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Avventura Trentasettesima
In che modo fu ucciso Rüedgero margravio
Egregiamente in quel mattin pugnato
Avean gli ospiti inver. Di Gotelinde
Venne in corte lo sposo e in tutte parti
Vide l’orrido scempio. Oh! dal profondo
5Dell’alma ne gemè il fido Rüedgero!
Ahimè! disse l’eroe, perch’io la vita
Ebbimi un giorno! E niun sì grave doglia
Cancellar qui potrà! Quantunque volte
Io chiegga pace di gran cor, la pace
10Non farà il signor mio, chè più e più sempre
Dolori ei vede qui. — Mandava alcuno
Appo Dietrico il buon Rüedgero, in quale
Guisa ei potean da’ suoi proposti il fiero
Prence a dietro ritrar, ma in questi detti
15Gli rispondea quel da Verona: A tanto
Chi sobbarcarsi mai potrìa? Non vuole,
Ètzel prence non vuol che alcun l’orrenda
Lite disgiunga. — Tal degli Unni eroi
Vide là starsi con occhi piangenti
20Rüedgero allora (e molto pianto invero
Avea quel prode), e alla regina disse:
Vedete voi sì come sta cotale
Che ha maggior possa innanzi al prence, e a cui
Tutto soggetto sta, genti e paesi!
25Deh! quanti ènno a Rüedgèr dati in
possesso
E castelli e città ch’egli dal sire
Toccar dovè! Ma nel presente assalto
Un colpo ei non vibrò degno di lode.
30Sembrami inver che nulla egli si curi
La gran faccenda come va, sua voglia
Da ch’ei toccò nella pienezza. E dicesi
Ch’egli è più forte che altri mai nol possa;
Ma trista è sua parvenza in questa cura.
35Con anima crucciosa a quei che in questa
Guisa egli udiva favellar, l’eroe,
L’uom sì fedele, riguardava. Il fio
Di ciò pagherai tu! pensava in core.
Tu di’ ch’io son codardo, e la tua fola
40Con troppo alta la voce hai detta in corte.
Cominciò il pugno a chiudere e a colui
Corse d’un tratto e di sì fiera possa
L’uom degli Unni colpì, che quegli al piede
Tosto gli giacque estinto. Oh! ma di tanto
45Allor crescea d’Ètzel re la rancura!
Là, tu codardo e vil! disse Rüedgero.
Doglia ed angoscia che mi basti, assai
Ho io davver. Per ch’io qui non combatto,
A che gridando vai? Che se foss’io
50Per cagion grave d’alcun odio preso
Per tali ospiti qui, ciò che poss’io,
Fatto avrei veramente, ove si tolga
Ch’io qui addussi gli eroi. Lor guida fui
Del mio prence alla terra, e questa mia
55Mano, infelice assai, pugnar non dee.
Disse al margravio allora Ètzel, illustre
Prence e signor: Di qual mai guisa voi,
Nobil Rüedgero, ci aitaste adunque!
Poi che molti qui abbiamo in nostra terra
60Già dati a morte, d’uopo a noi non era
Di più d’averne; e male assai faceste.
Così rispose il cavaliere illustre:
Perchè costui l’anima mia crucciava
E a me rimproverò la mia dovizia
65E gli onori ch’ebb’io dalle tue mani
In copia grande, al menzognero incolse
D’incomoda accoglienza un cotal poco.
Venne allor la regina, ed ella ancora
Visto avea ciò che incolse all’uom degli Unni
70Per l’ira dell’eroe, chè fieramente
Ella piangeva, e n’eran gli occhi molli.
A Rüedgero ella disse: Oh! di qual guisa
Questo mertammo noi che l’aspra doglia
A me aumentiate e al mio signor? Diceste,
75Qui voi diceste a noi, nobil Rüedgero,
Che l’onore e la vita anche per noi
Rischiata avreste, ed io da molti intesi
Prodi e gagliardi tributar le lodi
A voi più grandi. Vostra grazia ancora
80Io vi ricordo e il giuro che mi feste,
Eletto cavalier, quando a le nozze
D’Ètzel mi consigliaste, in fino a morte
D’uno di noi di darmi aita.1 Affanno
Sì grave a me, donna infelice, mai
85Non m’incolse però. — Scevro è cotesto
Da ogni menzogna. O donna illustre, a voi
Io sì giurai che con l’onor la vita
Rischiata avrei. Ma per ch’io l’alma perda,
Io giurato non ho. Cotesti prenci
90D’alto lignaggio a questa festa addussi.
