< I Nibelunghi (1889)
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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Ventiseesima
Avventura Venticinquesima Avventura Ventisettesima

Avventura Ventiseesima

In che modo Gelpfrat fu ucciso da Dancwarto


     Come tutti fûr scesi in su l’arena,
Cominciò il sire a dimandar: Chi dunque
Additarci dovrà per questa terra
La via diritta, sì che alcun dì noi
5Non si smarrisca? - E il gagliardo Volkero,
Sol io di ciò darommi cura, disse.
     Or vi state in silenzio, Hàgen dicea,
O cavalieri, o fanti, e segua ognuno
Gli amici suoi, chè ciò sembrami buono!
10Trista novella assai vi farò nota:
Là, de’ Burgundi alle contrade, noi
Mai più non tornerem! Questo a me dissero

Oggi, di gran mattin, due di quest’acque
Donne veggenti, che nessun di noi
15Ritornerà. Sì vi consiglio intanto
Di ciò che far si dee: l’armi prendete,
O valorosi. E d’uopo è sì che voi
Vi difendiate! Assai potenti abbiamo
Nemici qui, perchè d’uopo ei sia
20Difesi camminare. Io mi credea
In menzogna trovar queste dell’acque
Donne veggenti. Dissero che niuno
Incolume di noi sarìa tornato
Alla sua terra, tolto il sacerdote.
25Però, ben volentieri oggi l’avrei
Dentro a l’acque affogato. — Esta novella
Di schiera in schiera andò volando allora,
E per rancura molti eroi gagliardi
Si feron smorti. Incominciâr pensando
30La morte dura in quel vïaggio a corte,
E sì n’avean ragion verace. Scesi
Come fûr su la sponda appo Moeringa,
Là ’ve la vita d’Èlse al navalestro
Hàgene tolse, Hàgen così dicea:

     35Poi che nemici su cotesta via
M’ho procacciati, veramente noi
Avremo assalti. Il navalestro stesso
Io questa mane uccisi. E quelli intanto
Sanno cotesto. Arditamente all’opra
40Deh! vi ponete, ove Gelpfràt ed Èlse
Oggi movano assalto ai nostri amici,
Sì che lor danno tocchi. Ardimentosi
Sì li conosco, e non fia mai che questo
Da lor si lasci. Ma voi fate i vostri
45Destrieri andar più lenti, e non si creda
Alcuno mai che per la via fuggiamo.
     Questo consiglio vo’ seguir, dicea
Gislhero il valoroso. E chi frattanto
Fia che guidi in la terra csti famigli?
     50Elli dicean: Volkèr faccia cotesto,
Chè passaggi e sentieri gli son noti,
Egli, di giga il suonator valente.
     Prima che tutto lor desìo per loro
Espresso fosse, starsi in armi visto
55Fu quel di giga suonatore. Avvinse
L’elmo, e di vaga tinta alto-splendente

Era di guerra la sua veste. Ancora
Ad un’asta ei legò di color rosso
Un pennoncello, e da quel giorno in grave
60Rancura ei venne co’ monarchi amici.
     Del navalestro, intanto, era la morte
Pervenuta a Gelpfràt per vero annunzio,
E già cotesto udito avea quel forte
Èlse d’assai. Oh! d’ambedue fu questo
65Alto dolor. Per lor gagliardi alcuno
Essi invïaro, e quei subitamente
Per loro s’apprestâr. Vedeansi ratto
In breve tempo (e ciò vogl’io narrarvi)
Tanti là intorno cavalcando ascendere
70Che molto danno, in paventosi assalti,
Oprato avean, gran male inver. Di questi
Appo Gelpfràt a settemila vennero
E più d’assai. Guidavangli lor duci,
Poi che a le spalle de’ nemici rei
75A correre venièno; ed una parte
Dietro agli ospiti fieri iva affrettata,
Lo sdegno a vendicar. Dei prenci amici
Molti da quell’istante ivan perduti.

     Hàgene di Tronèga acconciamente
80Ordinato si avea (di qual mai foggia
Difendere un eroe con miglior cura
Dolci amici potrìa?), perch’egli avesse
La retroguardia con gli uomini suoi
E il fratello Dancwarto. E ciò si fece
85Con scïenza davver. Trascorso il giorno
Era per essi, e niuna parte ancora
Ne avean. Temeva pei diletti amici
Hàgen danno e iattura, e quelli intanto
De’ Bavari venìan per la contrada
90Sotto lor scudi cavalcando. Assalto
Ebber gli eroi, poi che brev’ora scorse.
     D’ambe le parti de la via, da retro
Vicino assai, di palafreni intesero
Di zampe scalpitar. Fretta si aveano
95Le avverse genti, e così disse intanto
Avveduto Dancwarto: Ora un assalto
Qualcun ci muoverà. Gli elmi da noi
Si avvincano, e cotesto per accorto
Consiglio far si dee. — Ma lor cammino
100Quelli arrestâr, sì come d’uopo egli era,

