< I solitari dell'Oceano
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12. Il mistero continua
11. L'arcipelago di Tonga-Tabù 13. Gli antropofagi

CAPITOLO XII.

Il mistero continua.


Lasciato Ioao a guardia del cassero e del cannone che era stato girato verso la spiaggia di Vavau, in modo da spazzare lo specchio d’acqua, l’argentino, Cyrillo e Sao-King, armatisi di moschetti, si erano slanciati sul castello di prora, curvandosi sulla murata.

Le acque erano ancora agitate dal corpo che si era inabissato, però non si scorgeva alcuno a nuotare nei dintorni della nave, nè alcuna scialuppa.

Solamente a poche braccia dal tribordo, parve a loro di discernere una massa nera, galleggiante a fior d’acqua e che pareva il tronco d’un albero molto grosso.

Del ferito invece nessuna traccia. Era morto e si era inabissato, oppure nuotando fra due acque aveva potuto prendere il largo, raggiungendo la riva boscosa di Vavau o quella di Pagai-Modu?

Era quello che si chiedevano ansiosamente il commissario ed i suoi compagni.

— Se quell’uomo non avesse avuto delle cattive intenzioni, non sarebbe balzato in acqua così prontamente, — osservò Sao-King. — Che abbia creduto che a bordo ci fossero ancora i coolies?

— Che cosa vuoi dire, Sao-King, — chiese Cyrillo.

— Quello che già voi sapete, — rispose il chinese, sorridendo. — I miei sospetti sono eguali ai vostri.

— Tu dunque credi?

— Che l’avvelenatore ed i suoi marinai ci abbiano seguìti da lontano e che poi ci abbiano preceduti su questa isola.

L’argentino ed il commissario si erano scambiati uno sguardo.

— Confessatelo, — disse Sao-King.

— Tu hai colpito nel segno, — rispose Cyrillo.

— Allora vendicheremo i miei compatrioti, — disse il chinese con accento sordo.

— Io l’ho giurato.

— Non siamo che in quattro, Sao-King.

— E la nostra nave non è quasi più maneggiabile, — aggiunse l’argentino.

— Io andrò a trovare il capo Tafua e insisterò presso di lui onde ci dia degli aiuti.

— Non fidarti troppo di questi selvaggi. Hanno sempre avuta una passione irresistibile pel saccheggio delle navi. E poi il capitano può aver ormai guadagnata l’anima di quel capo.

— Andrò a trovarlo egualmente, — rispose il chinese, con fermezza incrollabile.

— Sai dove si trova innanzi a tutto?

— In quell’epoca comandava alle tribù di Pagai-Modu.

— Dell’isola che ci sta dinanzi? — chiese Cyrillo.

— Sì, signor commissario.

— Pensa che quel falò è stato acceso precisamente sulla riva di quell’isola.

— Sicchè voi supponete che il capitano si trovi sulle rive di Pagai-Modu?

— Sì, fino a prova contraria.

— Amici, — disse Cyrillo. — Se noi salpassimo le ancore e tornassimo in mare prima di venire assaliti? Potremo andare a cercare rifugio sulle coste di qualche altra isola.

— E lasciare impunito l’avvelenatore? — chiese Sao-King, coi denti stretti.

— No, signore, io manterrò il mio giuramento, giacchè il demonio me lo ha mandato fra i piedi.

— E poi sarebbe forse troppo tardi, — disse una voce presso di loro.

Si volsero e videro Ioao. Il giovane pareva in preda ad una eccitazione.

— Che cos’hai, Ioao? — chiese Cyrillo.

— Non vi siete accorti che la nave lentamente s’è spostata e che ci troviamo a ridosso d’un banco corallifero?

— È impossibile! — esclamò l’argentino, trasalendo. — Le nostre due ancore hanno preso fondo.

— Eppure la nave è stata spinta verso la spiaggia di Pagai-Modu e non subisce più le ondulazioni dell’alta marea, — disse Ioao. — Me ne sono accorto or ora. —

L’argentino ed i suoi compagni si erano precipitati verso la murata di babordo.

Un grido di stupore e di rabbia sfuggì dalle loro labbra.

La nave che si era ancorata nel mezzo della baia ora si trovava solamente a quattro gomene dalla spiaggia di Pagai-Modu, colla prora appoggiata ad un banco semisommerso.

— Che le ancore abbiano ceduto? — esclamò l’argentino. — Non è impossibile! Qui è stato commesso un infame tradimento!

— Andiamo ad accertarci, — disse Sao-King.

Salirono precipitosamente sul castello e provarono a tirare la catena dell’àncora mezzana. Essa aveva ceduto senza sforzo risalendo attraverso la cubia.

