< Il Circolo Pickwick
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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Notizia sopra Eatanswill, e condizione dei partiti - Elezione d un membro rappresentante in Parlamento di quell'antico, leale e patriottico borgo
Capitolo 12 Capitolo 14

Riconosciamo schiettamente che prima di sprofondare gli occhi e le mani nei voluminosi documenti del Circolo Pickwick, non avevamo mai udito parlare di Eatanswill; e col medesimo candore ammettiamo di aver fatto vane ricerche intorno all’attuale esistenza di un luogo così nominato. Apprezzando tutta la fiducia che merita ogni notizia od appunto di mano del signor Pickwick, e non presumendo niente affatto di opporre la nostra labile memoria alle dichiarazioni idi quel grand’uomo, abbiamo consultata ogni sorta di autorità cui si potesse da noi ricorrere. Abbiamo riscontrato tutti i nomi nei moduli elettorali, senza imbatterci in quello di Eatanswill; abbiamo minutamente esaminato tutte le carte tascabili pubblicate per beneficio della società dai nostri solerti editori, e le nostre investigazioni sono state coronate dal medesimo successo. Siamo dunque indotti a credere che il signor Pickwick, animato dal nobile desiderio di non recare offesa ad alcuno e da quei delicati sentimenti pei quali quanti lo conobbero a fondo sanno ch’egli era notevolissimo, avesse di proposito deliberato sostituito un nome fittizio al vero nome del luogo che fu campo delle sue osservazioni. Siamo in questa credenza confermati da una lieve circostanza, apparentemente leggiera o triviale, ma, quando la si consideri da questo punto di vista non indegna di nota. Nel libro d’appunti del signor Pickwick ci pare di trovar registrato il fatto che i posti per sè e pei suoi seguaci fossero presi all’ufficio di diligenze di Norwich; ma la breve notizia fu in seguito cancellata quasi per voler nascondere la direzione stessa del borgo. Non ci avventuriamo dunque a congetture di sorta e procediamo nella nostra storia, contenti di quei materiali che ci riesce di avere alle mani.

Pare adunque che gli abitanti di Eatanswill, come gli abitanti di tante altre piccole città si dessero una grandissima importanza, e che ogni cittadino d Eatanswill, conscio della grave responsabilità del proprio esempio, si sentisse obbligato a entrare, anima e corpo, in uno dei due grandi partiti che dividevano la città: gli Azzurri ed i Gialli. Ora, gli Azzurri non si lasciavano sfuggire alcuna opportunità di far l’opposizione ai Gialli, e i Gialli non si lasciavano sfuggire alcuna opportunità di far l’opposizione agli Azzurri; e la conseguenza era questa che quante volte i Gialli e gli Azzurri s’incontravano in una pubblica assemblea, nel palazzo di città, alla fiera, al mercato, si veniva issofatto alle dispute e alle parolacce. Con tali dissensi è quasi superfluo far notare che di ogni cosa si faceva ad Eatanswill una questione di partito. Se i Gialli proponevano la costruzione di una nuova tettoia alla piazza del mercato, gli Azzurri bandivano dei comizii o protestavano altamente contro l’esecrabile attentato; se gli Azzurri proponevano l’erezione di una seconda pompa nella via principale, i Gialli insorgevano come un sol uomo gridando allo scandalo e all’enormità. Vi erano botteghe Azzurre e botteghe Gialle, alberghi Azzurri ed alberghi Gialli; e fino nella chiesa vi era una navata Gialla ed un’altra Azzurra.

Naturalmente era di strettissima necessità che ciascuno di questi potenti partiti avesse il suo organo; epperò si stampavano nella città due giornali — la Gazzetta d’Eatanswill e l’Indipendente d’Eatanswill; la prima informata ai principi Azzurri, e il secondo sostenitore accanito dei Gialli. Bellissimi giornali senza dubbio. E che articoli di fondo! e che attacchi virulenti! — "La nostra abbietta antagonista, la Gazzetta" — "Quel sozzo e disgraziatissimo giornale che è l’Indipendente" — "L’Indipendente, stampaccia falsa e impudente" — "La Gazzetta, covo puzzolente di basse calunnie" — questi ed altri vivaci ed irritanti epiteti venivano scagliati da una colonna all’altra in ogni numero dei due giornali, ed accendevano i più vivi sentimenti di gioia e d’indignazione nel seno della cittadinanza.

Il signor Pickwick, con l’usata sua previdenza e sagacia, aveva scelto un buon momento per la sua visita. Una lotta simile non s’era mai vista. L’onorevole Samuele Slumkey di Slumkey Hall era il candidato Azzurro; e l’onorevole Orazio Fizkin di Fizkin Lodge, cedendo alle vive istanze dei suoi amici, s’era deciso a presentarsi nell’interesse dei Gialli. La Gazzetta avvertiva gli elettori di Eatanswill che non solo gli occhi dell’Inghilterra ma di tutto il mondo civile stavano loro addosso; e l’Indipendente domandava categoricamente se il corpo elettorale di Eatanswill era composto di quei grandi uomini quali erano sempre stati considerati o di bassi e servili strumenti, indegni così del nome d’Inglesi come dei benefici della libertà. La città insomma non era mai stata così profondamente commossa.

