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Dopo la festa campestre in casa della signora Hunter, i Pickwickiani si trattennero ancora due giorni ad Eatanswill aspettando con viva ansietà qualche notizia del loro riverito condottiero. I signori Tupman e Snodgrass furono di nuovo lasciati alle proprie risorse; dacchè il signor Winkle, rispondendo ad un invito pressantissimo, seguitò a stare in casa Pott e a dedicare il suo tempo alla graziosa signora. Nè mancava di tanto in tanto, a render piena la loro felicità, la compagnia dello stesso signor Pott. Sprofondato nelle sue elucubrazioni in pro del paese e sulla distruzione dell’Indipendente, non poteva e non soleva quel grand’uomo discendere dal vertice delle sue idealità all’umile livello degli spiriti ordinari. In questa occasione nondimeno, e quasi per rendere onore allo stesso signor Pickwick nella persona di un suo seguace, ei consentì a piegarsi, a rammollirsi, a discendere dal suo piedistallo ed a camminare, come gli altri, co’ piedi in terra, adattando benignamente le sue osservazioni alla intelligenza del gregge e mostrando di essere, di fuori se non di dentro, uno di loro.
Tale essendo stata la condotta di questo celebre pubblicista verso il signor Winkle, sarà facile figurarsi quanta sorpresa si dipingesse sul viso di quest’ultimo, quando trovandosi solo nel tinello vide la porta aprirsi e chiudersi con violenza e il signor Pott avanzarsi maestosamente alla sua volta, scostar la mano che gli veniva offerta, digrignare i denti come per rendere più taglienti le parole che stavano per uscirgli di bocca, e balbettare con una voce da sega:
— Serpente!
— Signore! — esclamò il signor Winkle balzando dalla seggiola.
— Serpente, signore! — ripetette il signor Pott, alzando la voce e poi subito abbassandola. — Ho detto serpente, signore, e prendetela come vi piace.
Ora quando voi vi siete diviso da un uomo, alle due del mattino, nei termini della più calda cordialità, ed egli vi viene incontro alle nove e mezzo e vi saluta dandovi del serpente, non è irragionevole argomentare che qualche cosa di spiacevole sia accaduto nel frattempo. Così appunto pensò il signor Winkle. Ricambiò la occhiata vitrea del signor Pott e per corrispondere alla preghiera di lui, si diè a prendere il serpente come meglio gli piaceva. Ma siccome nè gli piaceva nè sapeva che cosa farsene, così dopo un profondo silenzio di qualche minuto, disse:
— Serpente, signore! Serpente, signor Pott! Che intendete dire? voi scherzate di certo.
— Scherzo, signore! — esclamò Pott, avvalorando l’esclamazione con un movimento della mano che dimostrava un fiero desiderio di tirare il ramino del tè nella testa del suo interlocutore. — Scherzo, signore!... Ma no, ma no, io sarò calmo, signore, io mi dominerò.
Ed in prova della sua calma, il signor Pott si gettò a sedere in una poltrona e si fece venire la spuma alla bocca.
— Mio caro signore, — incominciò il signor Winkle.
— Caro signore! — interruppe Pott. — E come osate voi guardarmi in faccia e darmi del caro?
— Ebbene, signore, poichè ne siamo a questo, — rispose il signor Winkle, — come osate voi guardarmi in faccia e darmi del serpente?
— Perchè tal siete, — rispose Pott.
— Provatelo, signore, — ribatte con calore il signor Winkle, — provatelo!
Un ghigno pieno di amarezza contrasse la profonda fisonomia del direttore, mentre egli tirava fuori l’Indipendente di quella stessa mattina; e ponendo il dito sopra un dato paragrafo, gettò il giornale attraverso la tavola al signor Winkle.
Questi lo prese e lesse quel che segue:
"Il nostro oscuro ed abbietto avversario, in alcune sue note sulla recente elezione, si è fatto lecito di violare il santuario della vita privata e di fare allusione con termini tutt’altro che velati agli affari personali del nostro candidato, anzi diremo, a dispetto della patita sconfitta, del nostro futuro rappresentante signor Fizkin. Che ha inteso di far con questo il nostro sozzo avversario? e che direbbe se noi, tenendo come lui in non cale le convenienze del vivere sociale, volessimo sollevare un lembo della cortina che sottrae fortunatamente la sua vita privata alla pubblica esecrazione? che direbbe se volessimo anche indicare e commentare fatti e circostanze che sono ormai di pubblica ragione, che saltano agli occhi di tutti; meno che a quelli impresciuttiti del nostro avversario? che direbbe se noi stampassimo il componimento qui appresso, che abbiamo ricevuto mentre scrivevamo il principio di questo articolo, da un nostro egregio concittadino e corrispondente?
