< I quattro libri dell'architettura (1790)
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Libro I - I


PROEMIO AI LETTORI



D
A naturale inclinazione guidato, mi diedi ne’ miei primi anni allo studio dell’Architettura: e perchè sempre fui di opinione che gli Antichi Romani come in molt’altre cose, così nel fabbricar bene abbiano di gran lunga avanzato tutti quelli che dopo loro sono stati, mi proposi per maestro, e guida Vitruvio: il quale è solo antico Scrittore di quest’arte: e mi misi alla investigazione delle reliquie degli antichi edificj, le quali malgrado del tempo, e della crudeltà de’ Barbari ne sono rimase: e ritrovandole di molto maggiore osservazione degne, che io non mi aveva prima pensato; cominciai a misurare minutissimamente con somma diligenza ciascuna parte loro: delle quali tanto divenni sollecito investigatore, non vi sapendo conoscer cosa che con ragione e con bella proporzione non fósse fatta, che poi non una ma più e più volte mi son trasferito in diverse parti d’Italia e fuori per potere intieramente da quelle, quale fosse il tutto comprendere ed in disegno ridurlo. Laonde veggendo quanto questo comune uso di fabbricare sia lontano dalle osservationi da me fatte ne i detti edificj, e lette in Vitruvio in Leon Battista Alberti e in altri eccellenti Scrittori che dopo Vitruvio sono stati, e da quelle anco, che di nuovo da me sono state praticate con molta sodisfazione e laude di quelli che si sono serviti dell’opera mia; mi è parso cosa degna di uomo, il quale non solo a se stesso deve esser nato ma ad utilità anco degli altri, il dare in luce i disegni di quegli edificj, che in tanto tempo, e con tanti miei pericoli ho raccolti, e ponere brevemente ciò che in essi m’è parso più degno di considerazione, ed oltre a ciò quelle regole che nel fabbricare ho osservate, e osservo: affinchè coloro, i quali leggeranno questi miei libri possano servirsi di quel tanto di buono che vi sarà, ed in quelle cose supplire nelle quali (come che molte forse ve ne saranno) io averò mancato: onde cosi a poco a poco s’impari a lasciar da parte gli strani abusi, le barbare invenzioni, e le superflue spese, e (quello che più importa) a schivare le varie, e continove rovine, che in molte fabbriche si sono vedute. Ed a questa impresa tanto più volentieri mi son messo, quanto ch’io veggo a questi tempi essere assaissimi di questa professione studiosi: di molti dei quali ne’ suoi libri fa degna ed onorata memoria Messer Giorgio Vasari Aretino Pittore ed Architetto raro; onde spero che il modo di fabbricare con universale utilità si abbia a ridurre, e tosto a quel termine, che in tutte le arti è sommamente desiderato, e al quale in questa parte d’Italia par che molto avvicinato si sia: conciosiachè non solo in Venezia, ove tutte le buone arti fioriscono e che sola n’è come esempio rimasa della grandezza e magnificenza de’ Romani, si comincia a veder fabbriche che hanno del buono, dapoi che Messer Giacomo Sansovino Scultore ed Architetto di nome celebre, cominciò primo a far conoscere la bella maniera, come si vede (per lasciare a dietro molte altre sue belle opere) nella Procuratia nova, la quale è il più ricco, e ornato edifizio che forse sia stato fatto da gli Antichi in qua; ma anco in molti altri luoghi di minor nome, e massimamente in Vicenza, Città non molto grande di circuito ma piena di nobilissimi intelletti, e di ricchezze assai abbondante, ed ove prima ho avuto occasione di praticare quello che ora a comune utilità mando in luce, si veggono assaissime belle fabbriche, e molti Gentiluomini vi sono stati studiosissimi di quest’arte: i quali e per nobiltà, e per eccellente dottrina non sono indegni di esser annoverati tra i più illustri; come il Signor Giovan Giorgio Trissino splendore de’ tempi nostri, ed i Signori Conti Marc’Antonio ed Adriano fratelli de’ Thieni, ed il Signor Antenore Pagello Cavalier; e oltre a questi, i quali passati a miglior vita