— Maledizione! — esclamò Sao-King. — Hanno levata la caviglia d’un anello di congiunzione e l’àncora è perduta!

— Morte e dannazione! — gridò l’argentino. — All’altra! —

Anche alla seconda catena che doveva trattenere l’àncora piccola era stata levata la caviglia!

I quattro uomini si guardarono l’un l’altro con terrore.

— Non può essere stata l’opera di selvaggi, — disse finalmente l’argentino. — Solamente dei marinai possono aver levate le caviglie e dei marinai che conoscono le nostre catene!

— Che siamo arenati? — chiese Cyrillo, con angoscia.

— Lo temo, signore, — rispose l’ufficiale.

— Ed io temo qualche cosa di peggio, signore, — disse Sao-King.

— Ossia? — chiese l’argentino.

— Che siamo stati trascinati verso il banco dagli uomini che si nascondono sotto i boschi della costa.

— Da cosa che lo arguisci?

— Aspettate, signor Vargas. —

Il chinese scavalcò la murata, salì sul bompresso e si calò lungo la dolfiniera.

Un momento dopo risaliva col coltello in pugno, mentre sull’acqua si udiva a cadere qualche cosa.

— Ve lo dicevo io! — esclamò, ripassando sul castello. — L’uomo che avete ucciso o ferito, dopo d’aver levate le caviglie aveva legata una corda alle trinche del bompresso. La nostra nave è stata trascinata verso questo banco ed è rimasta incagliata.

— Infami! — esclamò Cyrillo. — Che non possiamo più tornare al largo?

— All’alba vedremo quale sarà la posizione della nave, — rispose l’argentino. — La marea ha appena cominciato a montare.

— Siete convinti che il tradimento sia stato compiuto dall’equipaggio di Carvadho? — chiese Ioao.

— Io non ho più alcun dubbio, — rispose l’argentino.

— E nemmeno noi, — risposero ad una voce Cyrillo e Sao-King.

— Quale può essere stato il loro scopo?

— Di immobilizzarci per poi riprendersi la nave, — disse Vargas.

— Allora ce li vedremo piombare addosso, — disse Cyrillo.

— Di questo sono certissimo, signore. Vegliamo attentamente e non risparmiamo la mitraglia.

— Ritorno al mio progetto, — disse Sao-King.

— Di recarti in cerca di Tafua?

— Sì, signor Vargas. La notte è oscura e posso toccare la terra senza venire scoperto.

— Ed io sono pronto ad accompagnarvi, — disse Ioao, con voce ferma.

— Tu, fratello! — esclamò Cyrillo.

— Considerami come un uomo.

— Vi sono mille pericoli da sfidare, — disse l’argentino.

— Li affronteremo, è vero Sao-King?

— Sì, — rispose il chinese. — Decidete: ogni minuto che passa il pericolo può aumentare.

— No, — disse l’argentino. — Sarebbe una imprudenza abbandonare in questo momento la nave. Che cosa potremmo fare io ed il signor Cyrillo contro una trentina di birbanti risoluti e armati di moschetti?

— Venite anche voi, — disse Sao-King.

— Abbandonare la nave all’avvelenatore?

— La riconquisteremo più tardi.

— Non aspetterebbero certamente il nostro ritorno. No, Sao-King, aspettiamo l’alba e se vedremo che ogni difesa sarà vana, domani sera lasceremo l’Alcione.

— D’altronde, — aggiunse il commissario, — non abbiamo ancora le prove chiare d’aver da fare col capitano Carvadho e coi suoi banditi. M’è anzi venuto un altro sospetto.

— Quale? — chiesero ansiosamente Sao-King e l’argentino.

— Il penitenziario di Norfolk non è molto lontano e di quando in quando dei forzati fuggono abbandonandosi ai venti ed alle onde. Chi mi assicura che invece del capitano Carvadho e dei suoi marinai, gli autori di questo tradimento non siano alcuni di quei pericolosi banditi?

— Che questo sia un raggio di luce! — esclamò l’argentino. — Comunque sia, gli uni non saranno migliori degli altri e faremo bene a tenere gli occhi aperti. Ognuno al suo posto e puntiamo i cannoni verso la costa di Pagai-Modu.

Si divisero: Sao-King con Ioao si appostarono dietro la murata del castello, mentre l’argentino e Cyrillo tornavano sul cassero per vegliare la poppa.

Dopo il colpo di fucile del commissario ed il grido dell’inglese, più alcun rumore aveva turbato il silenzio che regnava nella baia.

