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◄ | Dedica del traduttore |
Non di corvi uno stormo in sulle putri
Ossa s’accoglie; ma nell’atra notte
Sulle sponde del Volga una feroce
Gente s’accoglie: il volto e le favelle
Varia e le schiatte; a squallida capanna
Tolta o alle celle o a un carcere; a vietati
Guadagni intenta: e in tutti i cuori un solo
Desio si annida, non aver più legge
Nè imperio in terra. — Qui trasse il fuggiasco
Dal Donne battagliero: ed il Giudeo
Colle negre sue ciocche; delle steppe
Selvaggia prole, vedi là il difforme
Baschiro ed il Calmucco; vedi il fulvo
Finno e, di eterni vuoti ozi beato,
Sempre nomade il zingaro. Nè freno
V’è che il periglio e la discordia e il sangue
Alla indomita turba. La impietrata
Anima l’uno a’ più truci delitti
Educò: l’altro, freddo in cor, la mano
Spinge a sgozzar la vedovella e il figlio
Orfano; un riso de’ fanciulli il lento
Pianger è a questo: ed a nessun perdona
Quegli o sente pietà; lieto se stringa
Sanguinoso il pugnal, come del primo
Amor s’allegra il giovinetto e ride.
Tacea quïeto il loco: le spumanti
Coppe girano a cerchio e il mite raggio
Volga mesta la luna; qui sull’erbe
Dormono e volan sopra alle ree teste
Orrendi sogni: qui dell’alta notte
Abbrevian l’ore le liete novelle.
Tacevan tutti: del novo compagno
Al favellar intenti ed al compagno
Tutti volgean silenzïosi il guardo.
« Ebbi un fratel: di strani una famiglia
Ne educò: ma fanciulli ore di gioia
Mai non vedemmo che col roco accento
La povertade ne atterrì, costretti
Gli amari spregi a sopportar, le chiuse
Battaglie in petto del livor; nè un campo
Solo rimase agli orfani o capanna,
Ma faticando si traea la vita. —
Grave ne vien la negra sorte; oblio
Le paüre, i dolor, la coscïenza
Caccia e a un lieto avvenir ne son compagni
Solo il pugnale e la secreta notte. —
« O giovanile ardor! o gioventude!
Era lieta la vita allor che, morte
Fieri spregiando, partivam la preda.
Come un debile raggio in cielo uscia
Della luna, le fosche ime caverne
Lasciando, al bosco si foggia, feroci
Meditando pensier; là dietro al tronco
D’arbore antica per la tarda via
S’attende il ricco israëlita o il povero
Sacerdote. — Nel verno per la sorda
Notte, apprestando i rapidi destrieri,
Fra il zufolar e le liete canzoni,
Come un dardo si vola per il lungo
Mar delle nevi. E chi di noi non trema?
Se a lontana taverna semispento
Lumicino ne appare, alle negate
Porte battendo, le temuta voci
Le cantiniere destano e alle mense
Sedinm beendo a lunghi sorsi e lieti
Di giovinette e di sonanti baci.
« Ahi fu breve la festa: sulla incude
Battono i fabbri le ferree catene
A’ due fratelli: ed una armata turba
Al carcere ne guida. Giovanetto
Egli era più di me; fra i soffocanti
Muri, ne’ ceppi, a tollerar non uso
Ammalò il poveretto; il faticoso
Sospir traendo, fuor di sè, dal forte
Agitato dolor, qui sovra al petto
L’ardente capo reclinava: Io soffoco
Tornar vo’ ai boschi: l’aqua l’aqua: e indarno
Glien porgevo una stilla, lo premea
La non domata sete: per la fronte
Gli correva il sudor gelido; il sangue
Gli sconvolgeva e i sensi una secreta
Fiamma di morbo avvelenato: e più
Non conosceami, e mi cercava e sempre
Il compagno e l’amico egli chiedea.
Dove t’ascondi mai? Di’, la secreta
Via dove pieghi? Oh perchè il fratel mio
Or nel putido loco m’abbandona?
Fu lui, fu lui che da’ campi tranquilli
M’allettò prima alle arborose selve
Forte e tremendo: e dentro all’ombre cieche
Primo a uccider m’apprese. Ed or la pura
Campagna e’ corre senza me; la grave
Fionda ravvolge libero, oblïoso
Nei lieti giorni del compagno?
« E in novo
Impeto intanto lo affatica e il fruga
La coscïenza e da lontan minaci
Gli si affollano l’ombre. Più frequente
Sorgea il fantasma di un canuto veglio
Morto da noi. — Premea forte sugli occhi
Le palme e mi pregava: Oh del suo pianto
Fratel, fratel, abbi pietà; degli anni
Nel cader non ucciderlo: Quel fioco
Grido del vecchio mi atterrisce; oh il lascia
Temer di lui potresti, se una stilla
Non gli arde più nel sangue? delle bianche
Chiome non rider, fratel mio: t’arresta:
Nol tormentar mentre da Dio ci prega
Colle sante sue preci la vendetta.