Ed ella disse: Pensa tu, Rüedgero.
A quella tua gran fedeltà! Deh! pensa
Alla fermezza tua, al giuramento,
Chè sempre tu volesti il dolor mio.
95Tutto, col danno vendicar. — Niegato
Raro d’assai v’ho alcuna cosa, ei disse.
A pregar cominciava Ètzel ancora,
Il potente signor. Ambo a’ suoi piedi
Elli2 piegârsi, innanzi a lui, ed altri
100Vide frattanto del margravio illustre
Il corruccio e il dolor. Pietosamente
Così parlava il leal cavaliero:
Misero me, poverello di Dio,
Per ch’io son visso fino a questo giorno!
105Da tutte opre d’onor che Dio comanda,
Lealtà, cortesia, ritrarmi a dietro
Degg’io così! Deh! Signor mio del cielo,
Perchè la morte ciò non toglie? Quale
Cosa tralasci, a qual’altra m’appigli,
110Sempre son io d’opra malvagia e trista
D’assai autore! E s’io questi abbandono
Insieme a quelli, biasimo la gente
Tutta farà di me. Prego che tale
Che in vita mi chiamò, mi dia consiglio.
115E molto allora il supplicâr pregando
Il prence e la sua donna. Ecco, per mano
Di Rüedgero, così, perder la vita
Dovetter molti cavalieri, ed ei
Morì pur anco, ei valoroso, e voi
120Qui udir dovete assai che grave doglia
Oprando egli destò. Sapea che male
Avrìa toccato e danno inconsüeto,
E volentieri l’opra sua niegata
Avrebbe al prence e alla regal sua donna;
125Ma forte egli temea che odio la gente
Gli avrìa portato poi, quando colpito
Alcuno avesse de’ Burgundi. Allora
Disse al suo prence l’uomo accorto e saggio:
Riprendetevi adunque, o re signore,
130Tutto ciò che ho da voi, la terra vostra
Ed i castelli. Presso a me di tanto
Nulla or può più restar. Vogl’io recarmi
Co’ piedi miei in terra estrana. — E intanto
Chi qui m’aita? disse il re. La terra
135Ed i castelli e tutto a te, Rüedgero,
Io vo’ dar perchè tu da’ miei nemici
Mi voglia vendicar. Sarai tu allora,
D’Ètzel al fianco, regnator possente.
E Rüedgero dicea: Di qual mai foggia
140Farei cotesto? A casa mia chiamati
Ho io que’ prenci e porsi lor bevanda
E cibo ancora amicamente e diedi
Anche i miei doni. E tramar la lor morte
Come, oh! come potrei? Creda la gente
145Agevolmente che codardo io sono;
Ma il mio servigio a questi prenci illustri
Non ricusai, nol ricusai a quelli
Lor consorti, e mi dolgo or d’amicizia
Qual con essi ho contratta. E la mia figlia
150A Giselhero cavalier donai,
Ed ella in terra non potrìa di guisa
Collocarsi miglior, pel far cortese
E per l’onor di lui, per la sua fede
E la dovizia. Prence non vid’io
155Sì giovinetto mai d’alma che fosse
Veracemente di sì gran valore.
Ma Kriemhilde dicea: Nobil Rüedgero,
Del duol d’ambo noi due, di me, del sire,
Impietosir ti lascia, e pensa ancora
160Che ospite in casa non accolse mai
Ospiti sì riottosi! — E di rimando
Disse il margravio a quella donna illustre:
Oggi adunque così dee di Rüedgero
Pagar la vita ciò che voi e questo
165Mio principe di grazie mi faceste
E di favori, e morirne degg’io,
E ciò indugiarsi più non può. Già veggo
Che la mia terra e li castelli miei
Oggi, per man d’alcun de’ vostri, vuoti
170Di lor principe andranno. A vostra grazia
Però accomando la mia donna e quella
Figlia mia giovinetta e quelli molti
Che a Bechelara vivono tapini.
Rüedgero, Iddio ti ricompensi intanto!
