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sileno
Passo un mondo di guai, Bacco, per te,
e n’ho passati ai miei verdi anni. Prima,
quando Giunone il senno ti rapí,
e tu lasciasti le montane Ninfe
nutrici tue. Poi, nella cruda mischia
contro i Giganti. Alla tua destra, piede
contro piede, io pugnavo; e con la lancia
forai lo scudo a Encèlado, e l’uccisi.
Interrompendosi, fra sé.
Un momento. L’avrei forse sognato?
No, che, perdio, mostrai le spoglie a Bacco!
Ripigliando come sopra.
E adesso n’ho passata una di peggio.
Quando Giunone ai danni tuoi la razza
dei tirreni pirati scatenò,
per farti in lungo e in largo errar pel mondo,
io che lo seppi, m’imbarcai coi satiri
miei figli, a rintracciarti. Io sulla poppa,
governando il timone, e i miei figliuoli
sedendo ai remi, e biancheggiar facendo
coi tonfi il glauco mar, ti si cercava.
Or, quando eravam già presso al Malèa,
gonfiò le vele un vento di levante,
e ci gittò su questa rupe etnèa,
dove in antri deserti hanno dimora
i Ciclopi monocoli, omicidi,
figli del Dio del pelago. E noi, presi
da un di questi, gli facciamo in casa
da servitori. E ha nome Polifemo.
E cosí, scambio dei tripudi bacchici,
custodiamo le greggi del Ciclope.
I figli miei, che son ragazzi, guidano
le bestie giovinette in vetta ai colli,
ed io sto in casa, a riempir le secchie
e spazzare le stalle a questo infame
Ciclope, ghiotto di nefandi pasti.
Dunque, eseguiamo gli ordini: spazziamo
col rastrello, e rendiam nette le stalle
per accoglier le greggi ed il Ciclope.
Ma vedo i figli miei che riconducono
di già le greggi. Oh che succede? Sento
strepito di trescone. Oh che pensate
d’essere ai tempi che fra sciali ed orge
andavate con Bacco alla dimora
d’Altèa, ballando al suono delle cétere?