — I cacciatori
90L’un presso all’altro non restâr gran tempo.
     Prence Sifrido disse allor: Di cani
Io bisogno non ho, se un bracco togli
Qual già in tal guisa di ferino sangue
Gusto sentìa, che de le belve i passi
95Per la foresta ben conosca. — Noi,
L’uom di Kriemhilde soggiungea, di meglio
Così alla caccia andrem. — Si prese allora
Bracco sagace un vecchio cacciatore,
E in brev’ora il suo prence in loco addusse

100Là ’ve trovar parecchie fiere, e quale
Via dal suo covo si balzava, i due
Sozi abbattean cacciando, in quella guisa
Che oggi anche fanno cacciatori esperti.
     Ciò che il bracco scovava, ardito assai
105Di sua mano abbattea prence Sifrido,
L’eroe di Niderlànd, e il suo destriero
Sì rapido correa, che nulla al prode
Potea sfuggir, sì che da tutti, in quella
Caccia, encomi ei toccò. Destro ed esperto
110Egli era assai in tutte cose, e quella
Belva che a morte egli abbattè primiera
Con la sua mano, un forte cinghialetto
Fu veramente, ma ben tosto poi
Un immane leon rinvenne il prode.
115Egli con l’arco sferrò un colpo, ratto
Che il can levò la fiera. Acuto strale
Vibravate di contro, e dietro al colpo
Di tre balzi soltanto il leon fero
Innanzi si movea. Grazie rendeano
120A re Sifrido i suoi compagni, ed ei,
Dopo cotesto, un bisonte ed un alce,

E quattr’uri gagliardi ed un immane
Cervo atterrava, rapido. Sì forte
Portavalo dovunque il suo destriero,
125Che nulla gli sfuggìa. Davver! che a stento
Scampo s’avean da lui damme e cerbiatti!
     Ma il can sagace ritrovò un gran verro.
Perch’ei la fuga incominciava, il sire
Della caccia venia su l’orme sue,
130S’arrestava a l’istante, e contro al prode
Balzava il verro in gran disdegno. Allora
Con la spada il colpìa l’uom di Kriemhilde
(Deh! che cotesto non avrìa mai fatto,
In sì agevole guisa, un cacciatore!),
135Ed altri il cane trattenea, la belva
Poi che Sifrido ebbe atterrata. Assai,
Appo quei di Borgogna, conosciuta
Fu di Sifrido la copiosa caccia.
     Diceano i cacciatori: Ove ciò sia
140In piacer vostro, deh! lasciate omai,
Prence Sifrido, incolume di queste
Fiere una parte! Oggi ne fate voi
Disgombro il monte e la valle pur anco.

     Il valoroso, ardito e baldo, a ridere
145Incominciò. Ma d’ogni parte intorno
S’udìan strepiti e grida. Era il fragore
Grande così di genti e di mastini,
Che la montagna e la foresta ancora
Con gli echi rispondean. Venti con quattro
150Mute di cani aveano allor disciolte
I cacciatori; e molte belve intanto
Perdere là dovean la cara vita,
E quelli avean pensier che tanto invero
Fatto avrìan, che in quel di sarìa lor dato
155Il premio del cacciar, nè ciò avverossi
Ratto che al loco in che la vampa ardea,1
Venir fu visto il pro’ Sifrido. Intanto
Era andata la caccia; anche non era
Giunta al termine suo. Chi scender volle
160Al loco de la vampa, ecco portava
Molte con sè pelli di fiere e uccise
Belve d’assai. Di ciò, deh! quanta copia

Alla cucina de’ regi compagni
Allora si recò! Ma re Gunthero
165Noto fe’ intanto a’ cacciatori eletti
Ch’ei cibarsi volea. Ratto, a l’istante,
Dier fiato a un corno con sonante squillo,
E per esso n’andava a tutti noto
Che il nobile signore appo l’ostello
170Rinvenir si potea de’ cacciatori.
     E di Sifrido un cacciator dicea:
Prence, d’un corno dal sonar, che d’uopo
È recarci a l’ostello, or ora ho inteso.
Io risponder gli vo’. — Dietro a’ compagni,
175Dando fiato ne’ corni, assai richiami
Fecersi allor così. Noi pur la selva,
Disse prence Sifrido, or lascieremo. —
E il suo destrier portavaio leggiero,
E quelli seco si partìan. Ma intanto,
180Col romor ch’elli fean, tremenda assai
Una fiera ei scovarno. Era cotesta
Un orso di foresta, e vôlto a dietro
Così dicea quel valoroso: I nostri
Compagni ad un sollazzo io vo’ serbare.