VERSI APP0SITI
Oh, se aveste po’ po’ quel dì saputo
Quanto femmina è falsa e amor bugiardo
Allor che in suon fatale
Udiste la campana nuziale
Far tinkle tinkle....
Avreste allor pot...uto
Quel ch’or pur troppo saria vano e tardo,
E la donna impalmata
Subito avreste e volentier passata
In man di W...."
— E che cosa! — esclamò solennemente il signor Pott, — che cosa rima con tinkle, furfante?
— Che cosa rima con tinkle? — ripetette la signora Pott che entrava in quel punto. — Che cosa rima con tinkle? Winkle, mi pare!
E così dicendo la signora Pott sorrise affabilmente al turbato Pickwickiano e gli porse la mano, che il disgraziato giovane avrebbe, nella sua confusione, accettata, se il signor Pott indignato non fosse entrato di mezzo.
— Indietro, signora, indietro! — gridò il direttore. — Dargli la mano sotto gli occhi miei!
— Signor Pott! — esclamò stupefatta la signora.
— Donna sciagurata, guardate qui! Guardate, signora. Versi appo....siti, signora. Appo....siti, capite? vale a dire che vengono a me. Quanto femmina è falsa, e questa, signora, siete voi, voi!
E con questo scoppio di rabbia, accompagnato da un certo tremito che l’avea pigliato all’espressione del viso di sua moglie, il signor Pott le scagliò ai piedi il numero dell’Indipendente d’Eatanswill.
— In fede mia, signore, — esclamò piena di stupore la signora Pott chinandosai a raccattare il giornale; — in fede mia!...
Il signor Pott schiacciato dallo sguardo sprezzante della sua signora, fece uno sforzo disperato per stappare il proprio coraggio, il quale però s’andava tappando più che mai.
Pare che nulla vi sia di terribile in quella breve sentenza: "In fede mia, signore!" quando la si legge; ma il tuono di voce con cui fu detta e lo sguardo che l’accompagnò, contenenti quasi una minacciata vendetta che sarebbe scoppiata sul capo di Pott, produssero sopra di lui il loro pieno effetto. Il più inesperto osservatore avrebbe scoperto in quel suo viso conturbato una gran voglia di cedere i suoi stivali alla Wellington a chiunque avesse consentito a starvi ritto dentro in quel critico momento.
La signora Pott lesse l’articolo, emise un grido acutissimo e si gettò lunga quant’era sul tappeto del camminetto, torcendosi tutta e battendolo coi tacchi dei suoi stivaletti in un modo che non poteva lasciare alcun dubbio sulla delicatezza dei suoi sentimenti in questa dolorosa congiuntura.
— Cara mia, — disse Pott atterrito, — io non ho mica detto che ci credevo.... io....
Ma la voce dello sciagurato fu soffocata dalle grida della sua consorte.
— Signora Pott, vi prego, mia cara signora, calmatevi, — disse il signor Winkle. Ma le grida e lo sbattere dei tacchi si fecero più che mai forti e frequenti.
— Cara mia, — riprese il signor Pott, — sono dolentissimo di quanto avviene. Se non volete pensare alla vostra salute, considerate, vi prego, la mia posizione. Si farà la folla di qui a poco alla porta di casa.
Ma più vive ed insistenti erano le preghiere del signor Pott, più acute erano le grida della signora.
Per buona sorte, alla signora Pott era addetta una guardia del corpo in persona di una signorina incaricata ufficialmente di presiedere alla toilette di lei, ma che si rendeva utile in vari modi e specialmente nell’aiutare la sua signora in ogni inclinazione o desiderio contrario ai desiderii del disgraziato Pott. Le grida giunsero all’orecchio di questa signorina, e la fecero correre sul teatro dell’azione con una fretta che minacciò di mettere in disordine la squisita acconciatura della sua cuffia e dei suoi riccioli.
