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SALMO VI.
1 Deh, non voler, ne l’infocato ardore
Di quell’ira, che strugge
Il fello peccator senza perdono,
Castigo, o correzion darmi, Signore,
Da me, dolente, fugge
Ogni vigor, e tutto fiacco sono.
Di mercè fammi dono,
E render vien la sanità smarrita:
Che romper, senz’aita,
E tutte conturbar mi sento l’ossa,
E l’alma sbigottir di tal percossa.
2 Ahi lasso me, Signor, infin a quando
Di me non ti sovviene?
Omai rivolgi la benigna faccia:
E l’alma liberar, ch’a te, gridando,
Ergo, fra tante pene,
Di tua bontà pel sol amor ti piaccia.
Perchè non v’è chi faccia
Di te memoria ne la tomba scura:
Chi di narrare ha cura,
Nel cupo sen di tenebrosa morte,
Le chiare lodi tue, nel mondo scorte.
3 Carco di doglie e di mortal affanno,
Alito sol sospiri.
Di pianti un largo rio il mio letto inonda,
Ch’agli occhi di versar posa non danno
I notturni martiri.
D’amaro lagrimar bagno la sponda,
Ove ’l dolor m’affonda.
Langue la vista, per l’acerbo sdegno,
Ond’ho ’l mio petto pregno.
De’ nemici mi fa la turba meno
L’occhio venir, già lucido e sereno.
4 Or gli empi dileguarsi vegga intorno,
Cui il mal oprar è l’arte.
Pur ha il Signor il mesto suono udito
De’ pianti miei, nè vano fu il ritorno
A le preghiere sparte.
Che ’l concetto del cor, al ciel salito,
Dal signor fu gradito.
I mie’ nemici smarrimento ingombri,
Confusione adombri.
Ad or ad or gli vegga in volta messi,
E di vergogna in un momento oppressi.