185Voi disciogliete i cani. Io qui mi veggo
Un orso, ed ei di qui fino a l’ostello
Verrà con noi. Se ratto egli non fugge,
Da noi guardarsi ei non potrà. — Disciolti
Furono i cani, e di là diede un balzo
190L’orso feroce e tentò di raggiungerlo
L’uom di Kriemhilde cavalcando. E quello
Ad un loco venìa ’v’eran caduti
Alberi antichi, e del prode avverarsi
La voglia non potea. Là si credea
195Da’ cacciatori incolume la forte
Belva restar. Balzò dal suo destriero
Il buono e ardito cavaliero e l’orrida
Belva rincorse. Ma perchè indifeso
L’orso si stava, non potea da lui
200Sfuggir di tanto. A l’istante ei l’afferra,
Senza ferir per niuna guisa rapido
L’eroe l’avvince. Nè graffi, nè morsi,
Nulla potean sul valoroso, ed ei
A l’arcione il legò, poscia, leggiero
205Tornando in sella, cosi ’l trasse al loco
Del fuoco acceso, con sua molta lena,

De’ compagni a sollazzo, ei valoroso
E buono e ardito. Oh! come in tutta grazia
Di prence e di signore ei cavalcava
210All’ostello del bosco! Era assai grande
Quell’asta sua, e grossa e forte, e un’arma
Leggiadra gli scendea fino agli sproni.
Un bel corno portava il nobil prence
Con seco, in or, che forte luccicava.
215Di miglior veste da cacciar non io
Udii cose narrarmi, e si vedea
Che un giustacuore egli recava attorno
Di nera pelle e un casco in zibellino,
Che ricco era d’assai. Deh! quanti fiocchi
220Splendidi egli portava al suo turcasso!
Sovra il turcasso, per il dolce odore,2
Una coperta in pelle di pantera
Indotta si vedea. Recava ancora
Un arco, e per ingegni altri dovea

225Incoccarlo, ove tendere il volesse,
Mentre Sifrido il fea da solo. Tutta
Era la veste sua di rilucente
Pelle di lontra, e dal capo a le piante
Su la pelliccia si vedean dispersi
230D’altre pelli gli squarci, e sovra quella,
D’ambe le parti al nobile maestro
De’ cacciatori, molti risplendeano
E vari fregi d’or. Portava ancora
La sua Balmunga, un’ampia e bene adorna
235Arma, ed ell'era di cotanto acuta,
Che ove qualcuno a un elmo la vibrasse,
Non si restava dal fenderlo. D’alma
Era intanto gioiosa il cacciatore
Nobile e vago. Ma poichè degg’io
240Tutta esplicarvi questa istoria, l’inclita
Faretra sua di valenti saette
Colma era tutta, e avean le ghiere in oro
Que’ dardi suoi, quanto d’un uom la destra
Ampi nei ferri. Oh sì! morir dovea
245Ratto colui che piaga ne toccava!
     Ne andava allora il nobil cavaliero

Fiero d’assai qual cacciatore, e lui
Miravano avanzar quei di Gunthero
Uomini accolti. Ad incontrarlo ei corsero
250E presergli il destrier. Deh! che a la sella
E forte e grande un orso egli adducea!
     Quand’ei discese dal destrier, la bocca
E i piedi egli sciogliea da le ritorte
Alla belva feroce, e ratto e insieme
255Alto i cani latrâr, quand’elli videro
L’orso disciolto. E volea ricacciarsi
La fiera al bosco, e le adunate genti
Forte ne avean rancura. Al fiero strepito
L’orso correa ver le cucine. Oh! quanti
260Famigli intenti alla regal cucina
Lungi balzâr dal fuoco, e rovesciârsi
Molti caldai frattanto e andâr dispersi
Tizzoni molti. Oh! quante ne la cenere
Fûr viste poi giacersi inclite dapi!
     265Da’ lor seggi balzâr con le lor genti
I prenci allora, e a concepir disdegno
La fiera incominciò; ma il re fe’ cenno
Di sciolti liberar quanti alla soga

