< Ifigenia in Aulide (Euripide - Romagnoli)
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Euripide - Ifigenia in Aulide (403 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1929)
Prologo
Personaggi Parodo

Agamènnone esce dalla tenda, e chiama un vecchio servo.

agamennone

O vecchio, vien qui, presso questo
padiglione.

vecchio

               Son qui. Che novelli
pensieri, Agamènnone, volgi?

agamennone

T’affretti?

vecchio

               M’affretto. È la mia
tarda età molto insonne, e ben lieve
sui cigli mi pesa.

agamennone

                                        Che stella
è quella che in cielo veleggia?


vecchio

È Sirio, che, presso alla Plèiade
settemplice1, in mezzo alla volta
del cielo, s’affretta.

agamennone

Non s’ode né voce d’uccello
né d’onde sciacquio. Su l’Eurípo
i venti son muti.

vecchio

Agamennone re, perché mai
venuto sei fuor della tenda?
In Aulide tutto è tranquillo:
immote son tutte le scolte.
Rientriamo.

agamennone

                    Felice ti reputo,
o vecchio, ed invidio quell’uomo
che senza pericoli, ignoto,
senza fama, trascorre la vita.
Men felice mi sembra chi vive
tra gli onori.

vecchio

                    Ma pur, negli onori,
della vita consiste il decoro.


agamennone

È fallace decoro; e il potere,
sebben dolce, ad averlo t’accora.
Uno sbaglio talor verso i Numi
la tua vita sconvolge; talora
la cruccian gli umori
degli uomini, tristi e discordi.

vecchio

Non son queste le cose, Agamènnone,
che ai principi invidio; ed Atrèo
non ti diede la vita perché
tu soltanto godessi; ma devi
provare piaceri e dolori,
ché tu sei mortale;
e, voglia o non voglia, dei Numi
è tale il volere.
Agamennone accende una lampada e si mette a scrivere su una tavoletta.

                              Che fai?
Accendi la lampada, e in quella
tavoletta che teco hai recata,
tu scrivi, e lo scritto
cancelli e sigilli, e di nuovo
riapri, ed a terra lo gitti,
e quante stranezze commettono
i folli, commetti.
Che pena t’angustia, che nuova
sciagura, Signore? Su, via,
partecipe fammene, parla.

Onesto, a te fido sono io:
ché Tíndaro un giorno mi diede,
fra i doni di nozze, alla tua
consorte, compagno
fedele alla sposa.

agamennone

Leda, figlia di Testio, ebbe tre figlie:
Clitemnestra, mia sposa, Febe, ed Elena.
A richieder costei, si presentarono
quanti contava piú prestanti giovani
l'Ellade tutta; e qui minacce sursero
fra lor di morte, ché nessun voleva
privo restar della fanciulla. E Tíndaro
in imbarazzo grande era, se cederla
convenisse, oppur no, per conseguirne
maggior vantaggio; e questa idea gli venne:
che tutti quanti i giovani prestassero,
stringendosi le mani, e confermassero
con libagioni e imprecazioni, un giuro
che tutti l'uomo a cui movesse sposa
di Tíndaro la figlia, aiuterebbero,
se mai qualcun glia la rapisse, e in bando
lui mandasse dal letto; e moverebbero
a campo, e la città distruggerebbero,
con l'armi, ellèna fosse, o fosse barbara.
E poi ch’ebber giurato, e il vecchio Tíndaro
accortamente con la fine astuzia
li ebbe ingannati, disse alla sua figlia
che fra i rivali ella scegliesse quello
a cui piú d’Afrodite la spingessero
l’aure dilette. Ed ella scelse, oh, fatto

