< I masnadieri fratelli
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Aleksandr Sergeevič Puškin - I masnadieri fratelli (1822)
Traduzione dal russo di Emilio Teza (1862)
Testo
Dedica del traduttore







Non di corvi uno stormo in sulle putri
     Ossa s’accoglie; ma nell’atra notte
     Sulle sponde del Volga una feroce
     Gente s’accoglie: il volto e le favelle
     Varia e le schiatte; a squallida capanna
     Tolta o alle celle o a un carcere; a vietati
     Guadagni intenta: e in tutti i cuori un solo
     Desio si annida, non aver più legge
     Nè imperio in terra. — Qui trasse il fuggiasco
     Dal Donne battagliero: ed il Giudeo
     Colle negre sue ciocche; delle steppe
     Selvaggia prole, vedi là il difforme
     Baschiro ed il Calmucco; vedi il fulvo
     Finno e, di eterni vuoti ozi beato,
     Sempre nomade il zingaro. Nè freno
     V’è che il periglio e la discordia e il sangue

     Alla indomita turba. La impietrata
     Anima l’uno a’ più truci delitti
     Educò: l’altro, freddo in cor, la mano
     Spinge a sgozzar la vedovella e il figlio
     Orfano; un riso de’ fanciulli il lento
     Pianger è a questo: ed a nessun perdona
     Quegli o sente pietà; lieto se stringa
     Sanguinoso il pugnal, come del primo
     Amor s’allegra il giovinetto e ride.



Tacea quïeto il loco: le spumanti
     Coppe girano a cerchio e il mite raggio
     Volga mesta la luna; qui sull’erbe
     Dormono e volan sopra alle ree teste
     Orrendi sogni: qui dell’alta notte
     Abbrevian l’ore le liete novelle.
     Tacevan tutti: del novo compagno
     Al favellar intenti ed al compagno
     Tutti volgean silenzïosi il guardo.



« Ebbi un fratel: di strani una famiglia
     Ne educò: ma fanciulli ore di gioia
     Mai non vedemmo che col roco accento

     La povertade ne atterrì, costretti
     Gli amari spregi a sopportar, le chiuse
     Battaglie in petto del livor; nè un campo
     Solo rimase agli orfani o capanna,
     Ma faticando si traea la vita. —
     Grave ne vien la negra sorte; oblio
     Le paüre, i dolor, la coscïenza
     Caccia e a un lieto avvenir ne son compagni
     Solo il pugnale e la secreta notte. —



« O giovanile ardor! o gioventude!
     Era lieta la vita allor che, morte
     Fieri spregiando, partivam la preda.
     Come un debile raggio in cielo uscia
     Della luna, le fosche ime caverne
     Lasciando, al bosco si foggia, feroci
     Meditando pensier; là dietro al tronco
     D’arbore antica per la tarda via
     S’attende il ricco israëlita o il povero
     Sacerdote. — Nel verno per la sorda
     Notte, apprestando i rapidi destrieri,
     Fra il zufolar e le liete canzoni,
     Come un dardo si vola per il lungo
     Mar delle nevi. E chi di noi non trema?

     Se a lontana taverna semispento
     Lumicino ne appare, alle negate
     Porte battendo, le temuta voci
     Le cantiniere destano e alle mense
     Sedinm beendo a lunghi sorsi e lieti
     Di giovinette e di sonanti baci.



« Ahi fu breve la festa: sulla incude
     Battono i fabbri le ferree catene
     A’ due fratelli: ed una armata turba
     Al carcere ne guida. Giovanetto
     Egli era più di me; fra i soffocanti
     Muri, ne’ ceppi, a tollerar non uso
     Ammalò il poveretto; il faticoso
     Sospir traendo, fuor di sè, dal forte
     Agitato dolor, qui sovra al petto
     L’ardente capo reclinava: Io soffoco
     Tornar vo’ ai boschi: l’aqua l’aqua: e indarno
     Glien porgevo una stilla, lo premea
     La non domata sete: per la fronte
     Gli correva il sudor gelido; il sangue
     Gli sconvolgeva e i sensi una secreta
     Fiamma di morbo avvelenato: e più
     Non conosceami, e mi cercava e sempre

     Il compagno e l’amico egli chiedea.
     Dove t’ascondi mai? Di’, la secreta
     Via dove pieghi? Oh perchè il fratel mio
     Or nel putido loco m’abbandona?
     Fu lui, fu lui che da’ campi tranquilli
     M’allettò prima alle arborose selve
     Forte e tremendo: e dentro all’ombre cieche
     Primo a uccider m’apprese. Ed or la pura
     Campagna e’ corre senza me; la grave
     Fionda ravvolge libero, oblïoso
     Nei lieti giorni del compagno?



                             « E in novo
     Impeto intanto lo affatica e il fruga
     La coscïenza e da lontan minaci
     Gli si affollano l’ombre. Più frequente
     Sorgea il fantasma di un canuto veglio
     Morto da noi. — Premea forte sugli occhi
     Le palme e mi pregava: Oh del suo pianto
     Fratel, fratel, abbi pietà; degli anni
     Nel cader non ucciderlo: Quel fioco
     Grido del vecchio mi atterrisce; oh il lascia
     Temer di lui potresti, se una stilla
     Non gli arde più nel sangue? delle bianche

     Chiome non rider, fratel mio: t’arresta:
     Nol tormentar mentre da Dio ci prega
     Colle sante sue preci la vendetta.