Erano cani, e se ciò a bene uscìa,
270Avuto quei si avrìan beato un giorno.
     Con lancie ed archi non a lungo invero
S’indugiâr quelli; essi correan veloci
Là ’ve l’orso fuggivasi. Ma i cani
Poich’eran molti, così niuno ardìa
275Colpir con l’armi, e di grida di genti
Tutto il monte echeggiava. Ecco, a’ segugi
L’orso innanzi fuggiva, e niun potea,
Fuor che l’uom di Kriemhilde, irgli da presso;
Egli ’l raggiunse con la spada, a morte
280Egli ’l colpì. Di là recâr le genti
L’orso ancora appo il fuoco, e quei che videro
L’opra gagliarda, asseverâr che forte
Uomo era quello, e feasi cenno intanto
A’ fieri sozi del cacciar d’andarne
285Tosto a’ lor deschi. In dilettoso prato
Acconciamente elli a seder fûr posti;
Deh! quante ricche dapi a’ cacciatori
Illustri furon date! Ecco! soverchio
Venìan lenti i coppieri, essi, che il vino
290Dovean recar, nè in miglior guisa eroi

Ebbero mai tanti servigi. Falso
Animo in cor s’ei non avean, difesi
Erano i forti da ogni danno sempre!
     Prence Sifrido allor dicea: Mi prende
295Meraviglia di ciò, perchè se tanta
Provvigione s’invia dalla regale
Cucina a noi, non portano del vino
I coppieri. Oh, davver! se a’ cacciatori
Miglior pensiero non si dà, compagno
300Non sarò più a cacciar con voi. D’assai
Degno son io che alcun di me si curi.
     Con mente falsa dal suo desco allora
Il re gli disse: Poi che abbiam disagio,
D’uopo è che a voi si faccia volentieri
305Dovuta ammenda. Ciò avvenìa per colpa
D’Hàgen soltanto. Ei volentier ci lascia
Qui di sete morire. — Hàgene allora
Di Tronèga dicea: Dolce mio sire,
Io mi credea che oggi dovea la caccia
310Ire in Spehtsharte, e il vino io là mandai.
Se oggi sarem senza bevanda, oh! quanto
Ad altra volta eviterò cotesto!

     Disse prence Sifrido: Oh! per cotesto
Grazie da me voi non avrete! Sette
315Carchi di vin claretto e d’idromèle
Qui recar si dovean. Che se non era
Modo a far ciò, allogarci alcun dovea
Là presso al Reno. — Cavalieri illustri
E ardimentosi, di Tronèga disse
320Hàgene allora, qui vicin d’assai
Conosco un fonte d’acque fresche, in ira
Per che andar non vogliate. Or là dovremmo
Correr noi tutti. — Per acerba cura
Di molti prodi inver si diè il consiglio!
     325Ma rancura di sete il pro’ Sifrido
Forte crucciava, e però volle il desco
Rimuovere più presto. Egli volea,
Per la fontina, andarne al monte, e dato
Sol per inganno fu dal cavaliere3
330Questo consiglio. Sopra i carri allora
Ingiunto fu di trasportar per quella

Terra le fiere che colpite e sfatte
Avea la mano di Sifrido, e intanto,
Quando alcun le vedea, molte eran dette
335D’onor parole a lui; ma la sua fede
Hàgen, duro soverchio, a lui rompea.
     Poi che andarne volean là, sotto ai tigli
Della fontana: Mi fu detto assai,
Hàgene disse di Tronèga intanto,
340Che niuno inseguir può, s’egli andar vuole,
L’uom di Kriemhilde. Ei voglia almen
                                                             cotesto
Qui lasciarci veder! — Disse quel forte
Sifrido allor di Niderlànd: Cotesto
345Provar voi ben potete, ove con meco
Sino alla fonte correre vi piaccia,
Gareggiando con me. Ciò di tal guisa
Facciasi, che si dia sua giusta laude
A chi si vegga vincere la prova.
     350Anche di ciò farem la prova, disse
Hàgene, inclita spada; e questo aggiunse
Sifrido il forte: Ed io, per ciò, dinanzi
A’ vostri piedi, sovra l’erba verde,