175Ètzel principe disse. — Ambo eran lieti,
Egli e la donna sua regale. — A noi
Bene saranno le tue genti tutte
Accomandate, ed io confido ancora
Nella fortuna mia che tu pur anco
180Incolume uscirai dalla tenzone.
Ad estremo periglio ei così pose
E la persona e l’alma. Incominciava
A lagrimar d’Etzel la donna, e il prode
Così dicea: Ciò che promisi adunque,
185Or prestarvi degg’io. Deh! amici miei,
Ch’io contro voglia a contrastar m'accingo!
E dal cospetto del suo re fu visto
Andar mesto e cruccioso. I prodi suoi
Egli rinvenne; ei stavangli daccanto,
190Ed egli disse: Armarvi ora v’è d’uopo,
Voi tutti, amici miei. Deh! che degg’io
I Burgundi assalir valenti e arditi!
E tosto elli accennâr che ognun balzasse
Là ’ve rinvenne l’armi sue. Qual era
195Elmo o di terga immenso giro, a quelli
Cotesto si apportò da’ lor famigli,
E gli stranieri ardimentosi poi
Udîr dolenti le novelle. Armato
Con cinquecento suoi stava Rüedgero,
200Qual, dopo questi, dodici campioni
A sua aita acquistò. Volean cotesti
Lode acquistarsi in periglioso assalto,
Nulla ei sapean che lor tanto si fea
Morte vicina. Ed ecco si vedea
205Rüedcgero avanzar di sotto all’elmo,
E del margravio gli uomini consorti
Recavan spade acute, anche alle braccia
Ampi scudi e lucenti. E ciò vedea
Di giga il suonator (grave rancura
210Gli fu cotesta), e Giselhèr garzone
Vedea pur anco, la celata avvinta,
Lo suocero avanzar. Come potea
Intendere Gislhèr che altro pensasse,
Fuor che tutto d’onesto, il vecchio prence?
215Però fu l’alma del nobil signore
E giovinetto veramente lieta.
Oh! me beato per cotanto amico,
Disse Gislhero cavalier, che in questo
Viaggio nostro ci acquistammo! Noi
220Qui, per la sposa mia, buon frutto assai
Avremo intanto, e m’è cagion di gioia
Che facciansi, in mia fè, le nozze mie!
Io non so di che mai vi confortate,
Disse di giga il suonatore. Oh! dove,
225Oh! dove mai, perchè tregua si faccia,
Venir vedeste voi con gli elmi avvinti
Tanti guerrieri, e portar nelle mani
Le spade ancora? Sopra noi desìa
Per sue castella e per la terra sua
230Aver merto Rüedgero! — Ed a l’istante
Che sua parola il suonator di giga
Così finìa, quell’inclito Rüedgero
Visto fu là, dinanzi dal palagio.
Quella buona sua targa egli deposta
235Avea dinanzi a’ piedi or che agli amici
Disdir servigi ed amistà dovea.
Verso la sala il nobile margravio
Questa voce mandava: Ora voi tutti
Vi difendete, o Nibelunghi arditi.
240E v’era d’uopo aver di me l’aita;
Or da mia forza vi guardate. Amici
Eramo in pria, ma dell’antica fede
Ora spogliar mi vo’. — A quell’annunzio
Fûr costernati gli uomini tapini,
245Chè non ebbe un sol d’essi alcuna gioia
Per ch’egli sì con tal, ch’eragli amico,
Or dovesse pugnar. Da’ lor nemici
Durato avean soverchio duolo assai.
Gunthèr prode dicea: Deh! voglia intanto
250Iddio dal ciel che anche vêr noi si muova
La vostra grazia e quella molta fede,
In che speme abbiam noi! Vogl’io più tosto
Questo pensar, che tanto che voi dite,
Non farete giammai. — Lasciar cotesto,
255No! non poss’io, gridò quell’uom valente.
Or che promessa ne fec’io, m’è d’uopo
Pugnar con voi. Vi difendete adunque,
Ardimentosi eroi, se pur v’è cara
Anche la vita. Sciogliermi non volle
260Dalla impromessa mia d’Ètzel la donna.
Troppo tardi, rispose il gran monarca,
L’amicizia a disdir qui v’adducete.