E splendïenti luccicar vedeano
Targhe nell’ombra. Starsi taciturno
Hàgene più non volle. Oh! chi, chiedea,
Per la via ci rincorre? — E di cotesto
105Solo Gelpfràt annunzio gli rendea.
     Del bavarico suol disse il margravio:
Perchè ricerchiam noi gli amici nostri,
Fin qui dietro siam corsi. Io chi uccidea
Non so in quest’oggi il navalestro mio,
110Qual era prode atto a grand’opre. E questa
M’è rancura d’assai. — Ed era quello
Il navalestro tuo? Hàgene disse,
Quei di Tronèga. Ei non volea passarci,
Ma di sua morte è mia la colpa. Il forte
115Io sì battei, ma di cotesto vennemi
Alta necessità, ch’io da sue mani
Vicino assai mi ricevei la morte.1
In ricompensa oro gli offersi e vesti
Per ch’ei di là ci trapassasse, o prence,
120Nella tua terra. E di tanto crucciavasi,

Che un colpo ei mi assestò d’un forte palo,
Ond’io molto mi dolsi. Al ferro mio
Allora corsi e con possente piaga
Quel suo corruccio rintuzzai. Perduto
125Fu il prode allor. Ma di cotesto, quale
Buona parravvi, sì vi reco ammenda.
     Venìasi tosto a una contesa, ed elli
Forte davvero ivan crucciosi e irati.
     Io ben sapea, disse Gelpfràt, Gunthero
130Poi che qui venne co’ famigli suoi
Cavalcando, che mal fatto ci avrìa
Hàgene di Tronèga. Ora ei non debbe
Incolume scampar. Del navalestro
Per la morte, ci sia mallevadore
135Ei, ch’è prode guerrier. — Sovra gli scudi
Ei piegâr l’aste vêr le punte allora
Ed Hàgene e Gelpfràt. Malo desìo
Era dell’uno contro l’altro; e intanto
Èlse e Dancwarto fieramente incontro
140Si gittâr su’ destrieri e fecer saggio
Chi fosser elli, e orribile certame
Levossi qui. Come potean guerrieri

Dar di sè miglior prova? Ecco, per mano
Di Gelpfràt, in la pugna orrida e fiera,
145Hàgene ardito dal cavallo cadde.
Schiantâr le cinghie del destriero al petto;
Che sia caduta, gli fu noto allora.
     Da’ lor compagni forte risuonava
Fragor dell’aste, ed Hàgene d’un tratto
150Indi assorgea, da che cadea sull’erba
In giù, pel colpo del nemico. Credo
Ch’egli era sì d’un’anima crucciosa
Contro a Gelpfràt. Ma chi tenesse intanto
I lor destrieri, non m’è noto. Scesi
155Ambo egli erano al suolo, Hàgen, Gelpfràte,
Là su l’arena, e rincorreansi. Allora
Recârgli aita lor compagni, e nota
Fu lor così la pugna. Oh! con qual ira
Contro a Gelpfràt Hàgen balzò! Gli tolse
160Non lieve parte di quell’ampio scudo
Il nobile margravio, e ne schiantaro
Acri scintille. Prossimo fu a morte
Di re Gunthero l’uom fcdel, che un grido
A Dancwàrt cominciò: Deh! tu m’aita,

165Dolce fratello mio, chè mi diè assalto
Un uom possente, e me non lascia incolume!
     Di ciò son io definitor! rispose
Dancwarto ardito. E tosto il valoroso
Là si balzò vicino e con acuta
170Arma a Gelpfràt liberò un colpo. Morto
Costui ne giacque, ed Èlse volentieri
Vendicato l’avrìa. Con danno grave
Egli e i consorti suoi di là ne andavano.
Morto gli era il fratello, ed ei medesmo
175Ferito andava, e ottanta ivi de’ suoi
Più valorosi con orrenda morte
Si rimanean. Davver! che da’ campioni
Di re Gunthero volgersi dovea
L’uomo illustre alla fuga! E poi che quelli
180Del bavarico suolo ivano lungi
Per quel sentiero, udìansi ancor da retro
Colpi tremendi risuonar. Cacciavano
Quei di Tronèga lor nemici a tergo,
Quali già non credean, pria, di cotesto
185Pagar la pena, e fretta avean d’assai.
     Dancwarto eroe, dopo lor fuga, disse:

