< I solitari dell'Oceano
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21. Sulla scogliera
20. La caverna dei pesci-cani 22. Gli avoltoi dello stretto di Torres

CAPITOLO XXI.

Sulla scogliera.

Ioao era uscito dalla caverna qualche minuto prima del chinese, senza essersi accorto del polipo gigante, quindi non aveva assistito alla lotta.

Vedendo il passaggio libero, aveva nuotato verso la spaccatura, e si era fermato presso lo scoglio, contro il quale, più tardi, era andato a urtare il povero chinese, esausto e quasi soffocato da quella lunga immersione.

Vedendo il suo valoroso compagno cadere come morto in mezzo alle alghe che tappezzavano la scogliera, Ioao per un istante ebbe il timore che qualche pesce-cane lo avesse ferito gravemente con un colpo di coda, avendo notato sul dorso di lui una larga striscia violacea, solcata da macchie sanguigne.

— Sao-King! — esclamò, senza pensare che qualcuno poteva udirlo. — Amico mio che cosa ti è accaduto?

— Nulla di grave, signor Ioao, — rispose il chinese, riaprendo gli occhi e respirando a lungo.

— Sei ferito?

— No, ve lo assicuro.

— E questo solco?

— Me l’ha prodotto il polipo.

— Il polipo! Quale?

— Quello che mi aveva afferrato nella caverna.

— Un altro mostro!

— E peggiore dello squalo che avevo ucciso, signor Ioao. Io non so come abbia fatto a sbarazzarmene, mentre mi aveva afferrato coi suoi tentacoli.

— E non sei ferito? — chiese Ioao, con ansietà.

— Vi dico di no. Ho avuto un istante di debolezza estrema, prodotto un po’ dal terrore ed un po’ per la lunga immersione, ma ora sto bene. Grazie anzi di avermi spinto sopra questo scoglio. Se tardavate un po’ calavo a picco come una palla di cannone.

To!... Ed i selvaggi? Li avevamo dimenticati! —

Ioao si era alzato precipitosamente guardando all’ingiro. Il bandito aveva forse lasciato dei guardiani presso la caverna e potevano sopraggiungere da un momento all’altro e farli ancora prigionieri.

Quel luogo era invece deserto. L’isolotto non era che a pochi passi, e la sua parete era così liscia in quel punto, da non permettere ad un uomo, fosse pure un agile selvaggio, di trovare un appoggio qualsiasi.

— Non vedo nessuno, — rispose il giovane.

— Tuttavia non dobbiamo fidarci, signor Ioao. Quei bricconi non sono forse lontani.

— Cosa vuoi fare?

— Sloggiare al più presto.

— Le pareti del cono sono inapprodabili, Sao-King.

— Gettiamoci in acqua e cerchiamo una spiaggia che ci permetta di accamparci.

— Andrò io alla scoperta, intanto tu ti riposerai.

— Badate ai pesci-cani.

— Non ne vedo.

— E alle murene che abbondano in questi luoghi e mordono terribilmente.

— Mi guarderò dagli uni e dalle altre, — rispose Ioao.

Prese la navaja che il chinese gli porgeva, gli raccomandò di non muoversi e s’immerse lentamente girando attorno allo scoglio.

La risacca era molto forte in quel luogo. Le onde, sollevate dalla marea più che dalla brezza, molto debole in quel momento, si rompevano con rabbia contro la base della gigantesca rupe, ingolfandosi, con mille boati, entro le numerose caverne marine.

Ioao però era un buon nuotatore che poteva stare a pari col chinese. Tagliava le onde per di sotto per non venire scaraventato contro le rocce, poi balzava innanzi, lasciandosi qualche volta portare sulle creste per spingere lontano lo sguardo.

La piccola rada non doveva essere lontana e probabilmente in quel solo luogo si poteva approdare. Le altre parti del cono presentavano dovunque una fronte insuperabile, colle pareti tagliate a picco e senza crepacci.

Le caverne invece erano numerose.

Sulla cima delle rocce, sui cornicioni, un gran numero di uccelli marini nidificavano.

Vi erano degli albatros, dei petrelli, dei gabbiani e soprattutto di quelle anitre selvatiche chiamate dagl’inglesi racehorses ossia cavalli da corsa, perchè sembrano che galoppino sulle onde, bei volatili, grossi come oche, colle penne grigie biancastre, il becco e le zampe gialle e due bozze callose, pure gialle, sulla congiuntura delle ali.