— Oh, cara, cara signora! — esclamò la guardia del corpo, gettandosi delirante in ginocchio al fianco della signora Pott supina. — Oh, cara signora, che è accaduto?
— Il vostro padrone.... quell’uomo brutale del vostro padrone! — mormorò la signora Pott.
Pott, evidentemente, andava perdendo terreno.
— È una vergogna, — esclamò in tono di rimprovero la guardia del corpo. — Io lo so ch’egli sarà la vostra morte, signora. Povera donna, povera creatura!
Pott batteva sempre più in ritirata. La fazione opposta rinforzò l’attacco.
— Oh, non mi lasciate, Goodwin, non mi lasciate! — balbettò la signora Pott afferrandosi con un moto isterico ai polsi della detta Goodwin. — Voi siete la sola persona che mi voglia bene, Goodwin.
A questo appello commovente, Goodwin mise su una tragedia per conto proprio, e sparse lagrime copiose.
— Giammai, signora, giammai! — esclamò. — Voi, signore, dovreste badare, dovreste aver più riguardo; voi non sapete che male potete fare alla signora; verrà un giorno che ve ne pentirete; lo so, l’ho sempre detto che ve ne pentirete.
Lo sciagurato Pott volse al gruppo giacente una timida occhiata, ma non aprì bocca.
— Goodwin! — disse la signora Pott con voce spenta.
— Signora! — rispose Goodwin.
— Se sapeste quanto l’ho amato quell’uomo....
— Non vi tormentate ora con questi ricordi, signora, — pregò la guardia del corpo.
Pott pareva atterrito. Un colpo decisivo era indispensabile.
— Ed ora, — singhiozzò la signora Pott, — ora, Goodwin, vedersi trattata in questo modo; essere accusata ed oltraggiata in presenza di un terzo, di un terzo ch’è quasi un estraneo. Ma io non lo soffrirò, Goodwin, no! — proseguì la signora Pott alzandosi fra le braccia della sua guardia. — Mio fratello, il luogotenente, ci mettera le mani. Mi separerò, Goodwin. — Certamente gli starebbe il dovere, signora, — disse Goodwin.
Che pensieri destasse nell’animo del signor Pott questa minaccia di separazione non si sa, perchè egli si astenne dal manifestarli, limitandosi appena a dire con grande umiltà:
— Volete udirmi, mia cara?
Un nuovo scoppio di singhiozzi fu la sola risposta, e la signora Pott, divenuta sempre più isterica, pregò che le si dicesse perchè mai era venuta al mondo e domandò anche varie altre notizie dello stesso genere.
— Mia cara, — l’interruppe Pott, — non vi abbandonate a cotesta violenza di sentimenti. Io non ho mai creduto che l’articolo avesse alcun fondamento, cara mia, non l’ho mai creduto. Soltanto ero sdegnato, capite, anzi più che sdegnato, furioso contro quella gentaccia dell’Indipendente che hanno osato inserirlo: ecco tutto.
E il signor Pott volse un’occhiata supplichevole alla cagione innocente di tutto il malanno come per pregarlo di non dir nulla dell’affare del serpente.
— E che passi pensate di dare per ottenere una riparazione? — domandò il signor Winkle, pigliando via via quel coraggio che Pott andava perdendo.
— Oh Goodwin! — esclamò la signora Pott, — credete ch’egli voglia pigliare a scudisciate il direttore dell’Indipendente?
— Zitto, zitto, signora, calmatevi, vi prego, — rispose la guardia del corpo. — Scommetto che lo farà, se lo desiderate.
— Certamente, — disse Pott vedendo che la moglie dava segni di venir meno un’altra volta, — naturalmente che lo farò.
— Quando, Goodwin, quando ? — domandò la signora Pott, ancora indecisa se dovesse o no venir meno.
— Subito, naturalmente, — rispose Pott; — in giornata.
— Oh, Goodwin! — conchiuse la signora Pott, è questo il solo mezzo di affrontare la maldicenza e di salvare la mia posizione nel mondo.
— Certamente, signora, — rispose Goodwin. — Non c’è uomo che vi si rifiuterebbe, per poco che abbia punto d’onore.
