< I solitari dell'Oceano
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24. L'assalto degli antropofaghi
23. L'arrosto di carne bianca 25. Uno scambio atroce

CAPITOLO XXIV.

L’assalto degli antropofagi.


Il vento che era un po’ debole, non spingeva la nave con quella velocità che i pirati avrebbero desiderata, in causa anche della poca tela spiegata, affatto insufficiente per imprimere una celere marcia a quello scafo così grosso.

Alla randa, i pirati, guidati da Sao-King e diretti dall’argentino, a cui premeva di sfuggire allo spiedo, avevano aggiunta una gabbia spiegata sul pennone che funzionava da trinchetto ed i flocchi, pure quelle nuove vele non bastavano.

Vi era da temere che i selvaggi, rimessisi dalla sorpresa, almeno quelli che non si erano completamente ubriacati, tentassero un assalto per impedire alla nave di prendere il largo.

Già verso la spiaggia erano comparse nuove piroghe, montate da uomini accorsi dal villaggio e dopo d’aver raccolti i compagni, si erano dirette velocemente verso uno dei due promontori, con delle intenzioni certamente ostili.

Quella manovra non era sfuggita nè a Strong, nè all’argentino e tanto meno a Cyrillo il quale erasi inerpicato fino alla coffa assieme a Sao-King.

— Mi pare che vogliano contrastarci il passo, — disse Vargas al capo dei pirati.

— È vero, — rispose questi, il quale si era fatto oscuro in viso. — Credevo di essermi sbarazzato di quei bruti, mentre invece ci daranno delle noie. Non si potrebbe aumentare la velocità della vostra nave e passare sopra quelle scialuppe?

— Dove spiegare le vele?

— Qualche straglio si potrebbe stendere.

— Non ci servirebbe a nulla, — rispose l’argentino.

— Giacchè vogliono darci battaglia, l’avranno, — disse il pirata, digrignando i denti. — Ah! Se fossimo noi soli!

— Perchè dite questo? — chiese l’argentino.

— Perchè io diffido di voi, — rispose Strong, guardando sospettosamente l’ufficiale. — Durante il combattimento potreste volgere le armi contro di noi e fucilarci a tradimento.

— Pel momento abbiamo interesse ad aiutarvi, — disse Vargas. — Si tratta di difenderci dallo spiedo.

— Posso contare su voi e sui vostri compagni?

— Per ora sì.

— Mi basta, — rispose il pirata, rasserenandosi. — Badate però che se qualcuno dei miei uomini cade per mano vostra, noi non vi risparmieremo.

L’argentino alzò le spalle senza rispondere.

— Quale portata hanno i vostri cannoni? — chiese il pirata.

— Duemila metri.

— Sono un buon artigliere io e farò danzare quei dannati mangiatori di carne umana.

Lasciò l’argentino che stava alla ribolla del timone e chiamò i suoi uomini dando loro gli ordini pel combattimento, quindi si collocò dietro ai due pezzi assieme a Sao-King e Cyrillo.

Intanto la flottiglia dei selvaggi si era schierata dinanzi l’imboccatura della baia, per tagliare la via all’Alcione.

Si componeva di quattro doppie piroghe lunghe oltre quindici metri e di sette canoe, montate da un centinaio e mezzo di selvaggi.

Tutti gli uomini capaci di maneggiare un’arma erano accorsi al villaggio per far pagare caro ai pirati il loro tradimento e riconquistare l’arrosto di carne bianca.

Vedendo la nave avanzarsi, si erano stretti in gruppo, vociferando spaventosamente, brandendo minacciosamente le clave, le lance dalla punta d’osso e gli archi.

— Vogliamo i bianchi! — urlavano. — Fermatevi o vi abborderemo.

Ad un tratto le piroghe si misero in corsa, appressandosi velocemente alla nave.

L’argentino, accortosi del pericolo, aveva gridato:

— Fuoco! Non occupatevi delle vele! A mitraglia!

Strong e Sao-King avevano subito risposto, scaricando i due pezzi d’artiglieria.

Una piroga, colpita in pieno, fu spaccata e affondò subito, ma le altre continuarono la corsa, mentre gli arcieri scagliavano sul ponte della nave nembi di frecce.

Anche i pirati avevano cominciato a far fuoco coi moschetti. Quei bricconi, abituati ai combattimenti e soprattutto agli abbordaggi, si battevano splendidamente, senza perdere un atomo della loro calma.

Buoni bersaglieri, di rado mancavano ai loro colpi. Ogni palla che usciva dai loro moschetti uccideva o storpiava un uomo.