La sera era già molto avanzata, quando il signor Pickwick e i suoi compagni, assistiti da Sam, smontarono dall’imperiale della diligenza. Delle grandi bandiere di seta azzurra sventolavano alle finestre dell’albergo All’arme della città, e dei cartelli erano incollati dietro i vetri, dov’era stampato in lettere cubitali che ivi sedeva in permanenza il Comitato dell’on. Samuele Slumkey. Una folla di sfaccendati, raccolta nella via, guardava in su al balcone dell’albergo, dove un uomo rauco e rosso sbraitava e si sbracciava in favore dell’on. Slumkey; ma la sostanza e la forza delle sue argomentazioni venivano in qualche modo indebolite dal rullo continuato ai quattro tamburi che il Comitato dell’on. Fizkin avea posto di guardia alla cantonata. Aveva però alle spalle un ometto vispo ed attivo, il quale ad ogni poco si cavava il cappello e faceva cenno alla folla che applaudisse, il che la folla eseguiva fedelmente e col massimo entusiasmo; e siccome il signore rauco e rosso tirava via a discorrere fino a diventar paonazzo, lo scopo pareva raggiunto allo stesso modo come se tutti udissero quel che in effetto non udivano.

Non sì tosto furono smontati, i Pickwickiani si videro presi in mezzo da un gruppo di onesti ed indipendenti, che levarono tre assordanti acclamazioni. Le quali ripetute dalla folla (perchè non è punto necessario che la folla sappia che cosa acclami) si confusero in un solo e tremendo grido di trionfo, che arrestò perfino l’orazione del signore rauco e rosso del balcone.

— Evvivaaa! — gridò la folla.

— Ancora un altro applauso! — intimò l’ometto dal cappello, e la folla tornò a gridare come se avesse i polmoni, e l’esofago di acciaio temprato.

— Evviva Slumkey! — gridarono gli onesti e gli indipendenti.

— Evviva Slumkey! — rispose il signor Pickwick, cavandosi il cappello.

— Abbasso Fizkin! — Urlò la folla.

— Abbasso! — ripetette il signor Pickwick.

— Evvivaaaa!

E seguì un muggito alto e prolungato, come quello di tutto un serraglio quando l’elefante ha suonato la campanella del pasto.

— Chi è Slumkey? — domandò a bassa voce il signor Tupman.

— Lo ignoro, — rispose con lo stesso tono il signor Pickwick. — Zitti. Non fate domande. La miglior cosa in queste occasioni e di fare quel che fa la massa.

— Ma supposto che ve ne siano due delle masse? — suggerì il signor Snodgrass.

— Bisogna gridare con la più numerosa, — rispose il signor Pickwick.

Degli intieri volumi non avrebbero potuto dir di più.

Entrarono nell’albergo, passando in mezzo alla folla che s’era divisa in due ali e applaudiva freneticamente. Bisognava prima di tutto fissar le camere per passarvi la notte.

— Si possono aver dei letti? — domandò il signor Pickwick al cameriere.

— Vi direi bugia, signore, — rispose l’uomo; — ho paura che tutto sia pieno; domanderò, signore.

E andò via per questo, e tornò subito, e domandò a quei signori se erano Azzurri.

La risposta era piuttosto difficile, visto che né il signor Pickwick né i suoi compagni prendevano un interesse molto vitale nella causa di questo o di quel candidato. In questo dilemma il signor Pickwick si ricordò subito del suo nuovo amico Perker.

— Conoscete un signore di nome Perker? — domandò

— Certamente, signore; è l’agente dell’onorevole Samuele Slumkey.

— Azzurro naturalmente?

— Oh sicuro, signore.

— Dunque siamo Azzurri, — disse il signor Pickwick; ma osservando che l’uomo faceva una sua faccia dubbiosa a questa risposta accomodante, gli diè il suo biglietto di visita e lo pregò di portarlo subito al signor Perker, se per avventura si trovasse nella casa. Il cameriere si ritirò, e ricomparendo subito dopo con la preghiera che favorisse pure il signor Pickwick, lo guidò in una gran sala del primo piano, dove, davanti a una lunga tavola coperta di libri e di carte, stava seduto il signor Perker.

— Ah, ah, mio caro signore, — disse l’ometto andandogli incontro; lietissimo di vedervi, mio caro signore. Prego, sedete. Sicchè avete mandato ad effetto il vostro disegno. Siete venuto qui per vedere un’elezione, eh?

Il signor Pickwick rispose affermativamente.

— Una lotta vivissima, mio caro signore, — disse l’ometto.

— Tanto meglio, — disse il signor Pickwick fregandosi le mani; — godo in vedere il caldo e nobile patriottismo da qualunque fonte esso insorga; dunque lotta viva, eh?

— Oh sicuro, — disse l’ometto, — molto viva. Abbiamo preso per noi tutti gli alberghi, non lasciando all’avversario che le birrarie: un colpo maestro di politica, eh? — e l’ometto sorrise tutto soddisfatto ed annasò una presa abbondante di tabacco.

— E quali sono le probabilità intorno all’esito della lotta? — domandò il signor Pickwick.

— Ma, mio caro signore, dubbie, un po’ dubbie ancora. I fautori di Fizkin hanno trentatrè votanti chiusi a chiavistello nella rimessa del Cervo Bianco.

— Nella rimessa! — esclamò il signor Pickwick un poco sorpreso da questo secondo colpo maestro.

— Li hanno lì in serbo, pronti al bisogno, capite, — riprese l’ometto. Si vuole in somma impedirci di avervi contatto; il che del resto sarebbe affatto inutile, visto che li mantengono a posta in uno stato di completa ubbriachezza. Un diavolo d’astuzia quell’agente di Fizkin, un vero diavolo.

Il signor Pickwick sbarrò gli occhi senza dire una sola parola.

— Abbiamo però molta fiducia, — disse il signor Perker abbassando la voce. — Ieri sera, figuratevi, s’è tenuto qui un piccolo trattenimento, un po’ di tè, — quarantaquattro donne, caro signore, — e ciascuna di esse nell’andar via ha avuto in dono un ombrellino verde.

