< I naufraghi dello Spitzberg
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15. Il Maëlstrom
14. Una storia d'orsi bianchi Conclusione


CAPITOLO XV.

Il Maëlstrom.


U
n vecchio maschio, riconoscibile per tale dalla sua pelliccia che aveva delle sfumature giallastre, era comparso presso l’orlo d’un bacino che si trovava a circa trecento passi dal mare.

Pareva però che fosse più curioso che inquieto. Seduto sulle zampe deretane, dondolava comicamente la sua testaccia villosa ed appuntita, guardando i cacciatori che si disponevano a circondarlo per impedirgli di raggiungere la costa del wacke.

Doveva essere molto affamato, forse digiuno da parecchie settimane, perchè era assai magro; era quindi probabile che non cercasse di fuggire.

Tompson armò flemmaticamente la carabina, mentre Oscar e gli altri si allargavano rapidamente, e mosse risolutamente incontro alla fiera.

A quindici passi fece fuoco. L’animale cadde piroettando su se stesso, ma fu pronto a rialzarsi e con una agilità sorprendente.

Si rizzò sulle zampe posteriori e si precipitò addosso al cacciatore che lo aspettava a piede fermo, con un rampone in mano. Lanciava delle urla acute, sbatteva le zampe anteriori come fosse già dietro a lacerare l’avversario e digrignava i denti. Una grande macchia di sangue si dilatava sulla sua pelliccia, un po’ sotto la spalla destra.

I marinai e Oscar però avevano puntato rapidamente i fucili, e per mirare meglio si erano inginocchiati. Sette spari rintronarono formando quasi una sola detonazione. L’orso, crivellato di ferite, fece un balzo innanzi e andò a cadere quasi ai piedi di Tompson, il quale fu pronto a dargli il colpo di grazia, cacciandogli il rampone attraverso il corpo.

Incoraggiati da quel primo successo, i cacciatori s’affrettarono a raggiungere le sponde del wacke e si misero a scalare gli avanzi degli ice-bergs saldatisi al banco.

Dopo mezz’ora di marcia, un altro orso fu scoperto in fondo ad una spaccatura.

Si era affondato nella neve così bene, che per poco un marinaio non vi cadde sopra. La belva non ebbe il tempo di balzare fuori dalla buca e di mettersi sulle difese. Quattro palle tiratele contro, quasi a bruciapelo, la freddarono.

Dopo il mezzodì un terzo fu sorpreso mentre cercava di gettarsi in acqua. Raggiunto da Tompson e da Oscar presso la sponda, sebbene doppiamente ferito, tentò di caricarli, ma vedendo accorrere i marinai, in tre balzi raggiunse il margine del wacke e si precipitò fra le onde.

Ricomparso a galla a trenta passi dal banco, fu bersagliato e andò a picco con parecchie palle nel cranio.

Il resto della giornata la passarono in vani inseguimenti. I carnivori, spaventati da quelle continue detonazioni, non si lasciavano più avvicinare e appena fiutati i cacciatori si affrettavano a gettarsi in mare, allontanandosi rapidamente.

Alla sera Tompson ed i suoi compagni tornarono a bordo trascinando le loro prede e trovarono l’altra squadra comandata dal capitano Jansey, che aveva già rimorchiati al bacino tre altri orsi.

All’indomani la caccia fu ripresa con molto vigore e con maggior numero di uomini. I carnivori erano già ritornati sul wacke ed alcuni, durante la notte, avevano avuto l’audacia di ronzare attorno ai magazzini.

Altri sette furono abbattuti in quella seconda giornata e senza che i marinai riportassero alcuna ferita, poi altri due il 10 novembre.

L’11 le cacce furono sospese, essendo sceso sul mare un denso nebbione, il quale durò tre giorni quasi senza interruzione, ma il 15 altri quattro orsi furono uccisi.

Da quel giorno non ne furono più veduti. Avendo il wacke incontrati alcuni banchi che andavano pure alla deriva, probabilmente i superstiti li avevano raggiunti.

Intanto la Torpa continuava a essere trascinata verso il sud, mantenendosi tra il 18° e 20° meridiano.

La temperatura diventava di giorno in giorno meno aspra, ed il sole si alzava sempre più sull’orizzonte, cominciando a sciogliere l’acqua del bacino e anche la superficie del grande banco.

L’acqua marina, che diventava sempre meno fredda, aveva già prodotto dei guasti rilevanti nei margini. Ad ogni istante un tratto di sponda franava, od un pezzo d’ice-berg si staccava o s’aprivano dei grandi crepacci.

La prigionia non doveva durare ancora molto; ancora alcune settimane e la Torpa avrebbe finalmente potuto sciogliere le vele e dirigersi verso le coste della Norvegia.

Il 24 novembre, Tompson e Jansey, fatto il punto, s’accorsero di aver sorpassato la latitudine del capo Nord.

– Mille balene! esclamò il comandante della Torpa. Saremo adunque costretti a rimontare verso il nord, per far ritorno a Vadsò? Se questo dannato banco fosse disceso lungo il 31° meridiano, fra ventiquattro o quarant’otto ore ci saremmo trovati dinanzi al Varangefiord.

– Ed invece andremo a dar di cozzo contro le isole Loffoden disse Jansey.

– Lo credete?

– La corrente non accenna a deviare e temo che vada a terminare nel Maëlstrom... Io sono certo che deve formare quel grande gorgo.