Nobil Rüedgero, vi compensi Iddio
Per quella fè, per quell’amor che a noi
265Mostraste un giorno, ove serbar cotesti
Sensi vogliate sino al fine! E sempre
Vi sarem noi, se viver ci lasciate,
Ligi e devoti, io qui co’ miei congiunti,
Perchè ci deste un dì quei doni vostri
270Splendidi, allor che ci menaste in fede
Qui, nella terra d’Ètzel prence. Tanto,
Nobil Rüedgero, ricordar vi piaccia!
Disse Rüedgero cavalier: Deh! quanto
Volentieri vorrei ch’io qui dovessi
275I miei doni impartirvi in tutta copia
Con tanta volontà di quanta ebb’io
Nel cor la speme. Nessun biasmo allora
Altri di tanto mi farebbe. — Oh! a dietro
Vi ritraete, nobile Rüedgero!
280Disse Gernòt, chè veramente in tanta
Cortesia non riceve ospiti alcuno,
Sì come feste a noi. Però buon frutto
Sì ne godrete voi, quando alla vita
Ci sia dato restar. — Disse Rüedgero:
285O nobile Gernòt, volesse Iddio
Che anche al Reno voi foste ed io giacessi
Morto con qualche onor, poichè degg’io
Qui pugnar contro a voi. Da gente amica
Niuna cosa peggior si fe’ di questa
290A valorosi. — E Iddio vi ricompensi,
Prence Rüedgero, l’altro disse allora,
Per vostr’incliti doni! E mi rincresce
La vostra morte, se perir con voi
Debbe tanta virtù. Quell’arma vostra
295Che già mi deste, o buono eroe, qui reco.
Essa giammai non venne meno, in tutta
Questa distretta, a me. Giacquero estinti
Sotto la punta sua molti gagliardi,
E splendïente ell’è, forte, possente
300E buona ancor. Sì ricco dono un prode
Non fe’ giammai, mi penso. Ora, se a dietro
Non vi trarrete voi, se anche v’è d’uopo
Avanzar contro a noi, dove qualcuno
Di questi amici mi piagate, quali
305Anche ho qui dentro, a voi con questa stessa
Spada il viver torró. Di ciò mi cruccio,
Rüedgero, e n’avrà duol la donna vostra
Inclita e illustre. — Ciò volesse Iddio,
Prence Gernòt, anche avvenir potesse
310Che qui di voi si faccia ogni desire
Ed escane non tocca la persona
Vostra diletta! Lor fidanza in voi
Così potrìan riporre e la mia donna
E quella figlia mia. — Gislhero allora,
315D’Ute leggiadra il giovinetto figlio,
Ei de’ Burgundi, così disse: Oh! dunque,
Prence Rüedgero, a che per voi s’adopra
In questa guisa? Quei che meco vennero,
Tutti amici vi sono, ed opra trista
320Incominciate voi. La vostra bella.
Figlia, davver! che di buon’ora assai
Bramate voi far vedova! Se voi
Co’ vostri prodi contro a me in battaglia
Restar volete, con qual alma rea
325Veder farete voi ch’io, più che in tutti
Altri, in voi solo confidai nel tempo
Che sposa i’ mi cercai la figlia vostra!
Pensate a vostra fè, nobil signore
E illustre, ove di qui mandivi Iddio
330Incolume! rispose a lui Rüedgero.
E fate intanto che la figlia mia
Per me non porti alcuna pena. Voi,
Per quella vostra virtù stessa, a lei
Sì vi mostrate grazïoso. — Disse
335Giselhèr giovinetto: Io veramente
Farò cotesto. Ma se questi miei
Congiunti illustri (e son elli qui dentro)
Morir per voi dovranno, oh! l’amicizia
E ferma e certa verso te, vêr quella
340Figliuola tua, sarà disfatta allora!
Allor ci aiuti Iddio! disse quel prode. -
E gli scudi levâr come se all’aula
Ch’è di Kriemhilde, ascendere ei volessero
Con gli stranieri ad ingaggiar battaglia;
345Ma dall’alto all’ingiù con chiara voce
Hàgene allor gridò: Nobil Rüedgero,
Hàgene così disse, anche per poco
V’arrestate. Assai più parlar con vosco
Io e li prenci miei, come ci astringe
350Necessità, vogliamo. E che mai giova
Di noi tapini ad Ètzel re la morte?