Questo non era però un motivo per abbandonarsi alla fiducia, anzi quel silenzio era pei quattro superstiti dell’Alcione più sospetto d’un assalto.

Sentivano per istinto che fra le ombre cupe della notte si preparava qualche altro tradimento.

La nave, arenatasi dolcemente sul banco in causa della trazione operata dagli sconosciuti nemici, non si muoveva più.

Solamente di quando in quando, sotto la chiglia, si udivano dei leggeri scricchiolii.

La marea che veniva dal largo, a quanto pareva, spingeva l’enorme massa sempre più innanzi, sopra i ruvidi coralli del banco.

Sarebbe stato possibile poi disincagliarla? Ecco quello che si chiedevano con angoscia i quattro superstiti dell’avvelenatore.

Vargas aveva cercato a più riprese di rendersi conto esatto della situazione della nave, ma l’oscurità glielo aveva impedito.

Avrebbe potuto far gettare a poppa un ancorotto da pennello per impedire alla marea di spingerla sempre più verso il banco.

Per eseguire quella operazione sarebbe stata necessaria una scialuppa ed a bordo non ne era rimasta che una sola e questa, disgraziatamente, era stata sventrata da una delle cannonate sparate dall’equipaggio durante la sommossa dei coolies.

— Voi siete molto inquieto per l’Alcione, — gli disse Cyrillo, vedendolo curvarsi nuovamente sulla murata per esaminare il banco.

— È vero, — rispose l’argentino. — Questo arenamento ci può essere fatale.

— Che la nostra nave non possa più ritornare sull’oceano?

— Non precipitiamo le cose. Forse si trova in buona posizione e l’alta marea può rimetterla a galla.

— E se non si muovesse più? — insistette il commissario.

— Costruiremo una zattera e tenteremo di raggiungere le coste orientali dell’Australia.

— Brutta navigazione con simili galleggianti.

— Talvolta sono da preferirsi alle scialuppe di piccola stazzatura, signor Cyrillo, — rispose l’argentino. — Come però vi ho detto, non disperiamo troppo presto. Domani vedremo che cosa si potrà fare.

— Ci lasceranno tranquilli i nostri misteriosi nemici?

— È quello che dubito, — rispose l’argentino.

— Non so però capacitarmi, Vargas, come non approfittino di questa oscurità per darci l’assalto.

— È anche per me un mistero inesplicabile, signor Cyrillo.

— Che vogliano prima accertarsi del numero dei difensori?

— Lo suppongo.

— Se li ingannassimo?

— E come?

— Improvvisando dei fantocci armati.

— Ah! La splendida idea! — esclamò l’argentino. — Signor Cyrillo, a me non sarebbe mai venuta.

— Approfittiamo dell’oscurità. I vestiti non ci mancano a bordo.

L’argentino con un fischio chiamò sul cassero il chinese e Ioao e comunicò loro l’idea sorprendente del commissario.

— Ne avremo il tempo? — chiese Sao-King.

— Mancano due ore all’alba, — rispose l’argentino.

— Non indugiamo, — disse Ioao. — La mascherata produrrà un grande effetto.

Pochi minuti dopo l’argentino, i due peruviani ed il chinese si ponevano febbrilmente al lavoro.

Legnami e vestiti abbondavano, specialmente questi ultimi, essendo rimaste a bordo tutte le casse dell’equipaggio e quelle dei coolies.

Per meglio ingannare i misteriosi nemici, tesero una tenda sul castello di prora e sotto piantarono un bel numero di assi, di pezzi di pennone e di manovelle, vestendoli con casacche vistose e mettendo sulle cime i larghi cappelli di fibre di rotang dei coolies.

Per completare l’illusione misero presso le murate due fasci di fucili in modo da potersi distinguere anche dalle rive dell’isolotto.

Viste ad una certa distanza, quelle due dozzine di fantocci sembravano veramente dei chinesi raggruppati sotto le tende a guardia del castello.

Incoraggiati da quel primo successo, i due peruviani, l’argentino e Sao-King, tesero una seconda tenda presso l’albero di mezzana e ne rizzarono un’altra diecina, vestendoli questa volta da marinai e vi collocarono presso uno dei due cannoni.

Soffiando un po’ di brezza, le maniche si agitavano in tutti i sensi, sicchè pareva che quei fantocci fossero occupati a discutere animatamente.

Avevano appena ultimata quella singolare mascherata, quando cominciò ad albeggiare.

Verso oriente gli astri diventavano sbiaditi e pel cielo si diffondeva una luce rosea la quale diventava rapidamente rossiccia.

Già si sa che sotto i tropici e sotto l’Equatore non vi sono per così dire, nè albe, nè crepuscoli.