– È probabile, rispose Tompson, che si era fatto oscuro in viso, l’acqua continua a rodere il banco e può spezzarlo prima; oggi anzi sgombreremo i magazzini e faremo imbarcare le provviste e le baleniere. Potremo anche rendere la libertà ai due eider datemi dal signor Foyn mettendo sotto le loro ali qualche lettera. Auguriamoci che giungano a destinazione.

Il 24 novembre il wacke si trovava al 68° di latitudine. La corrente pareva che fosse diventata più rapida, poichè il grande banco si avvicinava rapidamente alle coste della Norvegia.

Fu quello l’ultimo giorno che i due comandanti poterono rilevare la latitudine e la longitudine, poichè il 30 il cielo si coperse di nebbie così fitte che impedivano qualsiasi osservazione. Il mare era diventato cattivo e si rompeva con furore contro i margini già rôsi del banco e soffiava impetuoso il vento del nord.

Il wacke aumentava sempre la sua marcia, quasi fosse impaziente di frantumarsi contro le coste norvegiane, ma scemava anche a vista d’occhio. A poco a poco si disgregava e solamente il nucleo centrale mantenevasi ancora compatto, impedendo alla Torpa di approfittare delle numerose squarciature che si producevano.

Di miglio in miglio che scemava la distanza che li separava dalle coste, Tompson e Jansey diventavano più irrequieti. Dove sarebbero andati a finire? Avrebbe potuto la Torpa resistere all’ultimo cozzo del banco? Avrebbero potuto sfuggire il gran vortice che doveva essere diventato terribile con quel mare tempestoso e quelle furiose raffiche che scendevano dal nord?...

Il Maëlstrom!... Quel nome li faceva impallidire e suonava ai loro orecchi come una campana funebre.

Il 1° dicembre l’urto non era ancora avvenuto, ma tutti sentivano che la terra era vicina. Il nebbione però impediva di scorgerla ed il mare continuava a mantenersi cattivo.

Verso le 11 p. Tompson stava per scendere nel quadro onde riposarsi qualche ora, quando i suoi orecchi furono colpiti da lontani muggiti. Si sarebbe detto che il mare si rompeva con grande rabbia contro una costa.

– Le Lofoden?... gli chiese Oscar, che aveva pure uditi quei muggiti.

Tompson non rispose. Ascoltava con profonda attenzione, in preda ad una visibile ansietà. Ad un tratto si alzò col viso contratto e gli sguardi smarriti.

– Gran Dio!... esclamò. – Ice-master!... È sempre al sud la prora?...

– Ma no, capitano! rispose il pilota, guardando le bussole. Il banco vira di bordo!

– Jansey!...

Il capitano del Gotheborg, che si trovava di quarto a prora, accorse.

– Seguitemi, disse il baleniere. La nebbia si rompe e di lassù potremo vedere qualche cosa.

Si slanciarono sulle griselle e salirono nella botte del pilota. Attraverso alla nebbia che si lacerava sotto le raffiche, scorsero attorno al banco un candido lenzuolo di spuma che ondeggiava in tutte le direzioni, e udirono di lassù, dei boati confusi, degli scricchiolìi, dei tonfi e delle urla che parevano emesse da creature umane.

Gli equipaggi si erano allora pure accorti che il banco cominciava a roteare e che stava per essere assorbito dal vortice gigante. Urla di terrore risuonavano sul ponte, a prora ed a poppa. I due comandanti si lasciarono scivolare in coperta tuonando:

– In alto i gabbieri!... Tutte le vele al vento!... Calma ragazzi!...

Il wacke intanto cominciava a girare sui margini del vortice. Era ormai stato afferrato fra le sue spire e correva disordinatamente, trabalzando sulle onde e scricchiolando, trascinato da una forza irresistibile.

Attorno ad esso galoppavano altri ghiacci, strappati forse dalle spiagge di Moskenoesoe, rottami d’antichi vascelli che il gorgo spingeva a galla e che poi ringhiottiva, e si dibattevano, colla forza della disperazione i narvali dal lungo corno, le grasse focene, i voraci pescicani, le foche ed i trichechi emettendo muggiti e sospiri potenti paragonabili al tuono udito in lontananza.

Il vortice trascinava tutti nella sua foga circolare muggendo spaventosamente, sconvolgendo per ogni dove le acque, ed aspirando nell’imbuto mostruoso perfino le nebbie.

Tutte le vele erano state spiegate, quando avvenne un cozzo spaventoso. Il wacke, fracassato contro qualche roccia o contro qualche ammasso di ghiacci, si era aperto.

Un immenso urlo di gioia s’alzò sul ponte della Torpa seguìto subito dopo da una voce che tuonava:

– Al sud la prora!... A tutto vento in poppa!...

Lo schooner, ritornando libero, investito dal vento che soffiava impetuosamente dal nord, balzava attraverso le onde, spezzando la corrente circolare del gorgo.

Speronava i ghiacci, speronava i rottami, urtava, frantumava ma andava innanzi trascinato dall’uragano.

Un quarto d’ora dopo avveniva un urto violentissimo e la nave s’arrestava di colpo, mentre l’equipaggio stramazzava in coperta.

– Mille balene!... Cosa è avvenuto?... urlò Tompson.

– Siamo arenati dinanzi alla costa norvegiana, gridò Jansey.

– Piuttosto che venire inghiottiti dal Maëlstrom, preferisco un arenamento disse il baleniere. Speriamo di essere finalmente salvi!...



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