Ed io mi sto in rancura grave, disse
Hàgene ancora, chè la targa, quale
Mi diè a portare donna Gotelinde,
355Questi Unni al braccio m’han spezzata.
In questa
D’Ètzel contrada con amica voglia
Io la recai. Deh! voglia Iddio dal cielo
Tanto adoprar ch’io possa aver sì buona
360Targa per me, come tu l’hai, Rüedgero
Nobile, al braccio! Allora, io nella pugna
Bisogno non avrei d’alcun usbergo.
Volentieri d’assai d’esta mia targa
Giovevol ti sarei, quand’io d’offrirla
365A te avessi l’ardir qui, di Kriemhilde
Innanzi agli occhi. Prendila, ed al braccio,
Hàgen, la porta tuttavia. Potessi,
Potessi tu de’ Burgundi alla terra
Anche portarla! — E allor ch’egli offerìa:
370Di sì donar di tal libera voglia
Quel suo pavese, rossi per le calde
Lagrime a molti si fêr gli occhi, e quello
Fu il dono estremo che ad alcun gagliardo
Rüedgero offrì di Bechelara. Alcuno
375D’allora in poi non ne offerì. Per quanto
Feroce fosse e d’anima oltraggiosa
Hàgene prence, in lui destò pietade
Il don cortese, che, all’estremo istante
Così vicino, gli fe’ il buon guerriero,
380E seco molti cavalieri assai
Ad averne tristezza incominciaro.
Or vi compensi Iddio dal ciel, Rüedgero
Nobile assai! Non fia che viva alcuno
Eguale a voi mai più, che doni faccia
385Di questa guisa generosa e grande
A cavalieri estrani. E voglia Iddio
Tanta virtù di voi vivasi eterna!
Oh! tristi noi di tanto! aggiunse allora
Hàgene prence. Altri dolori assai
390Qui abbiamo a sopportar. Ma se ci è d’uopo
Con amici pugnar, di ciò mi lagno
Innanzi a Dio. — Disse il margravio: Questo
È tal dolor che a l’intimo penètra.
Or io del don vo’ compensarvi, o nobile
395Rüedgero assai. Qualunque adoprin guisa
Incontro a voi cotesti eroi gagliardi,
Nella battaglia questa destra mia
Non toccheravvi mai, s’anche voi tutti
Quei che venìan dalla burgundia terra,
400Qui trucidaste. — E con atto cortese
Il buon Rüedgero s’inchinò. Piangeano
Da tutte parti, perchè alcun sì grave
Ambascia non potea toglier da quelle
Anime, e grande assai n’è la rancura.
405Morto sì giacque con Rüedgero allora
D’ogni virtude il genitor. Frattanto,
Dal palagio gridò quello di giga
Volkero suonator: Poi che la pace
Hàgen compagno mio fece con voi,
410Anche dalla mia man, di questa guisa,
Ferma la pace abbiate voi. Cotesto
Mertaste inver, Rüedgero, allor che noi
In questa terra siam venuti. E voi,
Nobil margravio, il messaggiero mio
415Esser dovete ancor. Chè questi anelli
Fulgidi mi donò la donna vostra
Per ch’io sì li recassi a questa festa.
Mirarli voi medesmo, ecco! potete,
Sì che di me ne siete in testimonio.
420Dio volesse dal ciel, disse Rüedgero,
Che anche più assai dar vi dovesse ancora
La donna mia! Ma questo annunzio a quella
Mia donna cara di gran voglia e core
Io ridirò, se ancor vedrolla in vita.
425Voi siate in questo da ogni dubbio sciolto!
Come di ciò gli fe’ impromessa, in alto
Levò lo scudo Rüedegero; e l’alma
Gli si destò, ned ei potè più a lungo
Inerte rimaner. Pari a un eroe
430Ei si cacciava agli ospiti di contro.
