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Nello Zend Avesta — do al lettore la consolante notizia che cito qui questo libro per l’ultima volta — sta scritto quanto segue:
«Il cane ha otto caratteri: quello di un prete, di un guerriero, di un agricoltore, di un servo, di un ladro, di un animale predatore, di una cortigiana, di un fanciullo.
Si ciba come un prete; è contento come un prete; è paziente come un prete; gli basta uno scarso cibo come a un prete; tale è il suo carattere di prete.
Va avanti come un guerriero; va davanti e va dietro alla casa come un guerriero; tale è il suo carattere di guerriero.
È vigilante come l’agricoltore e come l’agricoltore non ha un sonno completo; va davanti e va dietro alla casa come un agricoltore; va dietro e va davanti alla casa come un agricoltore; tale è il suo carattere di agricoltore.
Desidera l’oscurità come un ladro; tale è il suo carattere di ladro.
Gli piace l’oscurità come a un animale predatore; tale è il suo carattere di animale predatore.
È amichevole come una cortigiana; tale è il suo carattere di cortigiana.
È dormiglione come un fanciullo; è carezzevole come un fanciullo; ha la lingua lunga come un fanciullo; tale è il suo carattere di fanciullo».
Degli otto caratteri che assegna al cane il sacro libro, come si vede, non ne spiega che sette, e non parla di quello di servo. Non è supponibile una dimenticanza. Bisogna credere, pertanto, che questo carattere nel cane sia tanto palese che basti il menzionarlo senz’altre parole.
Un personaggio di Shakespeare dice che non bisogna fidarsi dell’uomo che ti fa un giuramento, della cortigiana che piange e del cane che sembra addormentato.
Ciò somiglia a quanto è detto da Gessner, che tre cose in pari modo non meritano fede: lo zoppicare dei cani, il cenno delle meretrici, i giuramenti dei mercatanti.
Gli spagnuoli dicono che non bisogna credere né allo zoppicare del cane, né al lagrimare della donna.
Del lagrimare delle donne poi quel popolo spiritoso dice in ispecial modo che le lagrime ad esse costano poco e fruttano molto.
Un altro personaggio di Shakespeare dice che le grida venefiche di una donna gelosa sono un veleno più micidiale del dente di un cane arrabbiato, e Menandro asseriva essere minor danno lo aizzare un cane che non una vecchia.
Bruto nel Coriolano di Shakespeare malinconicamente fa notare come sovente siano percossi i cani quando abbaiano, sebbene siano tenuti appunto per questo.
Il grande poeta riporta ancora un proverbio del suo paese, che dice che si fa presto a trovare un bastone per bastonare un cane, proverbio che corrisponde ai due versi del Pignotti:
Ah troppo è ver, contro i potenti rei
Non val ragione in povertà di stato.
Un altro proverbio inglese, più consolante, afferma che ogni cane ha il suo giorno, ciò che vuol dire che per quanto sia infelice una esistenza, pure una volta o l’altra ha un raggio di bene. I piemontesi poi dicendo che val più un piacere che cento disgusti fanno capire che un momento di gioia nella vita consola di molti dolori.
I bolognesi, quando vogliono burlarsi di un uomo che pretende di insegnare qualche cosa a chi non ha bisogno di ammaestramento e ne sa di più di chi si atteggia a maestro, parlano d’insegnare a un vecchio cane a dimenare la coda.
Gli antichi chiamavano pranzo canino quel pranzo che fanno gli astemi bevendo soltanto acqua.
Dicevano ancora del riso dei cani che esso non va oltre ai denti. Ciò richiama alla mente i due versi melanconici di Prati:
Riso che sfiora i freddi labbri appena
E dentro il core in lagrime si muta.
E ricorda ciò che si dice in Piemonte del ridere dei pizzicagnoli quando la roba va loro a male.
Gli antichi raccomandavano di non svegliare il cane che dorme, e questa raccomandazione si ripete oggi in tutte le lingue.
I veneziani dicono invece: «Can che magna e omo che dorme lassali star».
Il Talmud esprime lo sconforto, l’impaccio, l’esitazione che prova l’uomo nei primi tempi in cui si trova fuori della sua patria, dicendo che il cane che è in paese straniero non abbaia per sette anni.
Nelle Indie orientali si dice che chi è sopra un elefante non si cura dello abbaiare dei cani, a significare che l’uomo il quale occupa un posto elevato non si dà pensiero delle critiche, ciò che è la regola in un paese di governo assoluto, ma non manca neppure nei paesi di governo temperato. Ancora nelle Indie orientali, di un uomo che abbia molto lavorato con pochissimo frutto, dicono che ha fatto il viaggio di Benares per portare a casa del pelo di cane.
Il signor Eugenio Rolland, nella Faune populaire de France che ho citato sopra, riporta oltre a trecento proverbi e modi proverbiali intorno al cane. Io consiglio di nuovo il mio lettore a procurarsi questo libro attraente e istruttivo.
Finisco con un proverbio arabo che udii in Egitto:
«L’uomo che cammina a una mèta non si ferma a scagliar sassi ai cani che gli abbaiano dietro».