— Un ombrellino! — esclamò il signor Pickwick.

— Sicuro, sicuro, mio caro signore. Quarantaquattro ombrellini verdi, a sette scellini e sei pence il pezzo. Tutte le donne vanno matte delle galanterie. Effetto straordinario quegli ombrellini. Assicurati in un sol colpo tutti i mariti e metà dei fratelli; li teniamo in pugno, capite. Idea tutta mia, caro signore. Pioggia, grandine, bel tempo, non darete venti passi per la via senza incontrare una mezza dozzina di ombrellini verdi.

E l’ometto si abbandonò ad una convulsione d’ilarità, che fu arrestata soltanto dall’entrare di una terza persona.

Era questi un uomo lungo e magro dal capo brizzolato e un po’ tendente alla calvizie, e con un viso la cui solennità era accresciuta da uno sguardo incommensurabilmente profondo. Portava un lungo soprabito nero, una sottoveste nera e un par di calzoni neri. Gli ciondolava sul petto la lente, e gli copriva il capo un cappello basso di fondo o largo di tese. Il nuovo venuto fu presentato al signor Pickwick come, il signor Pott, direttore della Gazzetta d’Eatanswill. Dopo qualche osservazione preliminare, il signor Pott si volse al signor Pickwick, e domando solennemente:

— Questa lotta, signore, desta un grande interesse nella capitale?

— Credo bene che lo desti — rispose il signor Pickwick

— Al quale ho ragion di credere, — disse Pott guardando al signor Perker come per averne una conferma, — al quale ho ragion di credere abbia contribuito per molta parte il mio articolo di Sabato.

— Non c’è dubbio, non c’è dubbio — disse l’ometto.

— La stampa, signore, — disse Pott, — è una leva potente.

Il signor Pickwick assentì pienamente a questa proposizione.

Ma io ho la coscienza, signore, — riprese Pott, — di non aver mai abusato dell’enorme potere di cui dispongo. Io, signore, ho la coscienza di non aver mai rivolto la punta del nobile strumento affidato alle mie mani contro la santità della vita privata o contro il seno delicato della riputazione individuale; io ho la coscienza, signore, di aver posto la mia energia al servizio di... da…i miei sforzi in somma, per modesti che siano, e lo sono certamente… per inculcare quei principi di… i quali... sono...

— Senza dubbio, certissimo, — disse subito il signor Pickwick venendo in soccorso del direttore della Gazzetta che non riusciva a districarsi dal suo periodo.

— E qual è, o signore, — disse Pott — lasciate che lo domandi alla vostra imparzialità, qual è lo stato dello spirito pubblico in Londra, riguardo alla mia polemica con l’Indipendente?

— Molto eccitato di certo, — venne su il signor Perker, con un’occhiata d’intelligenza che poteva molto bene esser casuale.

— E questa polemica, — riprese Pott — sarà continuata finche avrò forza e salute e non mi verrà meno quel tanto d’ingegno che ho sortito da natura. Da questa polemica, signore, per quanto possa sconvolgere le menti ed eccitare gli animi, per quanto possa distogliere i cittadini dai doveri comuni della vita quotidiana, da questa polemica, signore, io non recederò mai, fino a che non avrò messo il tallone sull’Indipendente. Io desidero, signore, che lo sappiano bene i cittadini di Londra e quelli di questo paese, che possono pienamente contare sopra di me; che non gli abbandonerò, che son determinato a star con loro fino all’ultimo, signore.

— La vostra condotta è nobilissima, — disse il signor Pickwick, stringendo la mano del magnanimo Pott.

— Vedo bene, signore, che voi siete un uomo di buon senso e d’ingegno, — disse il signor Pott, tutto affannoso per la veemenza della sua patriottica dichiarazione. — Io son lietissimo, signore, di far la conoscenza di un tale uomo.

— Ed io, — disse il signor Pickwick, — mi sento altamente onorato dalla vostra stima. Permettetemi, signore, di presentarvi i miei compagni di viaggio, gli altri membri corrispondenti del Circolo che io son superbo di aver fondato.

— Lo ascriverò a mia somma fortuna. — disse il signor Pott.

Il signor Pickwick andò un momento di là, e tornato co’ tre amici li presentò formalmente al direttore della Gazzetta d’Eatanswill.

— Adesso, mio caro Pott, — disse il piccolo Perker, — bisogna trovar modo di acconciare alla meglio questi nostri amici.

— Possiamo fermarci qui, suppongo, disse il signor Pickwick.

— Tutti i letti presi, mio caro signore, tutti fino all’ultimo strapuntino.

— Molto dispiacevole, — disse il signor Pickwick.

— Molto, — dissero i suoi compagni di viaggio.

— Ho un’idea a questo proposito, — disse il signor Pott — che mi pare si possa adottare con successo. Due letti ci sono al Paone, ed io mi credo autorizzato a dire in nome della signora Pott ch’ella si reputerà felicissima di accogliere il signor Pickwick ed un altro dei suoi amici, se gli altri due signori e il loro domestico non hanno difficoltà di ricoverarsi alla meglio al Paone.

Dopo reiterate istanze da parte del signor Pott e reiterate proteste da parte del signor Pickwick di non voler incomodare o menomamente disturbare la sua amabile signora, fu deciso che questo era il miglior partito da prendere. Così dunque fu fatto; e dopo aver desinato insieme All’arme della città, gli amici si separarono, Tupman e Snodgrass riparando al Paone, e Pickwick e Winkle dirigendosi alla casa del signor Pott, non senza aver prima stabilito di riunirsi la mattina appresso all’Arme della città per accompagnare la processione elettorale dell’on. Samuele Slumkey fino alla piazza della proclamazione.