Ora ci è d’uopo ritornarci a dietro
Per questa via, lasciar che altri si fugga
Via cavalcando. E quei di sangue molli
190Sono davver. Deh! ritorniamci noi
A’ nostri amici. Di gran senno questo
Io vi consiglio. — E come quelli ancora
Al loco si rendean ’ve danno incolse,
Hàgene disse di Tronèga: Eroi,
195Sì v’è d’uopo guardar qual manca a noi
O chi perduto abbiam, qui, nella pugna,
Di Gelpfràt per lo sdegno. — Elli ne aveano
Quattro perduti di lor prodi, e questi
Elli piansero poi. Ma vendicati
200Erano i morti assai, chè di rincontro
Cento, o forse anche più, giaceano uccisi
Di quei del suol de’ Bavari, e le targhe
Degli eroi di Tronèga eran per tanto
Molli di sangue e rotte. Or, della bianca
205Luna splendore un cotal poco apparve
Tra le nubi, ma disse Hàgene intanto:
     Ciò che noi femmo qui, non dica alcuno
A’ prenci miei diletti. In fino all’alba

Si lascin elli senza cura. — Intanto,
210Come a quelli arrivò chi fe’ battaglia
Prima, cotesto alti compagni suoi
Alta d’assai fece rancura, ed uno
Ancora dimandò: Deh! fino a quando
Cavalcheremo noi? — Loco a posarvi
215Non abbiam noi, disse Dancwarto ardito,
E sì v’è d’uopo, fin che giorno faccia,
A tutti cavalcar. — L’agil Volkero,
Che de’ famigli aveasi cura intenta,
Inchieder fece al connestabile: Ove
220Sarem stanotte, perchè i nostri dolci
Signori abbian riposo e i palafreni?
     Disse Dancwarto ardito: Io non potrei
Dirvi cotesto, nè potremmo noi
Pria riposarci che incominci il giorno.
225Laddove troverem, noi sovra l’erba
Ci porremo a giacer. — Come cotesto
Annunzio avean, deh! qual corruccio fue
In qualcun d’essi! Ed ei restâr frattanto
Non consci che di sangue erano tinti
230Ancora caldo, fin che il sol recava

La sua splendida luce alta sui monti
In sul mattino, e vide il prence allora
Che pugnato essi avean. Con gran disdegno
Gridò il prence guerriero: Hàgene amico,
235E che dunque? E scordaste, io sì mi penso,
Ch’io qui stava appo voi, da che son molli
In tal guisa di sangue i vostri arnesi?
E chi fece cotesto? — E quei rispose:
     Èlse fece cotesto. Ei questa notte
240Ci rincorse. E per quel suo navalestro
Fummo assaliti. La man del mio frate
Morto Gelpfràt batteva, Èlse frattanto
Ci sfuggìa, ma distretta alta a cotesto
Il costringea. Cento di quelli, quattro
245Restâr morti di noi ne la battaglia.
     Dov’elli si posâr non possiam noi
Dir veramente; e quelli de la terra
Udìan la nuova, andarne a corte i figli
Della nobile Ute, ed in Passavia
250Lieta accoglienza egli si aveano. Il zio
Dell’inclito signor, Pellegrin vescovo,
Lieto del cor fu assai, tosto che in quella

Terra venìan con tanti eroi con seco
Li suoi nipoti, e manifesto in breve
255Lor si rendea di quanto ei gli eran cari.
     Bene accolti essi andaro in su la via
Da’ loro amici; ma poichè in Passavia
Tutti non si potean gli ospiti accôrre,
L’acque passar dovean,2 là ’ve rinvennero
260Un campo aperto, e tende e padiglioni
Spiegârsi quivi. Tutto il giorno, ancora
Tutta intègra la notte, ivi restarsi
A lor fu d’uopo. Oh! di qual bella guisa
Altri di lor si prese cura! In quella
265Di Rüedgero contrada anche doveano
Andar più tardi, e a lui subitamente
Noto di tanto si rendea l’annunzio.
     Come gli stanchi della via riposo
Presero alquanto e più vicini a quella
270Terra d’Ètzel venìan, là sul confine
Tale incontrâr che si giacea dormiente.
Hàgene di Tronèga una robusta