« Udia lottando dentro a me; sugli occhi
Asciugargli le lagrime volea,
Fugar le vòte larve; ma nei sogni
Gli parevan de’ scheletri le danze
Venir da’ boschi al carcere; un orrendo
Alzar tumulto. Ecco lo scuote ed agita
Un suon da presso e lampeggiava il guardo
Di una fiamma selvaggia: irti i capelli
E’ trepidava come foglia al vento;
Nelle piazze più folte al scellerato
Palco vedea strìnger la folla; e verghe
Ed orrendi carnefici. — Smarrito
Al paüroso aspetto, e’ mi cadea
Fuori de’ sensi nelle braccia. Ahi lunghi
Giorni trassi così nè un sol istante
Più ristorarmi nè cader sugli occhi
Poteva il sonno.
« Ma nell’aspra lotta
Vinse la nova gioventù: le membra
Al fratel mio rinvigorite: in fuga
L’orribil morbo e disvaniro i sogni. —
Risorgemmo, e più vivo dentro in petto
S’agitava il desio della perduta
Nostra vita; e struggeasi delle selve
E di libere aure: più odïate
Ne premevan del carcer le tenebre
E tra i ferri mirar pallido e smorto
Il lume dell’aurora; più odiate
Delle scolte le grida e il tintinnio
Delle catene e l’augellin che passa.
« Ecco: stretti ne’ ceppi, in popolose
Vie ci aggiriamo ai cittadin cercando
La elemosina pia per i gementi
Nel castel prigionieri; e nel segreto
Ci accordiam di far piena or la sepolta
Speme del cuor. Splendean l’onde d’argento
D’un fiume: e dalle sponde alte nell’aque
Più profonde piombiamo: alterno i ferri
Dan suon commisti e con alterno piede
Si rompe il flutto. — A un isola romita
Di sabbie, la torrente aqua fendendo,
Moviam a nuoto, rapidi: alle spalle
Gridan: Prendili, prendili: dal carcere
Sono sfuggiti. — E due guardie da lungi
Notano a noi; ma già la sponda amica
Ne raccoglie ed un sasso le temute
Catene ispezza; molle d’aqua a lembo
A lembo ne stracciam l’ultima veste. —
Gli insecutor s’affrettano: speranza
Ne affida arditi; ivi seggendo aspetto.
L’un tuffa il capo sotto all’onde e l’onde
Rigurgita e tra’ gemiti nel fondo
Come piombo precipita. Più forte
Tranata l’altro il flutto e nella mano
Leva il fucile e il mio gridar non cura,
Ma ostinato s’avanza; or sulla fronte
Ecco gli volan rapidi due sassi. —
Quivi affondò. — Di nuovo allor nell’onde
Ci gettammo e a inseguirci altri non era
Sì ardimentoso: già presso è la riva
E si fugge nel bosco. — Il poveretto
Le gelide d’autunno aque e la grave
Fatica non durò; venirgli ei sente
Men le forze novelle: infermo e’ cadde
E ancor librarsi intorno i negri sogni
Egli vedea. Tre dì non ci partimmo
L’uno dall’altro; e mai l’egra pupilla
Non chinò amico il sonno al fratel mio:
Ma come fummo al quarto di venuti,
Pieno pareami di indomata angoscia:
Mi chiama; questa man stringe: nel guardo
Semispento io leggea fuggir men lenta
L’ultima pena; la sua man tremò:
Con un lento sospiro sopra il petto
Mi si piega e dormi.
« La fredda spoglia
Io tre notti sollecito guardai,
Se non tornasse a vita ancora il morto;
E amaramente io piansi: infin la terra
Colla vanga divisi, mestamente
Le membra ivi composi e la preghiera
Dei peccator su quella ultima fossa
Io dissi al fratel mio. — Diserto e solo
Agli usati sentier feci ritorno;
Ma i dì passati non ritornan più.
Non liete notti e non lauti conviti,
Non più le ardite imprese; in quell’avello
Tutto è sepolto. — Qui, diserto e solo,
Lo spirto fiero mi s’impietra e spenta
È ogni brama nel cuor; ma la rugosa
Fronte onoro e mi è orrendo le canute
Chiome indifese profanar e il brando
Levar feroce. Ah sì sempre io rammento
Quando nel duro carcere, fra i ceppi
Fiacco, in cupo dolor, per il vegliardo
Mi scongiurava l’egro fratel mio ».
Tacque; e gli occhi inclinò; rigava il pianto
Il fiero aspetto: e gli dicean tra il riso
I compagni: A che piangi? oh ti rincora.
Perchè i morti rammenti? E non siam vivi?
Fra i banchetti festanti il largo cibo
L’uno porga all’altro. — Or la spumante coppa
Gira a cerchio; e le già morte novelle
Si ravvivan nel vino: ognun racconta
Della fionda che mai non manca al segno. —
Tutto è strepito e gaudio. Coscïenza
Dorme nel chiuso cor; ma se la negra
Ora sovrasti si riscote e uccide.