I selvaggi tuttavia s’avanzavano così velocemente, da rendere subito inefficace il fuoco delle artiglierie.

Sao-King, temendo che potessero giungere in coperta, caricò i due pezzi a mitraglia, poi seguìto da Ioao e da Cyrillo si slanciò sul cassero per difendere l’argentino rimasto al timone.

I banditi invece si erano aggruppati sul castello di prora e di là facevano un fuoco infernale contro gli equipaggi delle piroghe.

Un abbordaggio era già imminente, quando l’Alcione, che aveva già doppiato uno dei due promontori, si sbandò leggermente sul tribordo, mentre le sue vele si gonfiavano.

La brezza che nella baia era debolissima, soffiava invece forte al largo e la randa, i flocchi, ed il trinchetto la ricevevano in pieno.

L’argentino con un colpo di ribolla mise la nave a filo di vento, in modo che le vele potessero accoglierlo in poppa.

Subito la velocità dell’Alcione s’accrebbe considerevolmente, sfuggendo alle piroghe dei selvaggi.

Questi, accortisi che la preda stava per sfuggire al loro assalto, avevano ripresi i remi per darle la caccia.

— Un’ultima scarica! — gridò l’argentino. — La nave fila come un piroscafo!

Sao-King, vedendo gli avversari a buona portata, fece tuonare i due pezzi di mitraglia, mentre i pirati, Ioao e Cyrillo scaricavano i loro moschetti.

I selvaggi, ormai demoralizzati, salutarono i fuggiaschi con un’ultima volata di frecce affatto inoffensiva in causa della distanza, poi fuggirono verso la baia per sottrarsi ad una nuova scarica.

— Pare che ne abbiano abbastanza, — disse Strong, lieto di quel successo insperato. — Temevo di finire anch’io infilzato in uno spiedo.

Ormai ogni pericolo era cessato. L’Alcione si trovava già lontano e continuava la sua corsa verso il sud, spinto da quella brezza favorevole.

— Dove volete recarvi innanzi a tutto? — chiese Vargas, al capo dei pirati.

— Ve lo dissi già, a Pylstard, se ritenete necessario riparare la nave, — rispose Strong.

— Non si tratta solamente di ripararla, bensì anche di rifornirla di viveri.

— Non ve ne sono più a bordo?

— Ve lo dissi già.

— O li avete gettati in mare? — chiese il pirata, guardandolo di traverso.

— Non ne avevamo più.

— Quello che voi mi dite è grave, sangue del diavolo! Chi volete che ci rifornisca di viveri?

— Gli abitanti di queste isole.

— Non hanno che delle frutta e pochi porci. Se ci fosse qualche vascello da abbordare!...

— Spero che voi non avrete la pretesa di considerarci come pirati del vostro stampo, — disse Cyrillo, il quale aveva assistito al dialogo.

— Voi farete quello che vorrò io, — rispose il bandito con accento duro. — Non dimenticate che siete nostri prigionieri.

— Prigionieri sì, non vostri schiavi, — rispose il peruviano con fermezza.

— Non alzate tanto la voce, mio caro signore. Ora non abbiamo più bisogno del vostro concorso per liberarci dai selvaggi e siamo in pieno oceano.

— E volete dire? — chiese l’argentino.

— Che se non ci obbedite vi faremo danzare sulla punta della mezzana con un buon canape al collo.

— Voi avete dimenticata una cosa, — rispose Vargas, pacatamente.

— E quale?

— Che senza di noi non sapete dirigere la nave.

— Sangue di balena, — gridò il pirata, il quale cominciava a svelarsi per un vero fior di briccone. — Qualche cosa me ne intendo anch’io e la bussola la conosco quanto voi e per la mia morte, vi sorveglierò strettamente, signori miei.

— La bussola non vi basterebbe per giungere nel golfo di Carpentaria.

— Se non fosse stato per questo, non so se vi avrei lasciati a bordo. Probabilmente a quest’ora arrostireste infilzati in uno spiedo.

— I nostri complimenti per la vostra franchezza, — disse Cyrillo, ironicamente.

— Basta, — gridò il pirata, esasperato. — Sono chiacchiere inutili; veniamo alla conclusione.

— L’aspettiamo da voi, — disse l’argentino.

— Ci conviene vivere in perfetto accordo per la comune salvezza.

— Tale era anche la nostra opinione, almeno per ora.

— Stavamo trattando la questione dei viveri. Che cosa mi consigliate di fare?

— Veleggiare verso Pylstard.