Arma gli tolse. Detto era Eckewardo
Il buono cavalier; ma per cotesto
275Alto s’ebbe dolor, ch’egli perdea,
Per tal vïaggio degli eroi, la spada,
E quelli di Rüedgero in sul confine
Mala difesa rinvenìan. Vergogna,
Oh! vergogna di me, disse Eckewardo.
280Davver! che de’ Burgundi sì mi cruccia
Il vïaggio d’assai! Tutto il mio gaudio
Sparve per me da ch’io perdea Sifrido!
Prence Rüedgero, aimè! di qual mai guisa
Verso a te m’adoprai! — Ma poi che intese
285Del nobile guerriero Hàgen l’affanno,
Quell’arma sua gli rese e sì gli aggiunse
Anelli sei lucenti. Abbi cotesti,
Gli disse, per amor, perchè tu sii
Di me l’amico. E cavalier tu sei
290Ardito inver, se qui soletto resti
Su la frontiera — Vi compensi Iddio,
Disse Eckewardo, per i vostri anelli.
Ma crucciami d’assai vostro vïaggio
Appo gli Unni. Uccideste un dì Sifrido;

295Odio qui vi si porta, e perchè voi
Vi guardiate, con fede io vi consiglio.
     Hàgene disse: Ci difenda Iddio!
Ma non hanno davver cura maggiore
I cavalieri, il prence e suoi consorti,
300Di quella sì de’ loro alberghi, in quale
Foggia avrem noi per la notte vicina
Acconcia stanza in questa terra. Omai
Sfatti son tutti i nostri palafreni
Per il lungo vïaggio e son consunte
305Le provvigioni. — Così disse il prode
Hàgene, e poi: Nulla troviam che vendasi,3
E d’un ospite è d’uopo veramente,
Quale, per buona sua virtù, ci dia
Suo pane in questa notte. — Ed Eckewardo:
     310Un ospite i’ vi mostro; e raro assai
Sì benvenuto voi sarete in casa
D’alcuno entrato mai di terra alcuna,
Come qui v’accadrà, se pur l’ardito

Rüedgero cavalier mirar volete.
315Presso la via soggiorna ed è il migliore
Ospite cui si vada alla magione,
E quel suo cor virtù produce, come
Fa il dolce Maggio con i fiori l’erba.
Se cavalieri ei dee servir, dell’alma
320Ei beato si mostra. — E re Gunthero
Così dicea: Di me vorreste voi
Andarne messaggier, se per mio amore,
Rüedgèr, l’amico mio diletto, i miei
Congiunti ospitar voglia e i miei guerrieri?
325Per cotesto vogl’io, di quella guisa
Che miglior si potrà, restarvi grato.
     Disse Eckewardo: Volentier son io
Il messaggier! — Così, di voglia buona,
Ei si levò per quel vïaggio e disse
330Poscia a Rüedgero ciò che d’altri intese,
Da molto tempo assai non era giunto
Appo Rüedgero sì giocondo annunzio.
     E fu visto affrettarsi a Bechelara
Un cavaliere, e tosto il riconobbe
335Rüedgero e disse: Oh sì! per questa via

Eckewardo ne vien, l’uom di Kriemhilde. —
E si pensava che a colei nemici
Avessero recata alcuna offesa.
     Ed ei scese alle porte e là rinvenne
340Il messaggiero, e questi si togliea
Dal cinto il brando e il deponea. Novelle
Ch’egli recò, non fûr celate allora
All’ospite e agli amici, e prestamente
Ogni cosa fu detta. E m’invïava
345Sire Gunthero a voi, disse al margravio
Il messaggier della burgundia terra,
E Giselhèr fratello suo, ancora
Gernòt. Ognun di que’ gagliardi, o sire,
V’offre servigi suoi. Cotesto ancora
350Ed Hàgene e Volkèr con tutta fede
E con intento fanno. Ed io più ancora
Si vi dirò che il connestabil disse
Del prence a me che i buoni cavalieri
Di vostro ospizio hanno bisogno assai.
     355Rüedgero allor con sorridente bocca
Così dicea: Me fortunato a questo
Annunzio vostro, perchè illustri prenci

Voglian servigi miei! Nulla di tanto
A lor si negherà. Nella mia casa
360Vengano ei dunque, ch’io beato e lieto
Son per cotesto. — E il connestabil, sire
Dancwarto, a voi conoscer fa qual gente
Insiem con essi in casa avrete. Ei sono
Sessanta prodi, arditi e forti, mille
365Cavalier buoni e novemila servi.
     E quei n’era beato. Oh! me contento,
Disse Rüedgero, che alle case mie
Vengonmi questi illustri cavalieri,
Quali mai non servii. Deh! cavalcate
370Al loro incontro, o miei congiunti e servi!
A’ palafreni si balzâr d’un tratto
Cavalieri e famigli, e ciò che il sire
Loro indicea, lor parve onesto e buono;
Ei s’affrettar però di miglior guisa
375Lor servigi a compir. Ma nulla ancora
Sapea di tanto donna Gotelinde,
Quale si stava ne le stanze sue.

  1. Quasi quasi fui ucciso.
  2. Di là dal Danubio.
  3. Non c’è modo da comprarci di che mangiare.

Note

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