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XIV.
La zattera.
La Guadiana, la splendida e rapida nave del capitano Alvaez, era perduta: non era che questione di ore. Quale orribile ecatombe se affondava in pieno oceano, fra la tempesta scatenata, con cinquecentocinquanta uomini che la montavano fra negri e bianchi!...
Eppure più nessuna manovra, nessun sforzo potevano ormai salvarla: era una nave condannata a scomparire come l’incrociatore e come la nave degli emigranti, negli immensi e tenebrosi baratri dell’Oceano Atlantico. La sua prua, che per ben due volte aveva speronato i legni, nello spazio di soli pochi giorni, quantunque fosse stata costruita a prova di scoglio, come si suol dire, aveva troppo sofferto in quei due tremendi urti.
I madieri che si congiungevano coll’asta proviera si erano spostati, disorganizzando i corbetti ed i bagli e non potevano più opporre una grande resistenza all’impeto crescente delle masse d’acqua, che si rovesciavano addosso alla nave senza tregua. Forse a mare tranquillo la Guadiana avrebbe potuto salvarsi, ma con quell’uragano era impossibile, poichè non permetteva d’intraprendere alcun lavoro da parte dei carpentieri.
Al grido lanciato dal marinaio, che annunciava la imminente perdita della nave, Hurtado, Kardec, Vasco ed i carpentieri si erano precipitati nella camera comune per discendere nella stiva, mentre gli artiglieri correvano nelle batterie per frenare i cannoni, che minacciavano di aprire i fianchi delle corsie coi loro poderosi urti.
Bastò un solo sguardo a Hurtado ed al bretone, per misurare la gravità della situazione. La falla si era riaperta non solo, ma si era ingrandita quasi del doppio e l’acqua entrava con furia estrema, rovesciandosi col fragore del tuono nella stiva dove la si vedeva a correre da babordo a tribordo, seguendo le scosse disordinate della nave. Già dei barili e dei pennoni di ricambio si vedevano a galleggiare e il paramezzale era stato coperto.
– Signor Kardec – disse Hurtado, con voce rotta per l’emozione. – Cosa contate di fare?
– È a voi che lo domando – rispose il bretone con un brutto sorriso e con accento secco.
– Siete il secondo di bordo, signore.
Kardec alzò le spalle, poi volgendosi verso i carpentieri chiese:
– Credete impossibile una nuova riparazione?
– Nulla si può fare signore – risposero.
– Si preparino le pompe.
– Non basteranno a vincere l’acqua che entra – disse il mastro.
– Bisogna resistere fino al cessare dell’uragano o nessuno si salverà. Intanto si costruirà una zattera.
– Ed i negri?
– Che s’impicchino – rispose brutalmente il bretone. – Dove volete che io metta seicento uomini? S’incarichi l’oceano di affogarli.
– Pure le donne, i ragazzi...
– Non seccatemi, mastro. Ho da parlare al capitano.
Risalirono in coperta, sulla quale regnava una confusione indescrivibile. L’equipaggio correva disordinatamente qua e là, sordo ai comandi di Vasco e dei quartiermastri, in preda al più vivo terrore, senza più occuparsi della nave, che andava attraverso alle onde, minacciando di rovesciarsi. Alcuni si erano già muniti dei salvagente, temendo che la Guadiana affondasse da un momento all’altro; altri avevano calato in mare la grande baleniera, ma le onde l’avevano sfracellata; gli artiglieri avevano abbandonato i cannoni, che continuavano a correre nelle batterie con cupi rimbombi, percuotendo le pareti del frapponte ed il fasciame, che cedevano sotto quegli urti terribili.
– Alle pompe! – tuonò Hurtado, slanciandosi in mezzo ai marinai. – In batteria i cannonieri o vi faccio mitragliare!... Vasco, fate spiegare la randa e gli stragli!... Spicciatevi!...