La famiglia del signor Pott si limitava al signor Pott e alla sua signora. Tutti gli uomini, che per la potenza del loro genio si sono levati nel mondo ad una superba altezza, hanno qualche loro debolezza che appare più manifesta per naturale contrasto con l’insieme del loro carattere. Se il signor Pott aveva una debolezza, questa era forse ch’egli era troppo sommesso alla superiorità sprezzante e al dispotismo della sua signora. Non ci sentiamo però autorizzati ad insistere su questo fatto, perchè nel caso attuale tutte le più amabili seduzioni della signora Pott furono chiamate a raccolta per ricevere i due forestieri.

— Mia cara, — disse il signor Pott, — il signor Pickwick; il signor Pickwick di Londra.

La signora Pott ricevette con una dolcezza incantevole la paterna stretta di mano del signor Pickwick; e il signor Winkle, che non era stato presentato, s’inchinò e se la svignò inosservato in un angolo oscuro.

— Pott, caro, — disse la signora Pott.

— Vita mia, — rispose il signor Pott.

— Presentate quell’altro signore, vi prego.

— Domando mille scuse. Permettete.... signora Pott, il signor....

— Winkle, — suggerì il signor Pickwick.

— Winkle, — ripetette il signor Pott; e così la cerimonia della presentazione fu compiuta.

— Vi facciamo, signora, tutte le nostre scuse, — disse il signor Pickwick, — pel disturbo che vi rechiamo così all’impensata.

— Prego di non parlarne nemmeno, signore, — rispose vivamente la signora Pott. — È una gran cosa per me, quando mi riesce di vedere dei visi nuovi, vivendo qui, come fo io, di giorno in giorno, da una settimana all’altra, senza veder nessuno.

— Nessuno, mia cara! — esclamò il signor Pott.

— Nessuno fuor di voi, — rimbeccò con asprezza la, signora Pott.

— Voi vedete, signor Pickwick, — disse il giornalista come per spiegare il lamento della moglie, — che qui siamo in certo modo tagliati fuori da molti piaceri e da tante distrazioni cui potremmo altrimenti prender parte. La mia qualità di uomo pubblico, come direttore della Gazzetta d’Eatanswill, il posto che questo giornale occupa nel paese, e l’essere sempre sprofondato nel vortice della politica....

— Pott, caro mio! — interruppe la signora Pott.

— Vita mia, — disse il direttore.

— Vi prego, caro, di scegliere qualche soggetto di conversazione nel quale questi signori possano trovare un certo interesse.

— Ma, amor mio, — disse il signor Pott con grande umiltà, — il signor Pickwick vi s’interessa vivamente;

— Felice lui se vi riesce, — esclamo la signora Pott; — io ne ho piene le tasche della vostra politica e delle polemiche con l’Indipendente e delle altre scioccherie. Mi maraviglio assai, Pott, che vogliate proprio adesso far pompa della vostra assurdità.

— Ma, cara mia, — disse il signor Pott.

— Oh, tacete, via, non dite sciocchezze, — interruppe la signora Pott. — Giocate all’ecarté, signore?

— Sarò lietissimo d’impararlo con voi, — rispose il signor Winkle.

— Ebbene, tirate qua quel tavolino, presso la finestra, che non senta più discorrere di cotesta uggiosa politica.

— Giannina, — disse il signor Pott alla fantesca che portava i lumi, — scendete all’ufficio e portatemi qui la collezione della Gazzetta del 1828. Vi voglio leggere, — aggiunse il direttore volgendosi al signor Pickwick, — vi voglio leggere qualcuno degli articoli che scrissi allora sull’armeggio dei Gialli per voler stabilire un nuovo esattore alla barriera di qua; ho ragion di credere che vi divertiranno.

— Li sentirò con vero piacere, — disse il signor Pickwick.

— La collezione arrivò e il direttore sedette col signor Pickwick allato.

Abbiamo cercato invano fra gli appunti del signor Pickwick, nella speranza di incontrare un qualunque sommario di queste splendide composizioni. Siamo nondimeno autorizzati a ritenere ch’egli fosse rapito in estasi dal vigore e dalla freschezza dello stile; perchè in effetto il signor Winkle registra il fatto che il grand’uomo, durante tutta la lettura, aveva gli occhi chiusi quasi per soverchio piacere.

L’annunzio che la cena era in tavola pose termine cosi all’ecarté come all’ammirazione del signor Pickwick per le peregrine bellezze della Gazzetta. La signora Pott era animatissima e di ottimo umore. Il signor Winkle avea già fatto un notevole progresso nelle buone grazie di lei, ed ella non esitò ad informarlo in confidenza che quel signor Pickwick era un "caro vecchiotto". I quali termini contengono una familiarità di espressione, che pochissimi fra i più intimi dell’uomo colossale si sarebbero permessa. Noi però gli abbiamo serbati, come una prova commovente e decisiva della stima ch’egli godeva in ogni classe sociale e della facilità con cui s’insinuava nei cuori della gente.

L’ora era molto inoltrata e per conto loro i signori Tupman e Snodgrass dormivano già da un pezzo nei più remoti penetrali del Paone, quando i due amici andarono a riposare. Il sonno sparse subito i suoi papaveri sugli occhi del signor Winkle; ma i sentimenti di lui e l’ammirazione avevano avuto una scossa; e per molte ore di seguito, dopo che il sonno lo ebbe reso insensibile agli oggetti della terra, il viso e la persona piacente della signora Pott tornarono assiduamente davanti alla sua calda fantasia.

