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5. Cani da guerra
Cane sanguinario Cani da topi


Alla Joliette, grazioso sobborgo di Marsiglia, una folla sterminata, sovrattutto la domenica, andava alla «Locanda del granatiere». Certo la vista delle tante navi nel porto, il fumare dei piroscafi, il brulicare delle barche, e più oltre il castello d’If, e poi l’aperto mare al tramonto, offrivano uno spettacolo attraente. Ma quello stesso spettacolo si aveva da cento altre locande circostanti, eppure tutti andavano a quella. La ragione del richiamo era l’insegna. Un granatiere francese se ne stava indolentemente sdraiato, mentre tre soldati austriaci in piedi lo guardavano meravigliati che egli non si fosse mosso al loro avvicinarsi.

La scritta sotto la insegna che riferiva la risposta del granatiere, spiegava la cosa. Il granatiere diceva: «Aspetto che siate in cinque».

Quel granatiere sdraiato mi fece venire in mente Plinio il naturalista. Che cosa è mai l’associazione delle idee!

Plinio racconta che il re di Albania fece dono ad Alessandro il grande, il quale si avviava alle Indie, di un cane di mole smisurata. Alessandro il grande si compiaceva molto di cani. Ne ebbe uno tanto caro che quando gli morì fece edificare in suo onore una città con un tempio.

Ammirò adunque molto quel grande conquistatore il grossissimo cane di cui il re d’Albania gli aveva fatto dono, e subito volle porlo alla prova. Gli fece condurre davanti orsi, cinghiali, e altre somiglianti fiere, e il cane, che se ne stava sdraiato, non si mosse alla loro vista, li guardò con disprezzo e continuò a rimanersene sdraiato.

Alessandro il grande, che pure era fatto più d’ogni altro uomo per comprendere tal sorta di disdegno, non lo comprese e credette che il cane avesse paura. Quante volte l’inerzia è interpretata come paura! Il grande conquistatore ordinò che il cane fosse ucciso, e se tutti gli ordini suoi erano sempre prontissimamente eseguiti, quelli poi di tal sorta erano eseguiti in un lampo.

Il re di Albania seppe la cosa, e mandò ad Alessandro un altro cane come il primo, facendogli dire che non ne aveva che due, e che trattasse meglio questo, e non lo facesse più morire, perché non avrebbe potuto mandargliene un terzo. Quel re fece sapere ad Alessandro che se il grosso cane non si era mosso, ciò dipendeva da che gli orsi, i verri e altre somiglianti fiere, non erano avversari degni di lui, che si sarebbe vergognato di moversi per essi.

Alessandro fece porre davanti al nuovo cane un leone, poi un elefante, e il cane li uccise uno dopo l’altro.

Grande ammaestramento, invero, ci dà quel cane del re di Albania, l’ammaestramento di non sfondare le porte aperte.

«Quando un botolo vi mostra i denti, che merito c’è a mettergli la mano nella gola?» (Shakespeare, «Enrico VI»).

I cani sono molto battaglieri. Vi sono esempi di grande affezione fra due cani, e sovrattutto fra un cane grosso e un cane piccolo, ma il più delle volte due cani, quando s’incontrano, dopo di essersi guardati, come appunto si dice, in cagnesco, ringhiano e si mordono.

Sacripante e Rinaldo dopo i gridi e le onte vengono alle spade

 
Come soglion talor due can mordenti,
O per invidia o per altro odio mossi,
Avvicinarsi digrignando i denti
Con occhi biechi e più che bragia rossi;
Indi a morsi venir di rabbia ardenti,
Con aspri ringhi e rabbuffati dossi.

Un cronista e monaco francese, Alberico delle Tre Fontane, racconta che l’anno 1239, nella Sciampagna, si raccolse dalla intera provincia una infinita moltitudine di cani, d’ogni pelo e forma, i quali cominciarono una spaventevolissima battaglia, e non ismisero finché non furono tutti morti.

I cani non solo sono molto battaglieri fra loro, ma con altri animali, sovente anche molto fieri.

Del cane come dell’uomo si può dire che è battagliero naturalmente e si può aggiungere che in ciò hannovi molte differenze secondo le razze e anche secondo gl’individui.

Dante dice che i botoli sono

Ringhiosi più che non chieder lor possa.

Veramente Dante non dice questo parlando proprio dei botoli, ma bensì degli aretini che paragona ai botoli. Il grande ghibellino fuggiasco non faceva complimenti.

L’Ariosto parla della poca voglia che ha il cane volgare d’inseguire il lupo, anche quando vi è spinto dal padrone, sovrattutto se il lupo non ha paura e mostra i denti. Si vede il cane che va lento dietro al lupo,

Che dieci passi li va dietro o venti,
E poi si ferma ed abbaiando guarda
Come digrigni i minacciosi denti,
Come negli occhi orribil fuoco gli arda...

Se la fiera fugge è un altro conto.

«I cani più codardi mandano i loro latrati più clamorosi quando la preda, cui sembrano minacciare, corre molto lontano davanti ad essi.» (Shakespeare, «Enrico V»).

Qualche volta il cane fa troppo a fidanza col proprio coraggio e non tarda a pentirsene.

«Ho veduto non di rado un alano ardente e presuntuoso rivoltarsi a mordere l’uomo che lo tratteneva, poi appena libero e provata la zampa crudele dell’orso, mettere la coda fra le gambe gridando lamentosamente.» (Shakespeare, «Enrico VI».)

L’alano vince nella lotta tutti gli altri cani.

Rodomonte è alla perfine atterrato da Ruggiero, e smania invano per levarglisi di sotto:

Come mastin sotto il feroce alano
Che fissi i denti nella gola gli abbia,
Molto s’affanna e si dibatte invano
Con occhi ardenti e con spumose labbia,
E non può uscire al predator di mano,
Che vince di vigor, non già di rabbia...

Shakespeare parla dell’alano siccome di quel cane coraggioso che sempre si avventa alla testa del toro.

Gl’inglesi ebbero per gli spettacoli di combattimenti fra cani e belve quella passione che avevano gli antichi romani. Quando i romani furono padroni dell’Inghilterra, fra le altre cariche che vi istituirono vi fu questa, di un personaggio che aveva per ufficio speciale di cercare, scegliere, allevare, ammaestrare gli alani più belli per mandarli poi a Roma a fare le loro prove negli spettacoli sanguinosi del circo.

Al tempo di Elisabetta e di Giacomo I gli spettacoli pubblici di combattimenti di belve erano molto gustati. Lo Stow racconta una lotta per tal modo avvenuta in pubblico fra tre alani e un leone. Il primo alano fu azzannato alla nuca, trascinato alquanto e lasciato morto, a malgrado che gli altri due si fossero pure avventati sul leone nel medesimo tempo; il secondo alano fu pure vinto, ma la vittoria fu pel leone più lenta e penosa; morto questo secondo alano, il terzo saltò alla testa del leone e lo addentò alle labbra. Il nemico era già spossato, e l’aggressore, sebbene gravemente ferito, tenne saldo per modo che la fiera cessò dal combattere e, appena il cane ebbe allentato il morso, si dichiarò vinta fuggendo a salti e rincantucciandosi lontano.

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