mai non l’avesse!, Menelào: ché poi,
dalla terra dei Frigi a Lacedèmone
quell’uomo2 giunse che alle Dee fu giudice
come n’è fama tra gli Argivi; e un fiore
parea nelle sue vesti, e d’oro fulgido
con barbarica pompa, e innamorato
rapí l’innamorata Elena, e ai campi
d’Ida l’addusse. E Menelao non c’era.
Ma come ritornò, furente corse
l’Ellade tutta, e i giuramenti a Tíndaro
un giorno fatti ricordò: che aiuto
convien prestare a chi patí sopruso.
E alla guerra correndo, allora gli Elleni
impugnarono l’armi, e in questo d’Aulide
angusto passo vennero, di navi,
di scudi armati, di cavalli e cocchi.
E duce me, perché di Menelao
ero fratello, elessero. Deh, fosse
toccato ad altri un tanto onor! Ché tutte
son raccolte le genti, e noi qui stiamo,
e non possiamo navigare, in Aulide.
E Calcante, indovino, a cui rivolti
nella distretta ci eravamo, tale
responso diede: che alla Diva Artèmide
che quivi ha sede, Ifigenia mia figlia
sacrificar si dee: sacrificandola,
facile il mare avremo, e struggeremo
la gente frigia: se non l’immolassimo
nulla ci ciò conseguiremmo. Appena
udito ciò, diedi ordine a Taltíbio
che rimandasse con un alto bando
tutte le genti: ché mia figlia uccidere
io non l’avrei sofferto mai. Ma qui,

tanto mi disse il fratel mio, che infine
mi fe’ convinto a osar lo scempio orribile.
E una lettera scrissi, e l’inviai
alla consorte mia, perché la figlia
nostra mandasse, che ad Achille sposa
esser dovrebbe; e dello sposo i pregi
magnificavo; e che le navi ascendere
con gli Achei rifiutava, ove la nostra
figliuola a Ftia sua sposa non andasse.
Tal pretesto usai dunque, per convincere
la sposa mia; d’Ifigenia le nozze
fingere; e soli fra gli Achei lo sanno
Calcante Ulisse e Menelao. Ma quello
che stoltamente allor deliberai,
or lo muto di nuovo in questa lettera,
che tu fra l’ombre della notte, o vecchio,
aprire e poi chiuder m’hai visto. Orsú,
questa missiva prendi, e ad Argo récati.
E ciò che nelle sue pieghe essa asconde
io tutto ti dirò: ché tu fedele
alla mia casa, a Clitemnestra sei.

vecchio

Dimmi, parla, sicché le parole
ch’io dirò, con lo scritto s’accordino.

agamennone
legge la lettera.

Di Leda germoglio, io t’avverto
in questa missiva

che tu la tua figlia non mandi
all’ala d’Eubea sinuosa,
ad Aulide immune dai flutti:
ché in altra stagione le nozze
della figlia dobbiam celebrare.

vecchio

E Achille, deluso del talamo,
cosí, contro te di furore
non sarà tutto un fremito, contro
la tua sposa? Di tanto pericolo
mi dici che pensi?

agamennone

Il nome, e non l’opera, Achille
prestava: di nozze
nulla ei sa, né di quanto ora faccio,
né che a lui la fanciulla promisi,
al legittimo amor del suo talamo.

vecchio

Agamènnone re, troppo ardire
fu il tuo, che, promessa tua figlia
al figliuol della Dea, come vittima
tu venir la facevi pei Dànai.

agamennone

Ahimè, ché allor fui dissennato,
ahimè ch’ora sono sacrilego.

Ma via, non ti prostri vecchiaia:
affretta il remeggio dei piedi.

vecchio

M'affretto, o signore.

agamennone

                                                       E non sia
che indugi vicino alle fonti
pei boschi, e che il sonno ti vinca.

vecchio

Non dire bestemmie.

agamennone

E ovunque la via si divide,
tu guarda ed osserva, perché
non ti sfugga, se mai qualche carro,
su rapide rote movendo,
per altro sentiero, qui adduca
mia figlia alle navi dei Danai.

vecchio

Sarà fatto.


agamennone

E se mai nel corteggio
t’imbatti che fuor dalle porte
t’adduca, fa’ sí che ritornino,
le redini scuoti, ed il cocchio
dei Ciclopi alle sedi3 respingi.

vecchio

E come avverrà che, se reco
un tale messaggio, tua figlia
tua moglie, mi prestino fede?

agamennone

Custodisci il suggello, che resti
sulla lettera impresso. Ora va:
ché l’alba già brilla, ed imbianca
la luce, e i cavalli
del carro del sole.
Aiutami, in tale disdetta.
Nessuno dei mortali è beato,
felice per tutta la vita:
nessun dai dolori va scevro.
Il vecchio parte, Agamènnone rientra nella tenda.


  1. [p. 320 modifica]Settemplice, perché erano appunto sette le stelle che formavano la costellazione delle Pleiadi.
  2. [p. 320 modifica]Quell’uomo è Paride.
  3. [p. 321 modifica]Dei Ciclopi alle sedi, cioè a Micene.

Note

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