Il rumore e il trambusto che annunziarono il mattino erano più che bastevoli a scacciare dal più romantico visionario di questo mondo ogni fantasia che non avesse strettissima relazione con l’elezione imminente. Il rullo dei tamburi, lo squillo dei corni e delle trombe, i clamori della folla, lo scalpitar dei cavalli, suonavano e intronavano per le vie fin dalla punta del giorno; ed una baruffa incidentale appiccatasi fra i tiragliatori dei due partiti animò ad un tratto i preparativi e ne variò piacevolmente il carattere.

— Ebbene, Sam, — disse il signor Pickwick, che finiva di vestirsi, al domestico che si mostrava alla porta della camera da letto, — molta animazione stamani, eh?

— Mica male, signore, — rispose il signor Weller; si pigiano come sardine sotto l’albergo e hanno già sputato mezzo polmone a testa.

— Ah, ah, e sembrano devoti al loro partito, Sam?

— Non ho mai visto una devozione simile in vita mia.

— Energici, eh?

— Altro che! mai visto mangiare e bere a quel modo. Non so come non abbiano paura di scoppiare.

— Ciò dipende, — osservò il signor Pickwick, — dalla malintesa gentilezza e prodigalità di questa cittadinanza.

— Probabilissimo, — rispose Sam laconicamente.

— Bella gente, fresca, vigorosa, piena di vita — disse il signor Pickwick guardando dalla finestra.

— Molto fresca, — rispose Sam; — io e due camerieri del Paone abbiamo pompato sugli elettori indipendenti che vi furono a cena iersera.

— Pompato sugli elettori indipendenti! — esclamò il signor Pickwick.

— Già; cadevano briachi fradici uno dopo l’altro. Stamane gli abbiamo tirati fuori, e là, sotto la pompa, una bella doccia. Conciati a dovere, signore. Uno scellino a testa ci ha dato il comitato per far questo scherzo.

— Possibile che tali cose avvengano! — esclamò lo stupito signor Pickwick.

— Benedetto voi, signore! e di dove venite che vi fa tanto caso? Questo è niente, questo.

— Niente?

— Proprio niente. Figuratevi che la sera prima dell’ultima elezione qui, il partito contrario si compro una serva dell’Arme della città per far la mescolanza nel ponce di quattordici elettori che stavano nella casa e non avevano ancora votato.

— Che intendete con la vostra mescolanza nel ponce? — domandò il signor Pickwick.

— Mettervi dentro del laudano, — rispose Sam. — Dormivano ancora come tanti ghiri e l’elezione era bell’e fatta da dodici ore. Ne pigliarono su uno e lo portarono a votare, sopra una barella; ma non lo si volle far votare, sicchè se lo portarono indietro e lo rimisero a letto.

— Strano procedere, — disse il signor Pickwick quasi parlando a se stesso.

— Non tanto strano come una circostanza miracolosa che accadde a mio padre, ed anche qui, a tempo di un’elezione, — rispose Sam.

— E che fu?

— Fu che lui aveva allora una carrozza che faceva i viaggi qui. Arrivò il tempo dell’elezione, e uno dei partiti se lo affittò per portare i votanti da Londra. La notte prima di partire, il comitato dell’altra parte te lo manda a chiamare, ed eccolo che se ne va con quell’uomo che lo fa entrare: una gran sala, tanti signori, monti di fogliacci, penne ed inchiostro, e tutto il resto. "Ah, signor Weller" dice il presidente "tanto piacere di vedervi; come state?" — "Benissimo, grazie, signore" dice mio padre "spero che ve la caviate anche voi per benino" dice. "Non c’è male, grazie" dice il presidente "sedete, signor Weller, vi prego". E così mio padre si mette a sedere e si guardano in faccia. "Non vi ricordate di me?" dice il presidente. "Non mi pare" dice mio padre. "Oh, io vi riconosco" dice l’altro "vi conosco da ragazzo" dice. "Bè" dice mio padre "per me non mi ricordo". "Strano assai" dice il presidente. "Assai" fa mio padre. "Dovete avere una cattiva memoria, signor Weller" dice il presidente. "Sarà benissimo" dice mio padre. "Io l’aveva capito subito" dice il presidente. E così allora, gli danno un bicchiere di vino, e gli parlano delle sue carrozze e gli fanno un testone di chiacchiere e te lo mettono su in allegria, e alla fine gli fanno sdrucciolare in mano, un biglietto da venti sterline. "Pessima strada di qua a Londra" dice il presidente. "C’è da rompersi il collo qua e là" dice mio padre. "Specialmente vicino al canale, credo" dice il presidente. "Brutto passo quello lì" dice mio padre. "Del resto voi, signor Weller" dice il presidente "siete un cocchiere co’ fiocchi e potete fare coi vostri cavalli quel che vi piace. Vi vogliamo tutti un gran bene, signor Weller; sicchè caso mai vi capita un accidente nel portar qui quei signori votanti, e caso mai li buttate di sotto nel canale senza far male a nessuno, questo è per voi" dice. "Troppa bontà, signori" dice mio padre "e beverò un altro bicchiere alla vostra salute" dice; e cosi fa e, poi intasca il danaro e via con un bel saluto. Ora voi non lo credereste, signore, — proseguì Sam con un’occhiata d’inesprimibile impudenza al suo padrone, — che proprio il giorno preciso ch’ei portava qui gli elettori, la carrozza ribaltò in quel posto che s’era detto, e non ci fu uno di loro che non facesse un tonfo nel canale.

— E si salvarono poi? — domandò con ansia il signor Pickwick.