Ioao nuotava da un buon quarto d’ora, evitando con precauzione le scogliere contro le quali poteva venire scagliato dall’impeto delle onde, quando scorse la piccola cala.

Si lasciò portare in alto da un cavallone e lanciò un rapido sguardo verso la spiaggia.

— Una piroga guardata da un solo selvaggio, — disse. — Sarà solo o avrà qualche compagno presso la caverna?

È necessario accertarsene. —

Si portò al largo, onde avere maggior orizzonte e tornò a lasciarsi portare in alto.

Da quel luogo potè distinguere non solo l’entrata della caverna, ma dominare anche tutto il canalone o meglio la spaccatura che saliva verso la vetta.

— Nessuno, — disse. — La piroga è nostra.

Volse le spalle e nuotò in direzione dello scoglio sul quale lo attendeva Sao-King.

Il ritorno si compì felicemente, senza cattivi incontri, quantunque i pesci-cani e le murene non dovessero mancare in quei luoghi.

— Avete veduta la piccola baia? — chiese Sao-King, aiutandolo a risalire sullo scoglio.

— Sì, — rispose Ioao, scuotendosi di dosso l’acqua. — Vi è un solo selvaggio a guardia d’una piroga.

— Siete certo che non ve ne siano altri?

— Non ne ho veduti di più.

— Che cosa faceva quel selvaggio?

— Raccoglieva molluschi e conchiglie.

— Che si possa sorprenderlo?

— Bisognerebbe attendere la notte, Sao-King. Noi non abbiamo che un coltello, mentre quel selvaggio avrà la sua mazza ed il suo arco. Sono abili arcieri questi isolani?

— Sì, — rispose il chinese, — e quantunque le loro frecce abbiano la punta di legno, producono delle ferite pericolose.

— Ragione di più per attendere la notte, Sao-King. Lo sorprenderemo senza correre alcun rischio.

— Allora possiamo intanto cercarci la colazione, signor Ioao. È da ieri che non mettiamo niente sotto i denti.

— Non vedo nulla che possa servire pel nostro ventre.

— So dove trovare la colazione, — disse il chinese. — Non avete osservato che il nostro scoglio è tutto traforato?

— Sì, Sao-King.

— È là dentro che si nascondono i grossi crostacei.

— Che saremo costretti a mangiar crudi.

— Sì, pel momento, ma domani ne cucineremo alcuni a bordo dell’Alcione.

— Se troverò ancora mio fratello? — disse Ioao, con un sospiro. — Povero Cyrillo, chissà quante angosce avrà provato durante la nostra assenza.

— Se tutto va bene, domani mattina vedremo il signor commissario ed il signor Vargas.

Orsù, coraggio signor Ioao e pensiamo alla colazione. —

Sao-King stava per scendere la scogliera, quando la sua attenzione fu attirata da una cavità ripiena di terra sulla quale crescevano alcune erbe dalle radici molto grosse.

— Signor Ioao, — disse, — non vedete dei buchi qui?

— Sì, Sao-King.

— Sono turati con alghe, però sono visibili. Ah! I furbi! Devono dormire profondamente.

— Di chi parli?

— Dei granchi ladri. Mi stupisce non poco di trovarli qui, mentre sull’isolotto non cresce nemmeno una palma da cocco.

— Cosa c’entrano i tuoi granchi colle noci di cocco?

— Perchè i granchi ladri amano immensamente quelle frutta squisite.

— Dei granchi che mangiano i cocchi!

— E anche le frutta dei pandani, signore.

— E quegli abitanti del mare speri di trovarli sepolti sotto queste erbe?

— Ora ne avrete la prova, — rispose il chinese.

Osservò attentamente uno di quei buchi, turati malamente da alcuni ciuffi di alghe e di erbe secche, poi colla lama del coltello lo allargò rapidamente e v’introdusse una mano.

— C’è, — disse.

Ritrasse la mano e strappò dal nascondiglio un grosso crostaceo, armato di robuste tenaglie e largo quanto un cappello.

