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CAPITOLO XIII.
Alla deriva.
Era però uscito assai malconcio da quella formidabile lotta. I suoi margini esterni diroccavano continuamente e larghi pezzi di ghiaccio si staccavano ad ogni istante e sulla vasta superficie si vedevano numerosi crepacci, ammonticchiamenti di rottami, ice-bergs decapitati o semirovesciati, piramidi tronche e dovunque sollevamenti.
Si era sbarazzato dei vicini in buon punto però, poichè se tardava ancora, la Torpa sarebbe rimasta schiacciata. L’equipaggio poteva ben essere soddisfatto di essere sfuggito a quel pericolo che avrebbe avuto, più tardi, delle conseguenze incalcolabili.
I magazzini però avevano subìto dei gravi danni: le pareti delle tettoie erano cadute, i tetti erano crollati, parte della costruzione centrale era stata rovesciata e una baleniera era stata fracassata dalla caduta dei blocchi di ghiaccio. Poco però importava, poichè ormai non erano più necessarii.
Il wacke, avendo ripreso la sua marcia attraverso l’oceano, non doveva più provare le pressioni, poichè i banchi galleggianti non dovevano tardare a diventare rari. La Torpa, sfuggita incolume all’ultima stretta, non correva alcun pericolo e poteva attendere tranquillamente lo scioglimento del grande banco e l’ora della liberazione.
Pareva che la corrente, al di sotto dell’isola degli Orsi, avesse acquistata maggior velocità, poichè il wacke si allontanava dalle sponde a vista d’occhio. Alle sei di sera era già lontano circa quattro miglia dal floe arenato e continuava la marcia, spostandosi però lievemente verso l’est.
Se avesse dovuto continuare quella rotta, sarebbe andato a infrangersi sulle coste occidentali della Norvegia e più probabilmente contro l’arcipelago delle Loffoden.
– Tutto va bene, disse Tompson, che osservava il mare munito d’un cannocchiale. Mio caro professore, se il diavolo non ci mette la coda, fra due o tre settimane noi avvisteremo le coste della Norvegia, e fra quattro o cinque avremo il piacere di stringere la mano a quel bravo signor Foyn.
– Il quale sarà molto contento di rivederci, capitano, rispose Oscar.
– Lo credo, disse il baleniere, ridendo. Rimarrà molto sorpreso nel vedere rientrare in porto la Torpa, proprio nel colmo dell’inverno.
– Siete un uomo fortunato, voi.
– Comincio a crederlo, professore. Non avrei mai creduto di ritornare prima dello scioglimento dei ghiacci.
– Non siamo però ancora a Vadsò, capitano.
– Non vi sono più pericoli ormai. Di passo in passo che scenderemo al sud, i banchi di ghiaccio diventeranno più radi ed il nostro wacke, incontrando acque più tiepide, comincerà a sciogliersi.
– So però, che degli ice-bergs soventi si spingono fino alle coste occidentali della Norvegia. Se ne sono veduti perfino dinanzi ai fiords di Christiansund e perfino dinanzi al Soque-fiord.
– Lo so, professore, ma appena scorgeremo le montagne della Norvegia farò minare il banco e lo farò saltare pezzo a pezzo. Quando saremo giunti laggiù, non sarà più nè così grande, nè così solido come lo vediamo ora.
– Tornerete poi ad Hammerfest?
– Ho lasciato laggiù la mia nave in cantiere.
– Ritornerete in queste regioni nell’estate?
– Sì, professore. Verrò a pescare i giganti del mare in questi paraggi.
– Con quale piacere vi terrei compagnia.
– Il piacere sarebbe mio, professore, e se vorrete vi offro una cabina e una tavola che non sarà cattiva. Accettate?...
– È probabile, signor Tompson.
– Conto sulla vostra promessa. Vi farò vedere come si uccidono quei colossi a colpi di rampone. Professore, andiamo a cenare: questo freddo mette indosso una fame da lupi.
All’indomani il wacke era tanto lontano dall’isola degli Orsi, che appena appena si distinguevano i profili delle montagne. Ormai navigava in un mare quasi sgombro di ghiacci, poichè non si vedevano che pochi ice-bergs e pochi palks andare alla deriva.
