< I Salmi di David (Diodati)
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SALMO XVII.
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SALMO XVII.

1          A la ragion, Signor, apri l’orecchio,
     Al mio gridar attendi.
     E ’l priego umil, ch’a spander m’apparecchio,
     Con labbra d’empie frodi
     Schive, pieghevol odi.
     Del mio dritto a favor sentenza rendi.
     Interna i lumi santi
     Ne l’equità, che ti dispiego innanti.
2          Ad alto paragon e fina prova
     Del cor mio il saggio festi.
     Tu lo guati, qualor quiete nuova
     Di notte l’ha disciolto,

     E tutto ’n se raccolto.
     Al cimento del ver pormi volesti,
     Nè ’n me di falso niente
     Scorgesti, che la lingua al cor consente.
3          Ben son diverse de la gente umana
     Opre, consigli, imprese.
     Ma, fisso al santo dir di tua sovrana
     Bocca, lunge da’ fieri
     Ladron, torco i sentieri.
     Nel santo calle, ù ’l piè stampar apprese
     L’orme, sostiemmi i passi,
     Che non dichinin vacillanti e lassi.
4          Te sol, Signor, di lingua e cor invoco,
     Ad esaudirmi pronto.
     L’orecchio inchina al rotto suono e fioco,
     Che spira l’alma ansante.
     L’alte pietati sante
     Metti di meraviglia in pregio e conto:
     Tu, che salvi il fedele,
     Con la destra, da chi l’assal crudele.
5          Siimi guardian, con quella scaltra cura
     Che d’occhio a la pupilla
     Schermo e ripar si fa d’agra sciagura.
     E, con l’ombra de l’ale,
     A l’alma stanca e frale
     Porgi, Signor, pace lieta e tranquilla,
     Da que’ strazi inumani,
     Che di me tentan far nemici insani.
6          Di grasso ognun di lor sodo e compresso
     Sbocca un parlar altero.
     Dovunque ci voltiam sonci d’appresso,
     Con gli occhi e con le menti,
     Ad atterrarci intenti.
     Rassembran il leon, cui il petto fiero,
     Di sbranar voglia preme:
     E ’l leoncel, che ’n tana ascoso freme.

7          Sorgi, Signor, e muovi i passi e l’ira
     Per affrontargli, innante.
     Fanne strage, e per mezzo ’l brando gira,
     E sì colpisci e scoti,
     Che l’alma mia riscoti,
     Con la guerriera man e fulminante
     Da l’empio stuol mondano,
     Che sol in vita fral gode, profano.
8          Tu satolli le lor ingorde brame
     De’ ben de le tue celle.
     Di quell’i figli lor caccian la fame,
     E pur larga civanza
     A’ lor nipoti avanza.
     Io, col mio giust’oprar, vedrò tue belle
     Luci; e destato, pago
     Sarò de la divina eterna imago.

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