— Se non sbaglio, — rispose Sam con molta lentezza, — mi pare che un signore vecchio non fu più trovato; so che fu trovato il cappello, ma non son proprio certo se c’era dentro la testa o se non c’era. Ma quel che dico io è la straordinaria coincidenza che dopo le parole di quel signore, la carrozza di mio padre ribaltò proprio a quel posto e in quel giorno preciso!

— Senza dubbio, la coincidenza è maravigliosa; — disse il signor Pickwick. — Ma spazzolatemi il cappello, Sam, perchè sento il signor Winkle che mi chiama a colazione.

Così dicendo il signor Pickwick discese al tinello, dove trovò la colazione imbandita e la famiglia già raccolta. Si mangiò e si sparecchiò presto; ogni cappello degli uomini fu decorato di un’enorme coccarda azzurra, fatta dalle belle mani della stessa signora Pott, e siccome il signor Winkle s’era impegnato di accompagnare l’amabile signora sul tetto di una casa in prossimità della tribuna elettorale, il signor Pickwick col signor Pott se n’andarono soli all’Arme della città, da una delle cui finestre un membro del comitato del signor Slumkey arringava sei monelli ed una ragazza ch’egli chiamava pomposamente ad ogni volger di frase "uomini d’Eatanswill" fra gli applausi frenetici dei sei monelli sullodati.

Il cortile dell’albergo presentava dei segni patenti della gloria e della forza degli Azzurri d’Eatanswill. C’era tutto un esercito di bandiere Azzurre con sopra dei motti d’occasione, stampati in caratteri d’oro alti e grassi. C’era una banda di trombe, fagotti e tamburi, marciante per quattro, i quali guadagnavansi con tutta coscienza il loro danaro, soprattutto i tamburini ch’erano singolarmente muscolosi e parevano invasati. C’erano gruppi di constabili armati di mazze Azzurre, venti membri del comitato con sciarpe Azzurre, ed una turba di votanti con coccarde Azzurre. C’erano elettori a piedi e a cavallo, c’era un tiro a quattro con dentro l’onorevole Samuele Slumkey, e c’erano quattro tiri a due pei suoi amici e sostenitori; e le bandiere sventolavano, e la banda suonava, e i constabili bestemmiavano, e i venti membri del comitato peroravano, e la folla urlava, e i cavalli rinculavano e scalpitavano, e i cavalcanti sudavano; ed ognuno e ogni cosa e dappertutto nell’interesse, per uso speciale, in onore e gloria dell’onorevole Samuele Slumkey di Slumkey Hall, candidato per la rappresentanza del Borgo d’Eatanswill alla Camera de i Comuni del Parlamento del Regno Unito.

Alte e lunghe acclamazioni si levarono, e febbrilmente sventolò una delle bandiere Azzurre che portava scritto "Libertà della stampa", quando il capo brizzolato del signor Pott apparve ad uno dei terrazzini; e tremendo fu l’entusiasmo quando l’on. Samuele Slumkey in persona, coi stivali a tromba e la cravatta azzurra, si fece avanti, afferrò la mano del detto Pott, e con gesti espressivi e melodrammatici attestò alla folla la gratitudine incancellabile che lo legava alla Gazzetta d’Eatanswill.

— Tutto è pronto? — domandò al signor Perker l’onorevole Samuele Slumkey.

— Tutto, mio caro signore, tutto.

— Nulla è stato omesso?

— Nulla, mio caro signore, nulla di nulla. Vi sono alla porta di strada venti uomini ben lavati perchè possiate scambiare con loro delle strette di mano; e sei bambini portati in collo che dovrete accarezzare, domandandone l’età; badate soprattutto ai bambini, mio caro signore; è una cosa di effetto sicurissimo sempre.

— Ci penserò, — disse l’onorevole Samuele Slumkey,

— E se mai, — riprese l’ometto prudente ed accorto, — se mai vi riuscisse... non dico già che sia indispensabile... ma se vi riuscisse di baciarne uno, l’impressione prodotta sulla folla sarebbe immensa.

— Non farebbe lo stesso se il bacio glielo deste voi? — domandò l’on. Samuele Slumkey.

— Ma.... temo di no, temo di no; fatta la cosa da voi stesso, mio caro signore, credo che vi renderebbe molto popolare.

— Benissimo, — disse l’on. Samuele Slumkey con aria rassegnata, — vuol dire che non c’è rimedio.

— Avanti la processione! — gridarono i venti membri del comitato.

— Fra le grida e gli applausi della folla, la banda, e i constabili, e i membri del comitato, e i votanti, e gli uomini a cavallo, e le carrozze presero il loro posto — ciascuno dei tiri a due caricato di tante persone in piedi quante ce n’entravano; e quello destinato al signor Perker, contenente i signori Pickwick, Tupman, Snodgrass non che una mezza dozzina di membri del comitato.

Vi fu un momento di terribile sospensione, mentre la processione stava ancora ferma aspettando che l’on. Samuele Slumkey montasse in carrozza. Ad un tratto la folla mandò una lunga acclamazione.

— È uscito, — disse il piccolo Perker vivamente eccitato, tanto più che la loro posizione non li metteva in grado di vedere quel che accadeva.

Un’altra acclamazione molto più forte.

— Stringe la mano agli uomini, — gridò il piccolo agente.

Un’altra acclamazione, sempre più fragorosa.

— Accarezza i bambini, — disse il signor Perker tremante d’ansietà.

Un uragano d’applausi che fece intronar l’aria.

— Ne ha baciato uno! — esclamò inebbriato l’omicciattolo.

Un secondo uragano.

— Ne bacia un altro! — balbettò l’agente convulso.