— Vedete, — disse, presentandolo a Ioao. — E guardate come è grasso! Ha appena cambiato i gusci! —

Il crostaceo che aveva ritirato, era proprio un granchio ladro o meglio un birgo latro, anfibio molto comune nelle isole polinesiane e anche molto ricercato dagli isolani per la squisitezza delle sue carni.

Questi strani granchi, che raggiungono talvolta delle dimensioni mostruose, hanno delle abitudini assai singolari.

Più che di pesci, si nutriscono di frutta e specialmente di noci di cocco e di pandani.

Sono d’abitudini notturne e difficilmente si possono trovare di giorno.

Calato il sole, escono dai loro nascondigli e si recano a terra, arrampicandosi sugli alberi per fare delle scorpacciate di frutta. Anzi non è raro il caso di vederli addormentati sui cocchi, appesi per le loro robuste branche.

Sono quindi di abitudini più terrestri che marittime, anzi si può dire che passano la maggior parte della loro vita fuori dall’acqua, perchè usano passare l’inverno sepolti sotto il suolo.

Infatti quando comincia la cattiva stagione e che i cocchi non hanno frutta, si ritirano sugli isolotti, si scavano un buco piuttosto profondo, chiudono l’apertura con delle foglie e con delle erbe e s’addormentano rimanendo colà tre o quattro mesi.

Durante quel periodo cambiano la pelle ed i gusci e, cosa davvero strana, invece di dimagrire, ingrassano, forse perchè nei loro brevi risvegli divorano le radici delle erbe e delle piante che sono prossime al loro nascondiglio.

Dopo quella lunga prigionia tornano al mare, riprendendo le abitudini primitive.

È allora che gl’isolani li cercano avidamente, essendo quei crostacei grossi e saporiti.

Sao-King non contento di averne trovato uno, aprì un secondo, poi un terzo buco, trovandone altri due più grossi e che si affrettò a rovesciare sul dorso per non farsi prendere le mani da quelle tenaglie dure come l’acciaio.

— Non commettiamo imprudenze, — disse il chinese. — Se afferrano stritolano le dita come fossero di vetro. È veramente incredibile la forza di queste tenaglie. Figuratevi che un giorno per poco non hanno calato a fondo un piccolo veliero.

— I granchi! — esclamò il giovane, stupito.

— Sì, signor Ioao, — rispose Sao-King. — Il capitano aveva comperati dagli isolani parecchi birgos ancora vivi, contando di mangiarseli un po’ per volta. I bricconi però, colle loro branche ruppero il canestro che li conteneva e si dispersero per la stiva. Ventiquattro ore dopo si manifestava una via d’acqua. L’avevano aperta i crostacei colle loro branche, per dissetarsi.

— È incredibile, Sao-King.

— Eppure è vero, signor Ioao. Toh! Che peccato a non poter accendere il fuoco! Vi offrirei una colazione da re.

— Accontentiamoci per ora della carne cruda.

— Che è poi egualmente eccellente. —

Il chinese con un grosso sasso spaccò il guscio al granchio più grosso e offrì quella polpa bianca e delicata al giovane peruviano, il quale non si mostrò molto schizzinoso.

Terminata la colazione e messi al sicuro i due altri granchi, si cercarono un cavo e, trovatolo, si stesero su un letto d’alghe secche per prendere un po’ di riposo, non avendo dormito un solo minuto la notte precedente.

Non ostante le loro inquietudini, finirono coll’addormentarsi profondamente.

Quando Sao-King riaprì gli occhi, il sole era già tramontato e le stelle scintillavano in cielo.

— È stata una vera fortuna che a quel selvaggio non sia saltato il ticchio di venire da questa parte. Ci avrebbe accoppati colla clava, — mormorò.

Svegliò Ioao, dicendogli:

— È il momento d’agire.

— Che il selvaggio dorma?

— Lo suppongo, — rispose Sao-King.

— Sono pronto a seguirti.

— Se tutto va bene, prima dell’alba noi saremo a bordo dell’Alcione.

— Che disillusione pei nostri compagni! — disse Ioao. — Avevamo promesso di condurre degli aiuti, mentre invece...

— Saranno ugualmente lieti di vederci.

— Se li troveremo ancora.

— Non disperiamo, signor Ioao. —

Si spogliarono per essere più liberi, poi s’immersero lentamente e si misero a nuotare lungo la base del cono, tenendosi l’uno vicino all’altro.



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