Assai colpi tremendi, ecco! sferrava
Il possente margravio. I due, Volkero,
Hàgen con esso, stavansi più lungi,
Chè a lui cotesto in pria questi due prodi
435Avean promesso; ma sì arditi eroi
Starsi là da le porte egli rinvenne,
Che la battaglia con gran cura e affanno
Rüedgero incominciò. Lasciâr ch’entrasse
Dentro alla sala e Gernòt e Gunthero
440E ciò elli fean per assassina voglia;
Avean pensiero di gagliardi. Intanto
Stava più lungi Giselhero, a cui
Era davvero di dolor cagione
La trista pugna. Al dolce viver suo
445Egli pensava ancor; però Rüedgero
Ei d’evitar curava. Ecco! balzavano
Contro ai nemici del margravio gli uomini,
Ch’elli fûr visti seguitar lui principe
Da valorosi assai. L’armi ei recavano
450Taglienti in pugno; ed elmi si schiantavano
Molti allora e di targhe i cinti splendidi.
E que’ Burgundi, stanchi assai, sferravano
Colpi tremendi che laggiù scendeano
Dritti e profondi, per le maglie nitide,
455Drizzati al loco ove soggiorna l’anima,
Su quei di Bechelara. Ecco! elli feano
Opra stupenda in la tenzon terribile.
Già del margravio l’inclito drappello
La sala penetrò. Rapidi incontro
460Balzâr Volkero ed Hàgene. Oh! cotesti,
Fuor che a quel solo, non concesser tregua,
E tosto d’ambo per le mani il sangue
Scorse da le celate. Oh! di qual foggia
Spaventosa davver le molte spade
465Là dentro tintinnâr! Di sotto ai colpi
Da le targhe schiantâr molti gheroni
E nel sangue balzaro inclite gemme
Da’ pavesi divelte. Elli in tal guisa
Pugnâr tremenda, qual non mai si vide.
470Di qua, di là di Bechelara il duce
Andava intanto come quei che molto
Acquistar vuoisi nelle sue battaglie
Per guerresca virtù. Chiaro d’assai
Fe’ Rüedgero in quel dì che un prode egli era
475Molto ardito e di lode anche ben degno.
E di qua intanto stavan questi prodi,
E Gunthero e Gernòt. Ne la battaglia
Morti batteano al suol guerrieri assai,
E Gislhero e Dancwarto ambo leggiera
480Stima facean di tanto. Elli cacciavano
Assai valenti al giorno estremo. Oh! quanto
Ch’egli era forte e valoroso assai
E bene armato, addimostrò Rüedgero!
Quanti gagliardi egli atterrò! Cotesto
485Vide tal de’ Burgundi,3 e di furore
Voglia rabbiosa gli venìa. Di tanto
Del nobile Rüedgero incominciava
La morte allora ad avanzar. Quel forte
Gernòt a sè chiamò l’eroe valente;
490Al margravio ei dicea: Nobil Rüedgero,
Niuno adunque de’ miei lasciar vi piace
Da voi non tocco! Ciò mi affligge assai
Da misura di là. Cotesto ancora
Riguardar non poss’io. Davver che
495vengono
A recar danno assai li vostri doni,
Se tanti già di questi amici miei
Tolti m’avete. O prode ardito e illustre,
Deh! vi traete a questa parte, ch’io
500I vostri doni a quel più alto prezzo
Vo’ meritar che m’è concesso ancora.
Pria che giungesse il nobile margravio
A lui da presso, splendidi d’assai
Dovean gli arnesi mutar tinta.4 Allora
505L’un contro l’altro s’avventâr que’ due
D’onor bramosi, e incominciò a guardarsi
D’essi ciascuno dalle inferte piaghe.
Eran lor spade di tal guisa acute,
Che nulla incontro star potea. Colpìa
510Rüedgero cavalier Gernòt allora
Per l’elmo duro come pietra, e il sangue
In giuso ne colò. Ratto il compenso
Gli diè l’eroe valente e ardimentoso,
Ch’ei levò in alto dalle mani sue
515Di Rüedgero quel dono,5 e benchè a morte
Piagato ei fosse, per il forte scudo
Un colpo gli sferrò su le giunture
Della celata. Ne dovea lo sposo
Morir della leggiadra Gotelinde.
520Davver! che mai non ebbe ricompensa
Peggior sì ricco dono! e li cadeano
Ambo trafitti e Gernòt e Rüedgero
Entro la pugna, d’ugual foggia, l’uno
Per la destra dell’altro. Allora in pria
525Hàgene s’adirò, poichè rovina
Sì grande apprese. Male incolse a noi!
