< Il Giorno
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Il Mattino seconda edizione
Il Mezzogiorno seconda edizione

Il Mattino (seconda edizione)

Sorge il mattino in compagnia dell'alba
dinanzi al sol che di poi grande appare
su l'estremo orizzonte a render lieti
gli animali e le piante e i campi e l'onde.
Allora il buon villan sorge dal caro5
letto cui la fedel moglie e i minori
suoi figlioletti intiepidìr la notte:
poi sul dorso portando i sacri arnesi
che prima ritrovò Cerere o Pale
move seguendo i lenti bovi, e scote10
lungo il picciol sentier dai curvi rami
fresca rugiada che di gemme al paro
la nascente del sol luce rifrange.
Allora sorge il fabbro, e la sonante
officina riapre, e all'opre torna15
l'altro dì non perfette; o se di chiave
ardua e ferrati ingegni all'inquieto
ricco l'arche assecura; o se d'argento
e d'oro incider vuol gioielli e vasi
per ornamento a nova sposa o a mense.20
  Ma che? Tu inorridisci e mostri in capo
qual istrice pungente irti i capelli
al suon di mie parole? Ah il tuo mattino
signor questo non è. Tu col cadente
sol non sedesti a parca cena, e al lume25
dell'incerto crepuscolo non gisti
ieri a posar qual nei tuguri suoi
entro a rigide coltri il vulgo vile.
A voi celeste prole a voi concilio
almo di semidei altro concesse30
Giove benigno: e con altr'arti e leggi
per novo calle a me guidarvi è d'uopo.
Tu tra le veglie e le canore scene
e il patetico gioco oltre più assai
producesti la notte: e stanco alfine35
in aureo cocchio col fragor di calde
precipitose rote e il calpestio
di volanti corsier lunge agitasti
il queto aere notturno; e le tenèbre
con fiaccole superbe intorno apristi40
siccome allor che il siculo terreno
da l'uno a l'altro mar rimbombar féo
Pluto col carro a cui splendeano innanzi
le tede de le Furie anguicrinite.
Tal ritornasti ai gran palagi: e quivi45
cari conforti a te porgea la mensa
cui ricoprien prurigginosi cibi
e licor lieti di francesi colli
e d'ispani e di toschi o l'ungarese
bottiglia a cui di verdi ellere Bromio50
concedette corona, e disse «Or siedi
de le mense reina». Alfine il Sonno
ti sprimacciò di propria man le cóltrici
molle cedenti, ove te accolto il fido
servo calò le ombrifere cortine:55
e a te soavemente i lumi chiuse
il gallo che li suole aprire altrui.
Dritto è però che a te gli stanchi sensi
dai tenaci papaveri Morfeo
prima non solva che già grande il giorno60
fra gli spiragli penetrar contenda
de le dorate imposte; e la parete
pingano a stento in alcun lato i rai
del sol ch'eccelso a te pende sul capo.
  Or qui principio le leggiadre cure65
denno aver del tuo giorno: e quindi io deggio
sciorre il mio legno, e co' precetti miei
te ad alte imprese ammaestrar cantando.
Già i valetti gentili udìr lo squillo
de' penduli metalli a cui da lunge70
moto improvviso la tua destra impresse;
e corser pronti a spalancar gli opposti
schermi a la luce; e rigidi osservaro
che con tua pena non osasse Febo
entrar diretto a saettarte i lumi.75
Ergi dunque il bel fianco, e sì ti appoggia
alli origlier che lenti degradando
all'omero ti fan molle sostegno;
e coll'indice destro lieve lieve
sovra gli occhi trascorri; e ne dilegua80
quel che riman de la cimmeria nebbia;
poi de' labbri formando un picciol arco
dolce a vedersi tacito sbadiglia.
Ahi se te in sì vezzoso atto mirasse
il duro capitan quando tra l'arme85
sgangherando la bocca un grido innalza
lacerator di ben costrutti orecchi,
s'ei te mirasse allor, certo vergogna
avria di sé più che Minerva il giorno
che di flauto sonando al fonte scorse90
il turpe aspetto de le guance enfiate.