Anche il freddo era notevolmente scemato e oscillava fra i -9° ed i -4° centigradi. Il sole però saliva ancora poco sopra l’orizzonte, ma di miglio in miglio che il wacke scendeva al sud, doveva prolungare sempre più le sue fermate e allungare le giornate.
Alle Spitzberg doveva già essere cominciata la notte polare.
Il 1° novembre il banco si trovava a oltre sessanta miglia al sud-sud-est dell’isola degli Orsi. Le acque, non più gelate, avevano cominciato a minare le sue sponde.
I margini si assottigliavano lentamente sì, ma costantemente e l’acqua del bacino pareva pronta a irrompere attraverso la superficie gelata. Anche delle grandi fessure si erano manifestate ed una si era spinta fino sotto la poppa della Torpa.
Numerosi uccelli continuavano ad accorrere sul banco, volteggiando in grandi stormi chiassosi attorno alla nave. Labbi, urie, gazze, eider, oche bernide e procellarie passavano e ripassavano senza posa e alla sera si schieravano sui margini del ghiaccione.
Il 3 novembre avendo il wacke incontrato un floe di vaste dimensioni, su cui si erano scorti numerosi trichechi, Tompson, Oscar, Jansey, dieci dei più valenti cacciatori, approfittando del mare calmo, s’imbarcarono su una baleniera e li abbordarono.
I grossi anfibi, sorpresi mentre stavano godendosi i limpidi raggi del sole, furono facilmente circondati dai cacciatori, impedendo loro di potersi trascinare al mare.
Sei dei più grossi caddero sotto i colpi di rampone e le palle e vennero rimorchiati fino al banco e quindi trascinati a bordo della Torpa.
Furono anche vedute parecchie foche che si lasciavano trasportare dai ream, piccoli banchi, ma erano troppo lontane per pensare ad inseguirle ed a raggiungerle prima che avessero il tempo di tuffarsi.
Il 6 novembre, a circa centoventi miglia dall’isola degli Orsi, il wacke faceva l’incontro d’una flottiglia numerosa di ghiacci. Era il principio di quella grande barriera, che tutti gli anni s’incontra in quei paraggi, e che pareva provenisse dalle coste orientali della Groenlandia che sono così ricche di ghiacciai.
Però fra quegli ice-bergs, quei palks e quei floe vi erano dei passaggi assai larghi ed il wacke non correva alcun pericolo di venire un’altra volta arrestato.
Tutt’al più poteva urtare e perdere una parte della sua superficie e fors’anche spaccarsi a metà e lasciare finalmente libera la Torpa.
Su quei ghiacci che andavano lentamente alla deriva, si scorgevano numerose foche e morse, ed Oscar vide, non senza stupore, perfino una coppia di orsi bianchi.
– Finiranno coll’annegarsi disse a Jansey, che guardava quei feroci animali con occhi ardenti.
– Oh, non credetelo, professore rispose il capitano. Gli orsi bianchi sono valenti nuotatori. Io ne ho veduti alcuni ad una distanza di trenta chilometri dalle coste più vicine.
– Nuotano agilmente?
– Quanto le foche, anzi talora spiccano certi salti, da uscire quasi completamente dalle onde.
– È vero, capitano, che amano poco inoltrarsi entro le terre.
– Verissimo, vi dirò anzi che di rado s’incontrano a sessanta o settanta chilometri dalle coste. Qualche volta però si vedono anche a centocinquanta chilometri dal mare, ma lungo i fiumi che risalgono pescando e per nutrirsi delle bacche rosse di certi cespuglietti che crescono presso i corsi d’acqua dolce.
– Sono anche le femmine amanti dell’acqua?
– Molto meno dei maschi, e si allontanano poco dalle spiagge. Quando poi sanno di avere piccini, si cacciano nella neve e stanno là sotto tutto l’inverno, non uscendo che ai primi raggi della primavera. È quella la stagione per dare alla luce i due orsacchiotti.
– E si lasciano coprire dalla neve e dal ghiaccio?
– Sì, professore, ma pare che non soffrano.
– Usciranno però magre da quel lungo letargo.
– Non tanto, ma si svegliano molto affamate, ed allora assalgono qualunque gruppo di cacciatori.
– Ma non si soffocano in quella tana di ghiaccio?