Disse quel prode di Tronèga. Noi
Ne’ due caduti sì gran danno avemmo,
Quale la gente d’ambedue non puote
530Risarcir, non la terra. E sono in pegno
A noi che siam venuti alla distretta,
Di Rüedgero gli eroi. — Deh! fratel mio,
Mortai scempio si fe’! Quante mi giungono
Ad ogni istante novelle di doglia!
535Anche in eterno del nobil Rüedgero
Degg’io dolermi, e d’ambedue le parti
Il danno resta e grande è assai l’affanno!
Poi che sire Gislhero estinto vide
Là lo suocero suo, ratto per lui
540Quei ch’eran dentro all’aula, aspro dolore
Toccar dovean. Fiera cogliea la morte
Quelli devoti al suo drappello, e lunga
Ora non si restò di Bechelara
Un solo intatto. E Gunthero e Gislhero,
545Hàgene ancor, Volkero, anche Dancwarto,
Tutti prestanti cavalieri, al loco
Traeansi allor ’ve giacenti que’ due
Rinvennero. Con gemiti si fece
Ivi un lamento dagli eroi. La morte,
550Disse Gislhero giovinetto, assai
Ci deruba crudel. Lasciate voi
Il pianger vostro, e vengasi per noi
Dell’aria allo spirar, perchè le maglie
Di noi stanchi da l’orrida tenzone
555Rinfreschinsi. E mi penso che più a lungo
Iddio non voglia qui lasciarci in vita.
De’ molti cavalieri altri fu visto
Sedersi allora, altri appoggiarsi. Stanchi
Egli erano davver. Là di Rüedgero
560Tutti morti giaceano i valorosi,
E il tumulto cessava; e poi che lungo
Era il silenzio, di cotesto avea
Ètzel corruccio. Ahimè! di tai servigi!6
Disse del sire la mogliera. Tanto
565Ei non son fermi, che toccarne il danno
D’esti nostri nemici, per la mano
Di Rüedgèr, debba la persona. Ei certo
Vuol rimenarli de’ Burgundi a quella
Terra di qui. Che vale, Ètzel sovrano,
570Che noi dessimo a lui ciò ch’egli volle?
Ma il prence ne ingannò. Cura la pace
Quei sì che vendicar qui ci dovea.
Volkèr le rispondeva, il cavaliero
Aggraziato e gentil: Deh! che non tale
575Va la faccenda, o di nobile sire
Inclita donna! Se ardimento avessi
Io d’affermar che mentesi costei
Nobile tanto, sì direi qui ancora
Che in diabolica foggia per Rüedgero
580Ella mentì. Per questa pace ei sono,
Egli e que’ prodi suoi, tutti delusi;
Ed egli di tal ferma volontade
Fe’ ciò che indisse quel suo prence a lui,
Che qui si giace co’ famigli suoi
585Morto. Dattorno or vi guardate voi,
Donna Kriemhilde, a chi volete ancora
Dar li comandi vostri. Ecco, servito
V’ha fino a morte eroe Rüedgero. E quando
Non crediate cotesto, a voi cotesto
590Altri farà veder. — Questo si fea
Del cor di lei per strazio e per tormento,
Che tosto il morto eroe là ’ve il suo prence
Potè vederlo, fu portato. Ai prodi
D’Ètzel davver! che non incolse mai
595Tanto dolore! E là portar l’estinto
Margravio come quelli anche vedeano,
Scrivere uno scrittor mai non potrìa
I molti lai di donne, anche degli uomini,
Nè ridirli giammai, quali del core
600Per doglia acerba a udir s’incominciaro
Allora e là. Sì grande era l’ambascia
D’Ètzel, che il grido del gran re possente,
Per la doglia del cor, voce parea
Di leon fero; e quella donna sua
605Cotesto fea pur anco. Assai assai
Del buon Rüedgero elli piangean la vita.
- ↑ Cioè d’aiutarini fino alla morte mia o fino alla vostra, cioè per tntta la vita.
- ↑ Etzel o Kriemhilde.
- ↑ Gernot.
- ↑ Cioè tingersi di sangue.
- ↑ La spada già donatagli da Rüedgero a Bechelara.
- ↑ Si lagna Kriemhilde che Rüedgero abbia vilmente prestato il suo servigio.