E poichè gli isterismi non s’erano del tutto dileguati, il signor Pott confermò ancora una volta la sua risoluzione; ma la signora Pott era così sopraffatta dalla sola idea di essere stata un momento sospettata, che si trovò una mezza dozzina di volte sul punto di una ricaduta, e senza dubbio al mondo sarebbe venuta meno, se non fosse stato per gli sforzi assidui della buona Goodwin e per le calde preghiere di perdono da parte del domato Pott; e finalmente, quando questo infelice direttore fu ben bene ammaccato e ridotto al proprio livello, la signora Pott tornò in sè, e andarono tutti a far colazione.
— Spero, signor Winkle, che questa bassa calunnia di un giornale non abbrevierà la vostra dimora fra noi? — disse la signora Pott, sorridendo attraverso le lagrime.
— Lo spero anch’io, — soggiunse Pott, augurandosi intensamente che il suo ospite si affogasse col boccone di arrosto che in quel punto accostava alle labbra, e così in effetto ponesse un termine alla sua dimora. — Lo spero anch’io.
— Siete troppo buono, grazie, — rispose il signor Winkle; — ma una lettera del signor Pickwick, della quale mi ha informato un bigliettino dell’amico Tupman recatomi stamane in camera da letto, ci prega di raggiungerlo oggi stesso a Bury; sicchè partiremo a mezzogiorno con la diligenza.
— Tornerete però? — disse la signora Pott.
— Oh certamente!
— Proprio sicuro? — domandò la signora volgendo all’ospite un tenero sguardo.
— Sicurissimo, — rispose il signor Winkle.
La colazione passò in silenzio, essendo ciascun membro della brigata assorto nei propri dolori. La signora Pott si rammaricava per la perdita di un vagheggino; il signor Pott pel fiero impegno manifestato di pigliare l’Indipendente a scudisciate; e il signor Winkle per essersi cacciato in quel ginepraio. Per buona sorte mezzogiorno era vicino, sicchè dopo molti addii e molte promesse di ritorno, ei si tolse di là.
— Se torna, — pensò il signor Pott, mentre si ritirava nello studio dove preparava i suoi fulmini, — se torna, lo avveleno.
— Se torno, — pensava per conto suo il signor Winkle mentre s’incamminava al Paone d’argento, — se torno e mi mischio di nuovo con questa gente, voglio essere io il frustato, ecco!
Gli amici erano pronti, la diligenza all’ordine, e di lì a mezz’ora si trovarono in viaggio su quella medesima strada per la quale il signor Pickwick e Sam erano testè passati e della quale, avendone già detto qualche cosa, non crediamo opportuno riferir qui la bella e poetica descrizione del signor Snodgrass.
Erano aspettati dal signor Weller alla porta dell’Angelo e da lui furono introdotti nell’appartamento del signor Pickwick, dove, con non poca sorpresa dei signori Winkle e Snodgrass e non poco imbarazzo del signor Tupman, si trovarono di fronte al vecchio Wardle e al signor Trundle.
— Come si va? — domandò il vecchio, stringendo la mano del signor Tupman. — Via, lasciate stare il sentimento, non ci pensate più; non c’è che fare, bambino mio. Per amor suo, avrei voluto che ve l’aveste pigliata voi; per amor vostro, sono contentissimo che non l’abbiate fatto. Un giovinotto come voi troverà prima o dopo il fatto suo, eh?
E con questa consolazione, il vecchio Wardle stazzonò sulle spalle il signor Tupman e rise cordialmente.
— E come ve la passate voi altri? — aggiunse poi stringendo le mani ai signori Snodgrass e Winkle. — Appunto dicevo a Pickwick che vi vogliamo tutti con noi a Natale. Avremo degli sponsali, degli sponsali sul serio questa volta.
— Degli sponsali! — esclamò, facendosi pallidissimo, il signor Snodgrass.
— Sicuro, uno sposalizio. Ma non vi spaventate, vi prego; non si tratta che di Trundle qui con Bella.
— Ah sì? — disse il signor Snodgrass sollevato da un dubbio tormentoso che gli era piombato sul cuore. — Mi rallegro tanto, signore. E come sta Joe?
— Oh, benissimo, si capisce, — rispose il vecchio Wardle. — Dorme come sempre.
— E vostra madre, e il curato, e tutti gli altri?
— Egregiamente.