Kardec, dopo d’aver cercato di calmare i marinai, che gli si affollavano d’intorno e di aver ripetuto i comandi del mastro, scese nel quadro di poppa.
Sulla porta della cabina di Alvaez s’incontrò col dottore, il quale udendo quelle grida e il rotolare delle artiglierie, stava per correre in coperta.
– Cosa succede? – chiese al bretone.
– Una grave disgrazia, signore – rispose questi. – La Guadiana sta per colare a fondo.
– È impossibile, signore!... – esclamò Esteban, impallidendo.
– Si è riaperta la falla e imbarchiamo acqua. Devo avvertire il capitano.
– Ve lo proibisco: il suo stato si è aggravato e non è ancora tornato in sè.
– Bisogna procurare di farlo rinvenire; devo avvertirlo di ciò che è accaduto e consigliarmi con lui.
– Non lo farete; una simile notizia potrebbe causargli una emozione troppo violenta ed ucciderlo.
– Il caso è troppo grave perchè io non lo informi – ribattè il bretone nei cui sguardi balenava un cupo lampo. – D’altronde, non è tale uomo da impressionarsi – aggiunse con ironia mal celata.
– Non ve lo permetterò – rispose Esteban con voce risoluta.
– Ma io non voglio assumermi una tale responsabilità, signore! – ripicchiò il bretone. – Vi dico che la nave affonderà presto.
– Fate il vostro dovere d’ufficiale e non occupatevi d’altro.
– Ah!... È questa la vostra risposta! – esclamò Kardec coi denti stretti. – Tanto peggio per tutti!...
Risalì in coperta più pallido del solito, colla fronte abbuiata, le labbra contratte, in preda ad una sorda collera. Pareva che avesse preso una decisiva risoluzione.
Vedendo i marinai affollarsi attorno alle pompe, che già funzionavano rabbiosamente, afferrò una scure gridando:
– A me dieci uomini: si fabbrichi una zattera.
– Ma dove? – chiese Hurtado. – Le onde la porteranno via prima di poterla fabbricare.
– Si costruirà in coperta; più tardi penseremo ad ampliarla.
I dieci uomini, munitisi di scuri, si misero febbrilmente al lavoro. Sapendo che ormai la Guadiana era perduta, non bastando le pompe a vincere l’acqua, che entrava dalla spaccatura di prua, recisero le sartie, i paterazzi e le manovre scorrenti dell’albero maestro, per avere maggiore spazio, poi assalirono l’albero istesso, facendolo rovinare sul coronamento di poppa.
Malgrado le onde continuassero a scuotere orribilmente la povera nave, i marinari riuscirono a ritirarlo a bordo ed a farlo a pezzi per costruire, assieme ai pennoni, lo scheletro della zattera. Non essendo però quel legname sufficiente per darle tali dimensioni da portare l’equipaggio intero, abbatterono anche l’albero di trinchetto e quello di bompresso, poi sfondarono le pareti della camera di prua e parte delle murate, per avere le tavole per la coperta.
Durante quelle demolizioni, il resto dell’equipaggio lavorava alle pompe, sotto la direzione del mastro e di Vasco, ma la Guadiana affondava sempre. L’acqua aveva già invaso il deposito dei pennoni e delle vele di ricambio e stava per allagare il magazzino dei viveri. Fra poche ore doveva fare la sua comparsa nel frapponte. Quale tumulto avrebbe fatto scatenare allora, fra i cinquecentoventi negri? Ecco quello che si chiedevano con angoscia i marinai, i quali temevano di vedere irrompere gli schiavi sul ponte.
La grata, costruita con grosse sbarre di ferro era stata calata e per maggior precauzione chiusa con chiavarde, ma non avrebbe certo resistito a un assalto di cinquecento uomini, resi furiosi dal terrore e dalla disperazione.