Il sole s’alza rapidissimo e del pari velocemente tramonta. Le spiagge di Vavau e di Pagai-Modu si delineavano con rapidità incredibile, mentre le tenebre sfumavano vertiginosamente.

I due peruviani, l’argentino e Sao-King, curvi sulle murate, coi fucili in mano, guardavano attentamente la riva di Pagai-Modu che non distava più di quattrocento metri.

Era una costa molto boscosa, frastagliata da piccoli seni e difesa da rocce corallifere irte di punte aguzze.

Splendidi alberi s’incurvavano graziosamente sulla baia, mostrando le loro lunghe foglie piumate che la brezza mattutina agitava lievemente con un sussurrìo armonioso.

Vi erano cocchi, noci moscate selvatiche, fichi altissimi, banani dalle foglie immense d’un verde brillante, mori papiriferi e mazzi enormi di bambù alti quindici e più metri, sormontati da un caos di foglie lunghe e sottili.

Pappagalli d’ogni specie, loris rossi, cacatoe candidissime col ciuffo giallo dorato, terenguloni col dorso color smeraldo la coda rossiccia ed il ventre giallastro a riflessi dorati, epimachi reali neri, turchini, verdi e rossi, volavano via a stormi, volteggiando sulla cima delle piante.

Nessuna capanna invece si vedeva apparire su quella costa e nessun canotto solcava le acque tranquille della baia.

Anche i misteriosi nemici, che durante la notte avevano arenata la nave, pareva che fossero scomparsi.

— Non si vede nessuno! — esclamò l’argentino, al colmo dello stupore. — Che cosa significa ciò?

— Che siano invece nascosti sotto quelle piante e che ci spiino? — chiese Ioao.

— Lo sospetto, — rispose Cyrillo. — Vedi nulla tu, Sao-King, che hai gli occhi migliori dei nostri?

— No, — rispose il chinese. — Nemmeno sulle coste di Vavau non scorgo, nè capanne nè piroghe.

— È strano! — esclamò l’argentino. — Tuttavia non fidiamoci di questa calma più apparente forse che reale.

— E occupiamoci per ora della nostra nave, — disse Cyrillo. — Se potessimo rimetterla a galla sarei ben lieto di andarmene.

— La marea comincia a scendere, — disse l’argentino. — Temo che pel momento non si potrà far nulla.

Dopo di aver dato un altro sguardo alle spiagge di Vavau e di Pagai-Modu, si recarono a prora per accertarsi della situazione della nave.

Proprio dinanzi allo sperone si estendeva un banco corallifero lungo un centinaio di metri e largo una ventina, coperto in gran parte da splendide tridacne che avevano quasi un metro di diametro, colle valve semiaperte d’una tinta pallido azzurra e di gorgonie fiammeggianti in forma di ventagli.

L’Alcione trascinato dai misteriosi nemici e spinto dalla marea, si era adagiato sul banco, arrestandosi dinanzi ad un agglomeramento corallifero irto di punte acute.

Se fosse stato spinto più oltre, la sua carena, senza dubbio, sarebbe stata sfondata da quei pungiglioni resistenti e duri come l’acciaio.

— Siamo arenati, — disse l’argentino, — eppure non dispero ancora. Con una buona manovra e qualche àncora si potrebbe riguadagnare il largo.

— Operazione lunga? — chiese Cyrillo.

— E anche molto faticosa giacchè si dovrebbe ricorrere all’argano e contare sul vento.

— Che manca completamente in questo momento, — osservò Sao-King.

— Senza contare poi che i misteriosi nemici potrebbero comparire da un momento all’altro, — aggiunse Ioao.

— Non si può tentare nulla? — chiese Cyrillo.

— Bisognerà attendere l’alta marea, — rispose l’argentino.

— Che avverrà?

— Fra otto ore. La discesa dell’acqua non è durata finora che quattro.

— E riusciremo?

— Questo non ve lo posso assicurare, signor Cyrillo, tanto più che siamo deficienti di forze. Quattro uomini sono troppo pochi per l’argano.

— Ci vorrebbero delle altre braccia, è vero? — chiese Sao-King.

— Sì, — rispose l’argentino.

— Allora andrò a chiederne al capo Tafua.

— Un’impresa pericolosa, — disse Cyrillo. — I nemici possono essere nascosti in questi dintorni.

— Che cosa fare adunque? — si chiese l’argentino. — La nostra situazione minaccia di diventare disperata e forse...

Un grido di Ioao gli interruppe bruscamente la frase.

— Una piroga! — aveva esclamato il giovane peruviano.

Tutti si erano slanciati verso il cassero.



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