— Dov’è, — domandò, facendo uno sforzo, il signor Tupman, — E dov’è.... lei? — e si volse in là coprendosi gli occhi con la mano.
— Lei! — ripetette con una scrollatina del capo il vecchio signore. — Lei chi? lei, volete dire?
Il signor Tupman con un cenno diè ad intendere che la sua domanda si riferiva alla tradita Rachele.
— Oh, è andata via. Sta con una parente, molto lontano da noi. Non poteva più soffrire la presenza delle ragazze, capite; sicchè la lasciai andare.... Orsù, ecco il desinare. Dovete aver fame dopo il viaggio. Io ne ho, senza aver viaggiato niente affatto. A tavola dunque.
Piena giustizia fu resa al desinare; e quando, dopo che fu sparecchiato, se ne stavano tutti intorno alla tavola, il signor Pickwick riferì, fra l’intenso orrore e l’indignazione dei suoi seguaci, l’avventura di cui era stato vittima e la riuscita dei bassi artifici del diabolico Jingle. — Ed ora, — conchiuse il signor Pickwick, — se cammino un po’ zoppo, lo debbo a quell’attacco di reumatismo preso nel giardino.
— Io pure ho avuto un certo che d’avventura, — disse sorridendo il signor Winkle; e, dietro richiesta del signor Pickwick, narrò minutamente della maligna insinuazione dell’Indipendente d’Eatanswill, dello sdegno del loro amico il direttore, e della scena che n’era seguita.
Il signor Pickwick, durante la narrazione, si rannuvolò; del che essendosi accorti i suoi amici, serbarono, quando il signor Winkle fu giunto alla conclusione, il più profondo silenzio. Il signor Pickwick diè sulla tavola solennemente col pugno chiuso e parlò nei termini seguenti:
— Non è egli forse maraviglioso, — così disse il signor Pickwick, — che noi sembriamo destinati a non metter piede in casa di alcuno senza tirargli addosso un qualche guaio? Non attesta ciò, domando io, l’indiscrezione, o peggio ancora la nequizia — (e tocca a me il dirlo!) — dei miei seguaci, che, sotto qualunque tetto trovino asilo, debbano disturbare la pace dell’animo e la felicità di qualche donna troppo confidente? Non è forse, dico....
Tutto mena a credere che il signor Pickwick sarebbe di questo passo andato avanti un bel pezzo, se l’entrata di Sam con una lettera non gli avesse rotto in bocca il discorso eloquente. Ei si passò il fazzoletto sulla fronte, si tolse gli occhiali, li pulì, se li ripose; e la sua voce avea ripreso l’usata dolcezza di tono, quando domando:
— Che avete costì, Sam?
— Son passato proprio adesso per la posta e ho trovato questa lettera che aspettava lì da due giorni. È sigillata con un’ostia e il carattere della soprascritta è una bellezza.
— Non conosco questo carattere, — disse il signor Pickwick, aprendo la lettera. — Misericordia! che è questo? Non può essere che uno scherzo; è... è impossibile che sia vero.
— Che è? che è? — domandarono tutti ad una voce.
— Nessun morto, eh? — fece il vecchio Wardle; allarmato all’espressione di orrore che si dipingeva sul volto del signor Pickwick.
Il signor Pickwick non rispose, ma gettando la lettera attraverso la tavola e pregando il signor Tupman di leggerla ad alta voce, si abbandonò sulla spalliera della sua seggiola, con uno sguardo di stupore e di smarrimento che facea paura vedere.
Il signor Tupman, con voce tremante, lesse la lettera, di cui segue la copia:
Freeman’s Court, 20 agosto, 1827.
(Bardell contro Pickwick).
Signore,
Avendo ricevuto rnandato dalla signora Marta Bardell d’iniziare azione contro di voi per mancata promessa di matrimonio, per la quale la parte lesa fa ammontare la cifra dei danni a lire sterline 1500, ci facciamo un dovere d’informarvi che l’atto relativo è stato spiccato contro di voi nella Corte di Common Pleas; e nel tempo stesso preghiamo volerci comunicare, a volta di corriere, il nome del vostro avvocato a Londra, cui sarà affidata la trattazione di questo affare.
Con profonda stima ci sottoscriviamo, signore.
Devotissimi
DODSON e FOGG.
Al signor SAMUELE PICKWICK.