Qualche scena orribile doveva avvenire all’ultimo momento, tutti la presentivano e perciò affrettavano la costruzione della zattera, volendo lanciarla prima che l’acqua facesse la sua comparsa nel frapponte ed avvertisse i negri del pericolo che correvano.
Fortunatamente l’uragano si calmava. Attraverso agli strappi dei vapori, cominciavano ad apparire delle stelle ed il vento non soffiava che a radi intervalli. Anche le onde non avevano più la spaventevole altezza e l’impeto di prima, ma percorrevano ancora l’oceano muggendo e percuotendo violentemente i fianchi della povera nave.
Alle due del mattino l’equipaggio, abbandonate per un momento le pompe, lanciò in acqua lo scheletro della zattera, dopo di averlo ormeggiato solidamente alle bancazze di tribordo con grosse gomene, per impedire che le onde lo portassero via.
Galleggiava, ma era impossibile a completarlo per la violenza dei marosi. Si provò a calare una scialuppa, ma fu capovolta prima e poi schiacciata contro la nave.
– È impossibile costruire la piattaforma se il mare non si calma – disse Hurtado, volgendosi verso Kardec. – Gli uomini verranno strappati e schiacciati.
– Lo vedo – rispose il bretone. – Pure bisogna affrettarsi od affonderemo tutti.
– Calmiamo le acque – disse Esteban, che era salito in coperta per accertarsi se i preparativi di salvataggio procedevano alacremente.
– In qual modo? – chiesero il mastro ed il bretone.
– Oliando l’oceano.
– Sì! – esclamò Hurtado. – Ho udito dire che il mare si calma. Presto, quattro barili d’olio in coperta!... Ne abbiamo parecchi di elais1.
Quantunque quel comando sembrasse molto strano in quel momento, fu subito eseguito ed i quattro barili vennero portati sul ponte.
– Versateli adagio – disse il dottore. – È meglio che non si espanda troppo rapidamente.
I marinai ad un comando del mastro alzarono i barili e cominciarono a versare lentamente l’olio. Allora un fenomeno strano, inaudito, avvenne: le acque che poco prima si sollevavano a prodigiosa altezza intorno alla nave, frangendosi e rifrangendosi con mille muggiti, si calmarono quasi istantaneamente per un lungo tratto, formando uno specchio tranquillo.
Fin dove giungeva l’olio, che si espandeva rapidamente le onde sparivano, si abbassavano bruscamente, si squagliavano per modo di dire, ma al di là dello strato oleoso si vedevano infuriare con maggior lena, quasi fossero irate di non poter giungere fino alla nave, la quale ormai non subiva che delle leggere scosse.
– All’opera ora – disse il dottore, rompendo lo stupore generale che aveva invaso l’equipaggio.
– Ma le onde non spezzeranno bruscamente questa calma che regna attorno a noi? – chiese Hurtado, che non era meno sorpreso degli altri.
– No, mastro – rispose Esteban. – Finchè avremo olio da versare, le onde non riusciranno a rompere questo spazio d’acqua.
– Ma per qual motivo?
– Perchè l’olio non è penetrabile nè all’aria, nè all’acqua e la coesione delle sue molecole è tale, che il suo getto non può convertirsi in pioggia. Aggiungi inoltre, che il vento non avendo su di esso alcuna presa non può sollevarlo. Affrettatevi ora, o la nave affonderà prima di aver completate le zattere.
– Basterà una, signore – disse Kardec.
– Ed i negri? Volete abbandonarli?
– Non abbiamo tempo da pensare a loro e poi non vale la pena di occuparsi di quelle pelli nere.
– Ma noi non intendiamo di abbandonarli, signore.
– Costituirete voi, la zattera per loro.
– Farete ciò che comanderà il capitano.
– E sia – rispose il bretone con un sorriso sardonico. – Al lavoro voi altri!...