  Ma il damigel ben pettinato i crini
Ecco s'innoltra; e con sommessi accenti
chiede qual più de le bevande usate
sorbir tu goda in preziosa tazza.95
Indiche merci son tazza e bevande:
scegli qual più desii. S’oggi a te giova
porger dolci allo stomaco fomenti
onde con legge il natural calore
v’arda temprato, e al digerir ti vaglia,100
tu il cioccolatte eleggi, onde tributo
ti diè il Guatimalese e il Caribeo
che di barbare penne avvolto ha il crine:
ma se noiosa ipocondria ti opprime,
o troppo intorno a le divine membra105
adipe cresce, de’ tuoi labbri onora
la nettarea bevanda ove abbronzato
arde e fumica il grano a te d’Aleppo
giunto e da Moca che di mille navi
popolata mai sempre insuperbisce.110
Certo fu d’uopo che dai prischi seggi
uscisse un regno, e con audaci vele
fra straniere procelle e novi mostri
e teme e rischi ed inumane fami
superasse i confin per tanta etade115
inviolati ancora: e ben fu dritto
se Pizzarro e Cortese umano sangue
più non stimàr quel ch’oltre l’oceàno
scorrea le umane membra; e se tonando
e fulminando alfin spietatamente120
balzaron giù dai grandi aviti troni
re messicani e generosi Incassi,
poi che nuove così venner delizie
o gemma degli eroi al tuo palato.
  Cessi ‘l cielo però che, in quel momento125
che le scelte bevande a sorbir prendi,
servo indiscreto a te improvviso annunci
o il villano sartor che non ben pago
d’aver teco diviso i ricchi drappi,
oso sia ancor con polizza infinita130
fastidirti la mente; o di lugùbri
panni ravvolto il garrulo forense
cui de’ paterni tuoi campi e tesori
il periglio s’affida; o il tuo castaldo
che già con l’alba a la città discese135
bianco di gelo mattutin la chioma.
Così zotica pompa i tuoi maggiori
al dì nascente si vedean d'intorno:
ma tu gran prole in cui si féo scendendo
e più mobile il senso e più gentile140
ah sul primo tornar de’ lievi spirti
all’uficio diurno ah non ferirli
d’imagini sì sconce! Or come i detti
di costor soffrirai barbari e rudi;
come il penoso articolar di voci145
smarrite titubanti al tuo cospetto;
e tra l’obliquo profondar d’inchini
del calzar polveroso in su i tapeti
le impresse orme indecenti? Ahimè che fatto
il salutar licore agro e indigesto150
ne le viscere tue te allor faria
e in casa e fuori e nel teatro e al corso
ruttar plebeiamente il giorno intero!
  Non fia che attenda già ch’altri lo annunci,
gradito ognor benché improvviso, il dolce155
mastro che il tuo bel piè come a lui piace
guida e corregge. Egli all’entrar s’arresti
ritto sul limitare, indi elevando
ambe le spalle qual testudo il collo
contragga alquanto, e ad un medesmo tempo160
il mento inchini, e con l’estrema falda
del piumato cappello il labbro tocchi.
E non men di costui facile al letto
del mio signor t'innoltra o tu che addestri
a modular con la flessibil voce165
soavi canti; e tu che insegni altrui
come vibrar con maestrevol arco
sul cavo legno armoniose fila.
Né la squisita a terminar corona
che segga intorno a te manchi o signore170
il precettor del tenero idioma
che da la Senna de le Grazie madre
pur ora a sparger di celeste ambrosia
venne all’Italia nauseata i labbri.
All’apparir di lui l’itale voci175
tronche cedano il campo al lor tiranno:
e a la nova inefabil melodia
de’ sovrumani accenti odio ti nasca
più grande in sen contro a le bocche impure
ch’osan macchiarse ancor di quel sermone180
onde in Valchiusa fu lodata e pianta
già la bella francese; e i culti campi
all’orecchio de i re cantati furo
lungo il fonte gentil da le bell’acque.