Posar mi vo’.4 — Come cotesto udìa
355Prence Gunthero, quanto dolce cosa
Questa venne al suo cor! Ma il valoroso5
Arditamente disse: Io più d’assai
Anche vo’ dirvi. Le mie vesti tutte
Vo’ con meco portar, l’asta e la targa
360Insieme e del cacciar l’arnese mio.
     Rapidamente assai la sua faretra
Egli avvinse alla spada, e quelli,6 intanto,
Le vesti si traean dalla persona,
E in due bianche camicie ambo vedeansi
365Là rimaner. Correano poi su l’erba
Come due fiere di selvaggia vita,
Ma primo al fonte giungere fu visto
Sifrido valoroso; egli toccava
In tutte cose, innanzi agli altri tutti,
370L’onor del premio. Là disciolse ratto

La spada e là depose la faretra
E la forte sua lancia al tronco d’uno
Di que’ tigli appoggiò. Stava da presso
Al zampillar de la fontana il prode,
375Straniero in quella terra. Oh! ma ben grande
Era di lui la cortesia! La targa
Al suol depose ove scorrea la fonte,
E ben che sete il tormentasse forte,
L’eroe non bevve già, pria che bevuto
380Non avesse Gunthero. Oh! per cotesto
Male costui gli rese grazia poi!
     Fresca, limpida e buona era la fonte
E Gunthèr si chinava a quel zampillo;
Di là, poi che ne bevve, ei si rizzava,
385E volentier ciò fatto avrìa pur anco
Sifrido ardimentoso;7 egli la sua
Cortesia pagò cara. E ferro ed arco
Via di là gli furava Hàgene intanto
E cacciavasi ancor là ’ve del forte

390L’asta rinvenne, e sogguardava a quella
Immagine di croce in su la veste
Del valoroso. E poichè già bevea
Prence Sifrido alla fontana, lui
Di tal foggia ei colpì per quella croce,
395Che d’Hàgene a le vesti, per la piaga
Spruzzando, di quel core il sangue ascese.
Deh! che sì gran misfatto unqua non fece
Un valoroso! E l’asta il manigoldo
Givi fino al cor giunger gli fea, ma poi,
400Dinanzi ad uom, non volse in fuga mai
Hàgen quaggiù sì come allora. Quando
Si rïebbe da l’orrida sua piaga
Prence Sifrido, si levò dal fonte,
Egli signor, qual forsennato, e ancora
405Lungo d’in fra le scapule dell’asta
Il legno gli sporgea. Credea la spada
E l’arco di trovar l’inclito sire,
E allora, oh sì! toccar la ricompensa
Hàgen potea de’ merti suoi! La spada
410Poi che il ferito di profonda piaga
Là non rinvenne e nulla fuor che l’ampio

Giro egli avea del suo pavese, il tolse
Dalla fontana ed Hàgene rincorse;
Deh! che sfuggirgli l’uomo non potea
415Di re Gunthèr! Ben che piagato a morte,
Egli ’l colpì di tal vigor, che molte
Via schiantâr dal pavese inclite gemme
E parte d’esso anche si ruppe. Allora
Vendicato si avrìa l’ospite illustre
420Volentieri d’assai. Da quella mano
Hàgene a terra andò, sì che al vigore
Del fiero colpo forte risuonava
Il loco agreste. Se alla mano avea
Prence Sifrido la sua spada, morto
425Hàgen era davver. Doleasi il forte
Di sua ferita intanto, e già il prendea
Veramente per essa alta rancura.
     Pallido è il suo color, nè più potea
In piè starsi l’eroe. Già da quel corpo
430Fuggìa vigor, da che i segni di morte
Egli del viso nel color portava
Che livido si fea. — Pianto fu poi
Da molte donne adorne e vaghe. — Intanto