Un terzo uragano.

— Li bacia tutti, li bacia tutti! — gridò l’avvocato in delirio.

E così, salutata dalle grida assordanti della moltitudine la processione procedette.

Come e per che modo si trovò intricata questa processione nella processione avversaria, e come si tirò fuori dalla confusione che ne conseguì, non ci è dato descrivere, visto che il cappello del signor Pickwick fu di primo acchito calcato sugli occhi, sul naso e sulla bocca dell’uomo illustre da un colpo bene assestato d’una bandiera Gialla. Ei si descrive circondato da tutte le parti, quando gli venne fatto d’intravedere la scena tumultuosa, da visi irati e feroci, da un nuvolone di polvere e da una densa folla di combattenti. Narra di una forza invisibile che lo trasse giù dalla carrozza e di un pugilato nel quale si trovò impegnato; ma con chi o come o perchè ei non sa dire assolutamente. Si sentì poi, dice, spinto di dietro su per certe scale di legno; e riuscendo alla fine a liberarsi dal cappello, si trovò, insieme cogli amici suoi in prima riga verso il lato sinistro della tribuna. Il lato diritto era destinato al partito Giallo, e il centro al mayor e ai suoi ufficiali; uno dei quali — il grasso banditore di Eatanswill — sbatacchiava una campana enorme per imporre silenzio, mentre il signor Orazio Fizkin e l’onorevole Samuele Slumkey, ciascuno con la destra sul cuore, s’inchinavano con la massima affabilità a quel mare di teste che s’agitava nella piazza sottoposta e che mandava una tempesta di gemiti, di urli, di fischi, di battimani, che avrebbero fatto onore al terremoto.

— Ecco là Winkle, — disse il signor Tupman, tirando l’amico per la manica.

— Dove? — domandò il signor Pickwick, mettendosi gli occhiali che per fortuna non avea prima cavato di tasca.

— Là, — disse il signor Tupman, — in cima a quella casa.

E in effetto, proprio nella grondaia di piombo di un tetto, sedevano comodamente sopra un par di seggiole il signor Winkle e la signora Pott, ed agitavano, in segno di saluto, i loro fazzoletti; al che rispose il signor Pickwick mandando un bacio sulla punta delle dita alla signora.

Le operazioni elettorali non erano ancora incominciate e siccome generalmente una folla inattiva è corriva alla facezia, bastò quell’atto innocentissimo a destarne il buon umore.

— Ehi, birbone d’un vecchio, — gridò una voce, — si fa l’occhietto alle ragazze, eh?

— Ah, parruccone vizioso! — gridò un altro.

— Anche gli occhiali si mette per sbirciare una femmina maritata, — disse un terzo.

— E le ammicca pure e le fa il sorrisetto, — notò un quarto.

— Ehi Pott, — gridò un quinto, — occhio a vostra moglie.

E qui un grande scoppio di risa.

Siccome queste apostrofi erano accompagnate da certi confronti poco rispettosi tra il signor Pickwick e un cane spelato e vari altri motti dello stesso genere, e siccome miravano specialmente ad appannare l’illibato onore di una signora, l’indignazione del signor Pickwick fu grande; ma, essendosi proprio in quel punto imposto silenzio, ei si contentò di fulminare la folla con una occhiata di suprema pietà per le loro menti traviate, al che le risa crebbero e suonarono più forti che mai.

— Silenzio! — gridarono gli ufficiali del mayor.

— Whiffin, fate far silenzio, — comandò il mayor con voce nasale e con quella solennità che si conveniva alla sua elevata posizione. Al che il banditore eseguì un altro concerto sulla campana, e una voce dalla folla fece il verso al mayor, provocando un’altra risata.

— Signori, — incominciò il mayor con quanta ne aveva in gola, — signori! Fratelli elettori del Borgo d’Eatanswill! Noi siamo oggi qui raccolti nello scopo di eleggere un rappresentante in sostituzione del nostro passato....

Qui un’altra voce interruppe il mayor.

— Evviva il mayor! e che non lasci mai i suoi chiodi e le sue marmitte che l’hanno arricchito.

Quest’allusione alle occupazioni commerciali dell’oratore fu accolta da una tempesta d’ilarità e di applausi, che con l’accompagnamento della campana soffocò tutto il resto del discorso, ad eccezione dell’ultima frase, nella quale egli ringraziava i cittadini elettori della cortese attenzione di cui lo avevano onorato, — espressione di gratitudine che suscitò una più rumorosa allegria della durata di circa quindici minuti.

In seguito, un signore magro e lungo, con una cravatta bianca bene inamidata, dopo essere stato più volte pregato dalla folla "che mandasse un ragazzo a casa per vedere chi sa mai avesse lasciato la voce sotto il cuscino" domandò il permesso di presentar loro una persona adatta a rappresentarli in Parlamento. E quando disse che questa persona era Orazio Fizkin, di Fizkin Lodge, i Fizkinisti applaudirono e i Slumkeisti muggirono, con tanta forza ed insistenza, che il candidato stesso e il suo agente avrebbero potuto cantare, invece di parlare, delle canzonette buffe, senza che se ne fosse capito più di quel che in effetto si capiva.