nelle belle ed ornate fabbriche loro hanno lasciato di se un’eterna memoria, vi è ora il Signor Fabio Monza intelligente di assaissime cose; il Signor Elio de’ Belli figliuolo che fu del Signor Valerio celebre per l’artificio de’ Camei, ed dello scolpire in cristallo, il Signor Antonio Francesco Oliviera, il quale oltre la cognizione di molte scienze è Architetto e Poeta eccellente, come ha dimostrato nella sua Alemana poema in verso eroico, ed in una sua fabbrica a’ Boschi di Nanto, luogo del Vicentino; e finalmente (per lasciare molti altri, i quali con ragione si potrebbono in questo numero porre) il Signor Valerio Barbarano, diligentissimo osservatore di tutto quello che a questa professione s’appartiene. Ma per ritornare al proposito nostro, dovendo io dare in luce quelle fatiche che dalla mia giovanezza infino a quì ho fatte nell’investigare e nel misurar con tutta quella diligenza che ho potuto maggiore quel tanto degli antichi edificj, che è pervenuto a notizia mia, e con questa occasione sotto brevità trattare dell’Architettura più ordinatamente e distintamente che mi fosse possibile, ho pensato esser molto convenevole cominciare dalle case de’ Particolari: sì perchè si deve credere che quelle a i publici edificj le ragioni somministrassero, essendo molto verisimile, che innanzi, l’uomo da per se abitasse, e dopo vedendo aver mestieri dell’ajuto degli altri uomini a conseguir quelle cose, che lo possono render felice (se felicità alcuna si ritrova quaggiù) la compagnìa degli altri uomini naturalmente desiderasse ed amasse; onde di molte case si facessero i Borghi, e di molti Borghi poi le Città, ed in quelle i luoghi, e gli edificj pubblici; sì anco, perchè tra tutte le parti dell’Architettura, niuna è più necessaria agli uomini, nè che più spesso sia praticata di questa. Io dunque tratterò prima delle case private, e verrò poi a publici edificj; e brevemente tratterò delle Strade, dei Ponti, delle Piazze, delle Prigioni, delle Basiliche cioè luoghi del giudizio, dei Xisti e delle Palestre, ch’erano luoghi ove gli uomini si esercitavano, dei Tempj, dei Teatri, e degli Anfiteatri, degli Archi, delle Terme, degli Acquedotti, e finalmente del modo di fortificar le Città, e dei Porti. Ed in tutti questi libri io fuggirò la lunghezza delle parole, e semplicemente darò quelle avvertenze, che mi parranno più necessarie, e mi servirò di quei nomi, che gli artefici oggidì comunemente usano. E perchè di me stesso non posso prometter altro che una lunga fatica e gran diligenza, ed amore, che io ho posto per intendere e praticare quanto prometto, s’egli sarà piaciuto a Dio, ch’io non m’abbia affaticato indarno, ne ringrazierò la bontà sua con tutto il cuore, restando appresso molto obbligato a quelli, che dalle loro belle invenzioni e dalle esperienze fatte ne hanno lasciato i precetti di tal’arte; perciocchè hanno aperta più facile ed espedita strada alla investigazione di cose nuove, e di molte (mercè loro) abbiamo cognizione, che ne farebbono per avventura nascoste. Sarà questa prima parte in due libri divisa. Nel primo si tratterà della preparazione della materia, e preparata, come, ed in che forma si debba mettere in opera dalle fondamenta fino al coperto: ove faranno quei precetti che universali sono e si devono osservare in tutti gli edificj così pubblici come privati. Nel secondo tratterò della qualità delle fabbriche, che a diversi gradi d’uomini si convengono, e prima di quelle della Città, e poi dei siti opportuni e commodi per quelle di Villa, e come deono essere compartite. E perchè in questa parte noi abbiamo pochissimi esempi antichi de’ quali ce ne possiamo servire, io porrò le piante e gl’impiedi di molte fabbriche da me per diversi Gentilomini ordinate, ed i disegni delle case degli Antichi, e quelle parti che in loro più notabili sono, nel modo che ci insegna Vitruvio, che così essi facevano.
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