– No, poichè la loro respirazione ed il calore del corpo bastano per produrre delle piccole fessure sufficienti a lasciare il passaggio all’aria. Professore, andiamo a urtare contro gli ice-bergs della barriera.
– Ormai non abbiamo nulla da paventare.
– Anzi tutto da guadagnare; ma vedrete che questo wacke non ci lascerà ancora liberi. Ha uno spessore enorme e ci trascinerà ben lontani prima di scioglierci.
– Va sempre al sud sud-est, signor Jansey?
– Sì, e temo che vada a finire in un brutto vortice.
– Cosa volete dire?
– O m’inganno assai o la corrente che ci trasporta ha uno zampino nel movimento rotatorio del Maëlstrom.
– Il Maëlstrom, avete detto? – chiese Oscar, impallidendo.
– Sì, professore.
– E credete che il wacke vada a inabissarsi in quel vortice?...
– Lo temo, ma non vi è motivo di spaventarsi, professore. Quando il mare è tranquillo e non soffia il vento del nord, non è così pericoloso come si dice, e una nave può attraversarlo impunemente.
– Ma durante l’inverno il mare è quasi sempre tempestoso intorno all’isola di Moskenoesoe.
– È vero, ma speriamo che la fortuna ci protegga ancora. Tocchiamo, professore, tenetevi stretto al bordo.
Il wacke cozzava allora contro gli ice-bergs della barriera. Contrariamente però alle previsioni di tutti, l’urto fu così formidabile, che perfino i margini interni del bacino diroccarono e la superficie gelata, pel contraccolpo, fu spezzata.
Due ice-bergs, squilibrati dal cozzo, strapiombarono sul wacke con indicibile fracasso, staccandone un tratto di tre o quattrocento metri quadrati e aprendo un canale largo parecchie gomene.
La Torpa, che era stata sollevata dalle ultime pressioni, cadde in acqua sollevando uno sprazzo gigantesco, e dalle contro-ondate fu spinta contro i margini del bacino con tale violenza, che la stiva rintuonò tutta ed i corbetti scricchiolarono sinistramente.
– Mille balene! esclamò Tompson. Un altro urto come questo e la Torpa si potrebbe mandare in cantiere per un paio di mesi. Fortunatamente è a prova di scoglio.
– È stata l’ultima prova disse Jansey. Addio ghiacci polari!
Era vero. Al di là di quelle barriere non si vedevano nè ice-bergs, nè palks, nè floe, nemmeno degli streams, nemmeno i piccoli hummoks. Il mare era perfettamente libero e solamente il wacke, forse in causa della sua grande estensione e fors’anche perchè si trovava nel mezzo della corrente, scendeva verso le latitudini meridionali.
Alcuni ice-bergs però, che dovevano trovarsi nel filo della corrente, lo seguivano, ma ad una grande distanza, essendo contrariati dal vento dell’est che urtava contro le loro alte creste.
Già i marinai si rallegravano, credendo ormai di non dover affrontare alcun pericolo, quando Tompson, che era salito sul barile dell'ice-master per meglio osservare l’orizzonte meridionale, fu veduto scendere precipitosamente.
– Cosa avete? chiese Oscar, muovendogli incontro.
– Ho che il nostro wacke, poco prima deserto, si è popolato di abitanti assai incomodi.
– Di abitanti? chiese il professore, con stupore.
– Sì, ma a quattro gambe.
– Degli orsi forse?
– Sì, professore, ve ne sono almeno due dozzine.
– Ma da dove sono sbucati?
– Io non saprei dirvelo, ma dovevano trovarsi sui quei due ice-bergs piombati sul nostro wacke.
– Brutti compagni, signor Tompson.
– I birboni devono essere affamati e contano di banchettare colle nostre cosce, ma ci affretteremo a sbarazzarci di loro. Ohe, in coperta i cacciatori!... Vi è abbondanza di carne fresca, sul banco.
– Andate a cacciarli, signor Tompson?
– E senza ritardo, o alla prima notte nebbiosa faranno la loro comparsa sul ponte della Torpa. Volete venire?
– Con vostro permesso, subito.
– In caccia, allora. Avremo da lavorare, ma ci sbarazzeremo di quei pericolosi vicini.