< I Salmi di David (Diodati)
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SALMO XXXVII.
SALMO XXXVI SALMO XXXVIII

SALMO XXXVII.

1          Se nel mondo talor gli empi fiorire
     Tu vedi, sì ritien gli sdegni a freno,
     Per non lasciarti incauto ingelosire,
     Per lo fallace lor gioir terreno.
     Che ’n uno stante si vedran perire,
     Recisi in terra qual segato fieno:
     O come in piaggia tenera verzura,
     Languente e passa per l’estiva arsura.
2          In Dio t’affida ed al ben far attendi,
     Abita in terra e godi in vera pace,
     E nel Signor ogni tua gioia prendi,
     Ch’a’ tuo’ disii risponderà verace:
     Con viva fè ciò che consigli e ’mprendi,
     Commendagli e farà quanto ti piace,
     Ed il tuo giusto oprar produrrà fuore,
     Qual lampo o del merigge aureo splendore.
3          In lui t’acqueta e paziente aspetta:
     Nè t’accorar per l’empio venturoso,
     Nè per colui ch’a mal oprar alletta
     Di ben mondano il vento prosperoso;
     D’ogni rancura il cor ti scarca e netta,
     Sì che non pecchi contra Dio cruccioso:
     Che’ malvagi saran tronchi dal piede,
     Ma, ch’in Dio spera, fie del mondo erede.
4          Ad or ad or sarà l’empio sparito:
     E se ’l luogo, ove fu piantato, avvisi,
     Ogni vestigio ne sarà smarrito.
     Ma li pietosi in pace e ’n gloria assisi,
     Possederan del mondo il circuito,
     Godendo in festa ed in giocondi risi.
     Trama il malvagio al giusto tradimenti
     E contra lui, fellon, digrigna i denti.

5          Ma dal Signore, con amari scherni,
     Ribattute saran le fiere imprese:
     Che dal solio del ciel quegli occhi eterni
     Il fin d’esso venir veggon palese.
     Del giusto afflitto a far aspri governi,
     Trasse l’empio la spada e l’arco tese.
     Ma gli aprirà quel suo coltello il petto,
     E l’arco gli sarà rotto di netto.
6          Del giusto il poco senza fin più vale,
     Che d’empi molti e grandi l’abondanza:
     Però ch’a lor sarà, qual testo frale,
     Fiaccato il braccio e rotta la possanza.
     Ma s’alcun il fedel periglio assale,
     L’erge il Signor e gli presta baldanza.
     De’ buon la vita e’ tien nel suo governo
     Ed un retaggio goderanno eterno.
7          Confusi non saran ne’ tempi avversi,
     Nè scaderan di lor concetta spene:
     E ne’ dogliosi fien tempi diversi
     De la fame, cibati a voglie piene.
     Ma gli empi periran e fien dispersi,
     Ingombrati di doglie e varie pene:
     E del Signor verran meno i ribelli,
     Qual strutto in fumo va grasso d’agnelli.
8          L’empio in prestanza ingordamente chiede:
     La miseria però non l’abbandona,
     Sì che disciolga l’obbligata fede.
     Ma l’uom giusto tuttor dispensa e dona:
     Che ’l benedetto seme in fin possiede
     La terra, onde ’l Signor il guiderdona.
     Ma l’infedele maladetta schiera
     Convien di certo ch’abissata pera.
9          Il Signor di color sostenta i passi,
     Le cui giuste gradisce opre e pensieri.
     E, se pur caggion, vacillanti e lassi
     Gli accoglie in braccio e gli conserva intieri.

     Nè fie giammai che ’n precipizi bassi
     Si veggan traboccar per crolli fieri.
     Ch’egli lor regge la tremante mano
     E gli rinfranca d’un valor sovrano.
10          Da fanciullo ed infin a la vecchiezza
     Unque non vidi il giusto abbandonato:
     Nè ’l seme suo ridutto a la strettezza
     Di chieder che gli fosse il pan donato.
     Anzi tuttor prestar e far larghezza,
     E ’l suo legnaggio sempre più beato.
     Fa pur il bene e ti ritrai dal male,
     E, sicur, goderai vita immortale.
11          Perch’al Signor è cara la drittura:
     Nè lascerà de’ suo’ fedeli e santi,
     Gementi a lui, la vigilante cura.
     Anzi, in perpetuo, agli occhi suo’ davanti,
     Difesi gli terrà d’ogni sciagura.
     La schiatta estirperà degli empi erranti:
     Ma fien del mondo, in tutti i suo’ confini,
     I giusti eredi eterni e cittadini.
12          De la bocca del giusto unque altra cosa,
     Che giustizia e saver, uscir non s’ode.
     Di Dio la Legge nel suo cor riposa:
     Per ciò non crolleran sue piante sode.
     L’empio lo spia, per dargli morte ascosa:
     Ma Dio schermo gli fa di sforzo e frode.
     N’a l’ingiusto poter il freno allenta,
     Quando a giudizio umano si presenta.
13          Dio dunque aspetta e al suo sentier t’attieni,
     Ch’eccelso ti farà signor del mondo,
     Per di quello goder i dolci beni,
     E’ malvagi vedrai cader a fondo.
     L’empio vidi fiorir d’onor terreni,
     Qual verde lauro trionfando a tondo.
     Ma passò ratto e più qua giù non fue,
     E ’ndarno fu ’l cercar le tracce sue.

14          Pon pur la mente a l’uom giusto ed intiero:
     Che chi pace ama, ottien da Dio mercede:
     Ma de’ rei perirà lo stuolo altero,
     Ch’altro, per guiderdon, a lor non riede.
     Scampo e fortezza, in ogni affanno fiero,
     Dio porge al giusto, che l’invoca in fede:
     Vittoria, libertà, salute eterna:
     Perchè confida in sua grazia paterna.

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