Non occorreva spronare i marinai. Mentre alcuni tornavano alle pompe ed altri s’affrettavano a portare in coperta casse e barili di viveri, i carpentieri e parecchi dei loro compagni si erano imbarcati nella piccola scialuppa, l’ultima che rimaneva e lavoravano febbrilmente attorno allo scheletro della zattera, radunando il legname che veniva gettato dalla nave.
In capo a mezz’ora la piattaforma era stata costruita colle tavole della camera comune, colle corsie del quadro di poppa che erano state abbattute e colle murate. Gran numero di botti vuote, solidamente ormeggiate allo scheletro, erano state disposte lungo i bordi per rendere l’apparecchio più galleggiante.
Al centro fu rizzato un pennone, che doveva servire d’albero ed a poppa fu collocato un lungo remo, che doveva servire da timone. Alle quattro i carpentieri annunziarono che tutto era pronto.
Allora cominciò l’imbarco dei viveri e degli attrezzi. Casse, cassette, barili, tende, coperte, vele, cordami, armi furono calate confusamente sulla zattera.
– Alla seconda zattera! – gridò Hurtado. – Pensiamo ai negri, e voi, Vasco, fate intanto imbarcare il capitano, il dottore e Seghira.
Un coro di proteste si alzò da ogni parte, all’ordine di intraprendere la costruzione della seconda zattera.
– Che i negri s’affoghino!
– Che il diavolo si porti quelle pelli nere.
– Pensiamo a salvarci noi.
– Che gli schiavi crepino nella loro prigione!
Mastro Hurtado divenne rosso per la collera.
– Miserabili egoisti! – esclamò con voce tuonante. – Vi giuro che se non costruite la zattera, taglio le gomene di questa e vi lascio affogare assieme ai negri.
– Eh, per cento botti di whisky! – esclamò un americano, alto quanto il mastro e massiccio come un ippopotamo. – Non vi lasceremo effettuare la minaccia, mastro!... Siamo trenta noi!...
– E d’altronde sarà troppo tardi per gettare in mare un’altra zattera – disse un francese. – L’acqua sta per invadere il frapponte.
– Ed io vi ripeto che il primo che cerca di scendere nella zattera, lo accoppo! – urlò il mastro, afferrando una scure. – Signor Kardec!...
Nessuno rispose alla chiamata: il secondo era scomparso.
– Dov’è il secondo? – chiese.
– Andatevelo a cercare – risposero i marinai. – Alla zattera!... Alla zattera!...
– A me Vasco!... A me portoghesi!... – gridò il mastro, vedendo i marinai farsi innanzi, per gettarsi sulla zattera.
Vasco ed alcuni uomini si slanciarono verso il mastro per soccorrerlo, ma gli altri, che la paura di affondare rendeva audaci e decisi a tutto, cavarono i coltelli urlando:
– Alla zattera!... Alla zattera!...
Già stavano per precipitarsi addosso al mastro e ai suoi compatrioti, quando nel frapponte s’udì rimbombare un clamore selvaggio, come un immenso ruggito.
– L’acqua invade il frapponte! – urlò una voce. – Andiamo a picco!
Mastro Hurtado impallidì.
– Salvate il capitano! – gridò. – Signor Esteban!
Il dottore uscì correndo dal quadro di poppa.
– Affondiamo? – chiese.
– Presto, signore, portate sul ponte il capitano! – gridò Vasco, correndogli incontro.
In quell’istante un torrente d’uomini irruppe dalla camera comune e si rovesciò con impeto irresistibile attraverso la tolda, tutto rovesciando e tutto travolgendo sul loro passaggio.
Un urlo immenso d’angoscia echeggiò sulla Guadiana.
– I negri!...
Poi in mezzo ai clamori selvaggi degli schiavi furiosi pel terrore e frementi di rabbia, si udì una voce a gridare:
– Hanno tagliato la parete!... I traditori ci hanno perduti!...
- ↑ Olio denso, estratto dalle noci d’elais che si raccolgono nelle foreste africane.