« Udia lottando dentro a me; sugli occhi
     Asciugargli le lagrime volea,
     Fugar le vòte larve; ma nei sogni
     Gli parevan de’ scheletri le danze
     Venir da’ boschi al carcere; un orrendo
     Alzar tumulto. Ecco lo scuote ed agita
     Un suon da presso e lampeggiava il guardo
     Di una fiamma selvaggia: irti i capelli
     E’ trepidava come foglia al vento;
     Nelle piazze più folte al scellerato
     Palco vedea strìnger la folla; e verghe
     Ed orrendi carnefici. — Smarrito
     Al paüroso aspetto, e’ mi cadea
     Fuori de’ sensi nelle braccia. Ahi lunghi
     Giorni trassi così nè un sol istante
     Più ristorarmi nè cader sugli occhi
     Poteva il sonno.



                             « Ma nell’aspra lotta
     Vinse la nova gioventù: le membra

     Al fratel mio rinvigorite: in fuga
     L’orribil morbo e disvaniro i sogni. —
     Risorgemmo, e più vivo dentro in petto
     S’agitava il desio della perduta
     Nostra vita; e struggeasi delle selve
     E di libere aure: più odïate
     Ne premevan del carcer le tenebre
     E tra i ferri mirar pallido e smorto
     Il lume dell’aurora; più odiate
     Delle scolte le grida e il tintinnio
     Delle catene e l’augellin che passa.



« Ecco: stretti ne’ ceppi, in popolose
     Vie ci aggiriamo ai cittadin cercando
     La elemosina pia per i gementi
     Nel castel prigionieri; e nel segreto
     Ci accordiam di far piena or la sepolta
     Speme del cuor. Splendean l’onde d’argento
     D’un fiume: e dalle sponde alte nell’aque
     Più profonde piombiamo: alterno i ferri
     Dan suon commisti e con alterno piede
     Si rompe il flutto. — A un isola romita
     Di sabbie, la torrente aqua fendendo,
     Moviam a nuoto, rapidi: alle spalle

     Gridan: Prendili, prendili: dal carcere
     Sono sfuggiti. — E due guardie da lungi
     Notano a noi; ma già la sponda amica
     Ne raccoglie ed un sasso le temute
     Catene ispezza; molle d’aqua a lembo
     A lembo ne stracciam l’ultima veste. —
     Gli insecutor s’affrettano: speranza
     Ne affida arditi; ivi seggendo aspetto.
     L’un tuffa il capo sotto all’onde e l’onde
     Rigurgita e tra’ gemiti nel fondo
     Come piombo precipita. Più forte
     Tranata l’altro il flutto e nella mano
     Leva il fucile e il mio gridar non cura,
     Ma ostinato s’avanza; or sulla fronte
     Ecco gli volan rapidi due sassi. —
     Quivi affondò. — Di nuovo allor nell’onde
     Ci gettammo e a inseguirci altri non era
     Sì ardimentoso: già presso è la riva
     E si fugge nel bosco. — Il poveretto
     Le gelide d’autunno aque e la grave
     Fatica non durò; venirgli ei sente
     Men le forze novelle: infermo e’ cadde
     E ancor librarsi intorno i negri sogni
     Egli vedea. Tre dì non ci partimmo
     L’uno dall’altro; e mai l’egra pupilla

     Non chinò amico il sonno al fratel mio:
     Ma come fummo al quarto di venuti,
     Pieno pareami di indomata angoscia:
     Mi chiama; questa man stringe: nel guardo
     Semispento io leggea fuggir men lenta
     L’ultima pena; la sua man tremò:
     Con un lento sospiro sopra il petto
     Mi si piega e dormi.



                        « La fredda spoglia
     Io tre notti sollecito guardai,
     Se non tornasse a vita ancora il morto;
     E amaramente io piansi: infin la terra
     Colla vanga divisi, mestamente
     Le membra ivi composi e la preghiera
     Dei peccator su quella ultima fossa
     Io dissi al fratel mio. — Diserto e solo
     Agli usati sentier feci ritorno;
     Ma i dì passati non ritornan più.
     Non liete notti e non lauti conviti,
     Non più le ardite imprese; in quell’avello
     Tutto è sepolto. — Qui, diserto e solo,
     Lo spirto fiero mi s’impietra e spenta
     È ogni brama nel cuor; ma la rugosa

     Fronte onoro e mi è orrendo le canute
     Chiome indifese profanar e il brando
     Levar feroce. Ah sì sempre io rammento
     Quando nel duro carcere, fra i ceppi
     Fiacco, in cupo dolor, per il vegliardo
     Mi scongiurava l’egro fratel mio ».



Tacque; e gli occhi inclinò; rigava il pianto
     Il fiero aspetto: e gli dicean tra il riso
     I compagni: A che piangi? oh ti rincora.
     Perchè i morti rammenti? E non siam vivi?
     Fra i banchetti festanti il largo cibo
     L’uno porga all’altro. — Or la spumante coppa
     Gira a cerchio; e le già morte novelle
     Si ravvivan nel vino: ognun racconta
     Della fionda che mai non manca al segno. —
     Tutto è strepito e gaudio. Coscïenza
     Dorme nel chiuso cor; ma se la negra
     Ora sovrasti si riscote e uccide.

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