— Non troveremo gran che.

— Andiamo a Tonga.

— No, — disse il pirata. — Quegli isolani godono troppo pessima fama.

— Andremo a Pylstard, allora, — disse l’argentino. — Se il vento si mantiene così fresco, vi giungeremo fra due o tre giorni.

Stavano per separarsi, quando udirono a prora degli scoppi di risa e delle esclamazioni di sorpresa.

Strong, sempre sospettoso, era balzato verso la murata dove si trovava il suo moschetto.

Un grido di stupore gli sfuggì.

— Toh! Dei selvaggi a bordo!

Alcuni pirati avevano trascinati in coperta due isolani spingendoli innanzi a scappellotti ed a calci e altri ne uscivano dalla camera dell’equipaggio barcollando sulle malferme gambe.

— Da dove sono sbucate queste canaglie? — chiese Strong.

— Sono guerrieri di Mua che si erano addormentati nelle brande, — rispose un pirata, ridendo a crepapelle.

— Quanti ve ne sono?

— Otto, Strong.

— Gettateli in mare, — rispose brutalmente il capo.

— Voi non commetterete simile birbonata, — disse Cyrillo, intervenendo. — Si annegherebbero prima di toccare la riva, siamo già lontani più di otto miglia.

— E poi abbiamo dei pescicani a poppa, — aggiunse l’argentino.

— Cosa volete che ne faccia di quei cani?

— Erano vostri alleati, — disse Cyrillo sardonicamente.

— Ora non so più che cosa farne... ah! Sì, possono ancora servire a Pylstard – aggiunse poi con un sogghigno. — Sciocco! Ed io che volevo annegarli. Intanto li faremo incatenare nella stiva onde non ci diano fastidi.

Mentre i pirati trascinavano via i selvaggi dopo d’averli privati delle loro armi e li incatenavano agli anelli del frapponte, l’Alcione continuava la sua corsa verso il sud-est, tenendosi a dieci o dodici miglia dalle coste dell’arcipelago.

Il mare si manteneva tranquillo, quantunque la brezza accennasse ad aumentare. Solamente delle larghe ondate, poco alte, lo percorrevano a lunghi intervalli, provenienti dall’ovest, imprimendo alla nave un rollìo un po’ seccante.

Verso l’est, nuove terre si delineavano all’orizzonte, essendo l’arcipelago di Tonga-Tabù, poco interrotto.

Ora erano isole piuttosto elevate, non essendo tutte d’origine madreporica ma anche vulcanica, ora invece apparivano isolotti e scogliere del più bell’aspetto, essendo tutte coperte da una folta vegetazione.

Talune, vedute in lontananza, avevano l’aspetto di giardini galleggianti sull’oceano.

Qualche piroga che pescava al largo, vedendo l’Alcione, si metteva in caccia, rimanendo poi subito indietro.

Numerosi uccelli marini venivano di quando in quando a volteggiare attorno alla nave, salutati subito da colpi di moschetto che i pirati non risparmiavano per aumentare di qualche po’ gli scarsi viveri di bordo.

Erano per lo più grossi albatros, pessimi volatili, coriacei e poco gustosi, gabbianelli, allodole marine e anitre selvatiche; non mancavano poi le piche dal becco rosso e anche le galline acquatiche col ciuffo e le ali color del piombo ed il dorso d’un nero vellutato con riflessi verdognoli.

A mezzodì l’Alcione era già di fronte a Lotti e alla sera costeggiava Hapai, una delle più belle isole dell’arcipelago e anche una delle più fertili essendo stata paragonata ad un immenso giardino.

Questa isola forma il gruppo centrale, insieme a Lafuga è la maggiore e di altre quarantadue fra piccole e grosse.

Durante la notte anche quel gruppo veniva felicemente superato, con non poca soddisfazione di Strong, il quale cominciava a riavere un po’ di fiducia nell'ufficiale argentino.

L’indomani l’Alcione veleggiava di fronte alle ultime isole formanti il gruppo meridionale.

Si compone di Tonga, l’isola più importante quantunque non sia la maggiore dell’arcipelago, essendo riguardata come la metropoli di parecchie altre minori, quasi tutte madreporiche, tuttavia molto fertile, producendo in gran copia banani, cocchi, alberi del pane, sandalo, noci moscate, canne da zucchero e tutte le migliori radici della Polinesia.

Quattro giorni dopo la sua partenza da Vavau, l’Alcione con un’abile manovra gettava l’àncora in un seno di Pylstard, l’ultima isola di quel grosso arcipelago.



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