< Il Conte di Carmagnola < Atto secondo
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Atto secondo - Scena I Atto secondo - Scena III

SCENA II.

SFORZA, FORTEBRACCIO, e detti.

malatesti.


                              Ditelo, o Sforza,
E Fortebraccio; voi giungete in tempo:
Ditelo voi, come trovaste il campo?
Che possiamo sperarne?


sforza.


                                             Ogni gran cosa,
Quando gli ordini udir, quando lor parve
Che una battaglia si prepari, io vidi
Un feroce tripudio: alla chiamata
Esultando venièno, e col sorriso
Si fean cenno a vicenda. E quando io corsi
Entro le file, ad ogni schiera un grido
S’alzava; ognuno in me fissando il guardo
Parea dicesse: o condottier, v’intendo.

fortebraccio.


E tai son tutti: allor ch’io venni a’ miei,
Tutti mi furo intorno. Un mi dicea:
Quando udrem le trombe? Altri: noi siamo
Stanchi d’esser beffati; e tutti ad una
La battaglia chiedean, come già certi
Dell’ottenerla, e dubbi sol del quando.
Ebben, compagni, io rispondea, se il segno
Presto s’udrà, mi date voi parola
Di vincere con me? Gli elmi levati
Sull’aste, un grido universal d’assenso
Fu la risposta, ond’io gioisco ancora.
E a tai soldati ci venia proposto
D’intimar la ritratta? e che alle mani,
Che già posate sulle spade aspettano
L’ordin di sguainarle e di ferire,
Si comandasse di levar le tende?
Chi fronte avria di presentarsi ad essi
Con tal ordine ormai?

pergola.


                                        Dal parlar vostro
Un novo modo di milizia imparo;
Che i soldati comandino, e che i duci
Ubbidiscano.

fortebraccio.


                         O Pergola, i soldati
A cui capo son io, fur da quel Braccio
Disciplinati, che per tutto ancora
Con meraviglia e con terror si noma;
E non son usi a sostener gli scherni
Dell’inimico.

pergola.


                         Ed io conduco genti
Da me, qual ch’io mi sia, disciplinate;
E sono avvezze ad aspettar la voce
Del condottiero, ed a fidarsi in lui.


malatesti.


Dimentichiamo or noi che numerati
Sono i momenti, e non ne resta alcuno
Per le gare private?


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