C’era qualche cosa di così solenne nel muto stupore con cui ciascuno guardò il suo vicino e poi il signor Pickwick, che tutti parevano avere paura di parlare. Il silenzio fu rotto finalmente dal signor Tupman.
— Dodson e Fogg, — ei ripetette meccanicamente.
— Bardell e Pickwick, — disse il signor Snodgrass meditabondo.
— La pace dell’animo e la felicità di qualche donna troppo confidente, — mormorò il signor Winkle, in aria astratta.
— È una cospirazione, — disse il signor Pickwick, ricuperando alla fine la facoltà della parola; — una bassa cospirazione fra questi due avvocati rapaci, Dodson e Fogg. La signora Bardell non era capace di ciò; non poteva aver cuore di farlo; non ne aveva alcun fondamento. Ridicolo, ridicolo.
— In quanto al suo cuore, — disse Wardle sorridendo, — voi naturalmente siete il giudice migliore. Io non voglio mica scoraggiarvi, ma mi pare che, in materia di diritto, Dodson e Fogg siano molto migliori giudici di quel che possa essere alcuno di noi.
— È un basso tentativo per estorquere del danaro, — disse il signor Pickwick.
— Spero che così sia, — disse Wardle con una tosserella secca.
— Chi mai mi ha inteso rivolgerle la parola altrimenti che da dozzinante a padrona di casa ? — continuò con grande veemenza il signor Pickwick. — Chi mai mi ha veduto con lei? Nemmeno i miei amici qui....
— Eccetto una, volta, — disse il signor Tupman.
Il signor Pickwick mutò di colore.
— Ah! — fece Wardle. — Questo è importante. Voglio credere che non vi fosse nulla di sospetto?
Il signor Tupman diè una timida occhiata al suo condottiero,
— Veramente, — disse, — nulla vi era di sospetto; ma, non so come la cosa accadesse, certo è, badiamo, che la signora s’era abbandonata fra le sue braccia.
— Potenze celesti! — esclamò il signor Pickwick colpito dal ricordo di quella scena. — Che terribile esempio della forza delle circostanze! È vero, è vero.
— Ed il nostro amico la consolava, — aggiunse il signor Winkle con una certa punta di malizia.
— Oh, oh! — proruppe Wardle; — per un caso dove di sospetto non c’è nulla, mi pare un po’ strana la cosa;... eh, Pickwick? Ah briccone, briccone!
E rise così forte da far tremare i bicchieri sulla credenza.
— Che tremendo complesso di indizi! — esclamò il signor Pickwick, facendo delle palme sostegno al mento. — Winkle, Tupman, perdonatemi, vi prego, le osservazioni che v’ho fatte testè. Siamo tutti vittime delle circostanze ed io son la vittima maggiore.
Fatte le quali scuse, il signor Pickwick si strinse la fronte fra le mani e ruminò; mentre Wardle dal canto suo volgeva in giro alla brigata certi suoi cenni e certe strizzatine d’occhio molto eloquenti.
— Io però metterò tutto in chiaro, — disse ad un tratto il signor Pickwick alzando il capo e dando un pugno sulla tavola. — Vedrò questi signori Dodson e Fogg. Domani vado a Londra.
— Domani no, — disse Wardle; — siete ancora un po’ azzoppato.
— Doman l’altro allora.
— Doman l’altro è il primo di Settembre, e voi vi siete impegnato a venir con noi almeno fino alla tenuta di sir Geoffrey Manning; dovete far colazione con noi, se non venite a caccia.
— Sarà dunque pel giorno appresso, — conchiuse il signor Pickwick. — Giovedì. Sam.
— Signore?
— Prendete due posti d’imperiale per Londra, giovedì mattina, per voi e per me.
— Benissimo, signore.
Il signor Weller lasciò la camera e se n’andò lentamente per fare la sua commissione, con le mani in saccoccia e gli occhi bassi.
— Curioso il mio principale! — diceva tra sè e sè il signor Weller andando per la sua via. — Che idea quella di attaccarsi a cotesta signora Bardell, e con un bambino per giunta! Accade sempre così con questi vecchiotti, che a guardarli in viso paiono la serietà in persona. Non l’avrei creduto, però, davvero che non l’avrei creduto.
E moralizzando su questo verso, il signor Samuele Weller volse i suoi passi all’ufficio delle diligenze.