Là, sui fiori, cadea l’uom di Kriemhilde,
435E uscir fu visto dalla sua ferita
In copia il sangue. Incominciò, chè grave
La rancura l’astrinse, alta rampogna
A chi la morte consigliò di lui
Per tradimento. L’uom ferito a morte
440Così dicea: Deh! voi codardi assai,
Che mi valsero adunque i miei servigi,
Per che ucciso m’avete? Io fui leale
E fido a voi; perciò ne pago il fio!
Feste gran male a’ consanguinei vostri,
445E chi un dì nascerà, vergogna ed onta
Si avrà da questo. Sulla mia persona
Grave soverchio vendicaste voi
Lo sdegno vostro. Discacciati un giorno
Sarete voi da’ buoni cavalieri
450Con ignominia. — Ove ei giacea ferito,
Accorrean tutti i cavalieri intanto,
E fu quello per lor veracemente
Giorno scevro di gioia. Egli era pianto
Da chi fede anche avea; di ciò era degno
455Il cavalier cortese e valoroso.

     Piangeva intanto di Borgogna il sire
Di lui la morte. Oh! dissegli il ferito,
Non è bisogno in ciò che il grave danno
Pianga quei che l’ordì. Merta colui
460Gran vitupero, e meglio era cotesto
Abbandonar! — Non so davver, diceva
Hàgen feroce, a che per voi si pianga.
Han fine insiem le nostre cure e tutti
Li nostri affanni, e pochi d’ora in poi
465Troverem che di tanto abbiano ardire
Di resisterci in campo. E me beato!
Da signoria di lui tutti v’ho sciolti!
     Agevolmente, disse allor Sifrido,
Glorïarvi di ciò potete voi.
470Vostra mortale intenzïon spïata
Avess’io, chè da forte innanzi a voi
Difesa avrei questa mia vita! Eppure
Non mi accoro di ciò quanto per donna
Kriemhilde, sposa mia. Misericordia
475Abbiami Iddio perchè mi nacque un figlio,
A cui, ne’ tardi tempi, altri cotesto
Rimprovero farà che i suoi congiunti

Un di lor sangue hanno ferito a morte,
S’io ciò potessi (disse ancor Sifrido),
480Pianger dovrei di ciò più giustamente.
     Pietosamente assai così parlava
L’eroe ferito a morte: O nobil sire,
S’anche vi piace a tal fede serbare
Quaggiù nel mondo, deh! lasciate voi
485Che a vostra grazia accomandata sia
La sposa mia diletta. Ella di tanto
Godasi almen perch’è sorella vostra.
Con ogni pregio di regal signora,
Con fè, si stette presso a voi. Oh! a lungo
490Attender mi dovranno il padre mio
E i miei fedeli! Oh! per diletto amico
Maggiore affanno di cotesto a donna
Giammai non si recò! — Da tutte parti
Eran del sangue suo bagnati i fiori,
495Ed ei lottava con la morte. A lungo
Non fe’ cotesto, chè profonda assai
La mortifera punta il lacerava,
E l’uom gagliardo, valoroso e bello,
Nulla più dir potè. Ratto che i prenci

500Vider morto l’eroe, sovra una targa
Che d’oro risplendea, sì l’adagiavano
E a consiglio venìan di qual mai guisa
Avverarsi potea che si celasse
Ciò che Hàgen fatto avea. Diceano molti:
     505Male ci accadde! Ora celar v’è d’uopo
Tutto e del pari asseverar che lui,
L’uom di Kriemhilde, uccisero i ladroni,
Mentr’egli andava per la selva, allora
Che solo a caccia cavalcar volea.
     510Hàgene disse di Tronèga: Io solo
Il recherò a la terra. È lieve cosa
Per me che noto ciò si renda a lei
Che di Brünhilde in così fiera guisa
L’anima rattristò. Poco d’assai
515Di quanto piangerà, davver! m’importa.


  1. Un fuoco acceso nella selva per comodo dei cacciatori e per cuocervi le vivande.
  2. Credevasi nel Medio-Evo che la pantera mandasse un odore molto soave.
  3. Hagene.
  4. Io starò seduto, mentre altri si spiccherà alla corsa, e ciò per dargli vantaggio e vincerlo ancora.
  5. Sifrido.
  6. Hagene e Gunthero.
  7. Di levarsi cioè come Gunthero. Ma non potè.

Note

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