Dopo che gli amici dell’on. Orazio Fizkin ebbero così avuto il loro l primo sfogo, un piccolo individuo collerico e rosso si fece avanti per proporre un altro suo candidato agli elettori di Eatanswill; e senza quella sua nervosità che gli impediva di prendere pel suo verso l’umor faceto della folla, se la sarebbe cavata assai bene. Ma dopo poche frasi di eloquenza figurativa, l’oratore rosso passò dall’apostrofare i malcreati interruttori a scambiare contumelie con le persone che stavano sulla tribuna; al che si sollevò un tumulto, che lo ridusse alla necessità di esprimere con mimica vivace i suoi sentimenti, e quindi a cedere il posto all’oratore incaricato di appoggiare la sua mozione; e questi lesse un suo discorso che durò una buona mezz’ora e non ne volle risparmiare nemmeno una sillaba, perchè l’avea già mandato tutto alla Gazzetta d’Eatanswill e la Gazzetta lo aveva stampato parola per parola.

Allora Orazio Fizkin, di Fizkin Lodge, si presentò per arringare gli elettori; e non sì tosto l’ebbe fatto, che la banda al servizio dell’on. Samuele Slumkey dette negli strumenti con una furia, a petto alla quale la furia della mattina era niente; e per tutta risposta la turba Gialla tempestò sulle spalle e sulle teste della turba Azzurra, e la turba Azzurra, fece ogni sforzo per levarsi dai piedi l’incomoda vicinanza della turba Gialla; e ne segui un pigia pigia e una zuffa di spintoni, strette, cazzotti, che noi non potremmo descrivere come il mayor non potette moderare, benché fulminasse ordini sopra ordini a dodici constabili che dovevano afferrare e non afferrarono i capoccia del tafferuglio, i quali ammontavano a circa un par di centinaia e mezzo. Durante la baruffa, l’on. Orazio Fizkin, di Fizkin Lodge, e i suoi amici divennero sempre più furibondi; fino a che l’on. Orazio Fizkin chiese licenza di domandare all’on. Samuele Slumkey, se gli era per suo consenso che gli strumenti suonavano; alla quale domanda essendosi rifiutato di rispondere l’on. Samuele Slumkey, l’on. Orazio Fizkin mise il pugno sotto il muso dell’onorevole Samuele Slumkey; al che l’onorevole Samuele Slumkey, essendogli il sangue montato alla testa, sfidò l’onorevole Orazio Fizkin a duello all’ultimo sangue. A questa patente violazione di ogni regola e di ogni precedente, il mayor ordinò un’altra fantasia sulla campana, e dichiarò che avrebbe fatto trarre davanti a sè, legati di santa ragione, gli on. Orazio e Samuele. La tremenda minaccia destò gli spiriti dei partigiani dei due candidati, e dopo che gli amici di qua e di la si furono ben bene azzuffati per tre quarti d’ora, l’on. Orazio Fizkin salutò l’on. Samuele Slumkey, l’on. Samuele Slumkey salutò l’on. Orazio Fizkin, la banda si chetò, la folla s’andò rassettando, e l’on. Orazio Fizkin ebbe licenza di proseguire.

I discorsi dei due candidati, benché diversi per molti altri rispetti offrivano un largo tributo al merito altissimo degli elettori di Eatanswill. Esprimeva ciascuno di essi l’opinione che una riunione di uomini più indipendenti, più illuminati, più patriottici, più nobili, più disinteressati di quelli che aveano promesso di votar per lui, non esisteva sulla faccia della terra; ciascuno intravedeva il bieco sospetto che gli elettori della parte opposta portassero addosso certe loro magagne di corruzione elettorale e personale che li rendevano inabili ad esercitare i doveri importanti cui erano chiamati ad adempiere. Fizkin si dichiarò pronto a fare tutto ciò che da lui si volesse; Slumkey protestò di essere determinato a non far nulla di quanto gli si potesse domandare. Dissero entrambi che il commercio, le manifatture, la, prosperità d’Eatanswill, sarebbero sempre più care ai loro cuori che ogni altra cosa al mondo; e ciascuno dei due si sentiva in grado di nutrir piena fiducia di sortir vittorioso dall’urna.

Molte mani si alzarono e molte no; il mayor decise in favore dell’on. Samuele Slumkey, di Slumkey Hall. Allora Orazio Fizkin, di Fizkin Lodge, domandò uno scrutinio, al quale subito si procedette. Fu poi formulato un voto di grazie al mayor per la sua abile condotta nel tener la sedia presidenziale; e il mayor, che non aveva avuto nessuna sorta di sedia ed era stato in piedi durante tutte le operazioni elettorali, ringraziò vivamente. Le processioni si riformarono, le carrozze si mossero lentamente fra la folla, e i membri di questa le accompagnarono con urli o battimani a seconda dei loro sentimenti o del capriccio volubile.

Durante tutto il tempo dello scrutinio, la città fu febbricitante. Ogni cosa vi si faceva con la massima libertà o piacevolezza. Gli spiriti si davano via a buonissimo mercato in tutte le osterie, e delle barelle percorrevano le vie per comodità di quei votanti che fossero presi da un momentaneo capogiro — curiosa epidemia che prevaleva fra gli elettori, durante la lotta, tanto da impensierire, e sotto la cui azione si poteva vederli qua e là giacenti per le vie in uno stato di completa insensibilità. Un gruppo di elettori si trovò proprio l’ultimo giorno di non aver votato. Erano persone riflessive e calcolatrici, che non s’erano ancora convinte degli argomenti di questo o di quel partito, a dispetto delle frequenti conferenze avute con ambedue. Un’ora prima della chiusura dello scrutinio, il signor Perker sollecitò l’onore di un colloquio con questi intelligenti, nobili e patriottici cittadini. Il colloquio fu accordato. Gli argomenti del piccolo avvocato furono brevi ma efficaci. I dubbiosi andarono in massa all’urna; e quando uscirono dalla sala l’onorevole Samuele Slumkey, di Slumkey Hall, era uscito anche lui vittorioso dall’urna.

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