Or te questa o signor leggiadra schiera185
al novo dì trattenga: e di tue voglie
irresolute ancora or quegli or questi
con piacevol discorso il vano adempia,
mentre tu chiedi lor tra i lenti sorsi
dell’ardente bevanda a qual cantore190
nel vicin verno si darà la palma
sovra le scene; e s’egli è il ver che rieda
l’astuta Frine che ben cento folli
milordi rimandò nudi al Tamigi;
o se il brillante danzator Narcisso195
torni pur anco ad agghiacciare i petti
de’ palpitanti italici mariti.
Così poi gran pezzo ai novi albori
del tuo mattin teco scherzato fia
non senza aver da te rimosso in prima200
l’ipocrita pudore e quella schifa
che le accigliate gelide matrone
chiaman modestia, alfine o a lor talento
o da te congedati escan costoro.
Doman quindi potrai o l’altro forse205
giorno ai precetti lor porgere orecchio
se a' bei momenti tuoi cure minori
porranno assedio. A voi divina schiatta
più assai che a noi mortali il ciel concesse
domabile midollo entro al cerèbro,210
sì che breve lavoro unir vi puote
ampio tesor d’ogni scienza ed arte.
Il vulgo intanto a cui non lice il velo
aprir de’ venerabili misteri
fie pago assai poi che vedrà sovente215
ire o tornar dal tuo palagio i primi
d’arte maestri; e con aperte fauci
stupefatto berà le tue sentenze.
  Ma già vegg’io che le oziose lane
premer non sai più lungamente: e in vano220
te l’ignavo tepor lusinga e molce,
però che te più gloriosi affanni
aspettan l’ore ad illustrar del giorno.
O voi dunque del primo ordine servi
che di nobil signor ministri al fianco225
siete incontaminati, or dunque voi
al mio divino Achille al mio Rinaldo
l’armi apprestate. Ed ecco in un baleno
i damigelli a’ cenni tuoi star pronti.
Già ferve il gran lavoro. Altri ti veste230
la serica zimarra, ove bei fregi
diramansi chinesi; altri se il chiede
più la stagione a te le membra copre
di stese infino al piè tiepide pelli;
questi al fianco ti cinge il bianco lino235
che sciorinato poi cada e difenda
i calzonetti; e quei d’alto curvando
il cristallino rostro in su le mani
ti versa onde odorate, e da le mani
in limpido bacin sotto le accoglie;240
quale il sapon del redivivo muschio
olezzante all’intorno; e qual ti porge
il macinato di quell’arbor frutto
che a Rodope fu già vaga donzella,
e piagne in van sotto mutate spoglie245
Demofoonte ancor Demofoonte;
un di soavi essenze intrisa spugna
onde tergere i denti; e l’altro appresta
onde imbiancar le guance util licore.
  Assai signore a te pensasti: or volgi250
l’alta mente per poco ad altri obbietti
non men degni di te. Sai che compagna
con cui partir de la giornata illustre
i travagli e le glorie il ciel destina
al giovane signore. Impallidisci?255
Ahi non parlo di nozze. Antiquo e vieto
dottor sarei se così folle io dessi
a te consiglio. Di tant’alte doti
già non orni così lo spirto e i membri
perché in mezzo a la fulgida carriera260
tu il tuo corso interrompa e, fuora uscendo
di cotesto a ragion detto bel mondo,
in tra i severi di famiglia padri
relegato ti giacci a nodi avvinto
di giorno in giorno più noiosi e fatto265
ignobil fabbro de la razza umana.
D’altra parte il marito ahi quanto spiace,
e lo stomaco move ai delicati
del vostr’orbe felice abitatori
qualor de’ semplicetti avoli nostri270
portar osa in ridevole trionfo
la rimbambita fe’ la pudicizia
severi nomi. E qual non suole a forza
entro a’ melati petti eccitar bile
quando i computi vili del castaldo275
le vendemmie i ricolti i pedagoghi
di que’ sì dolci suoi bambini altrui
gongolando ricorda; e non vergogna
di mischiar cotai fole a peregrini
subbietti a nuove del dir forme a sciolti280
da volgar fren concetti, onde s’avviva
de’ begli spirti il conversar sublime.
Non però tu senza compagna andrai;
ché tra le fide altrui giovani spose
una te n’offre inviolabil rito285
del bel mondo onde sei parte sì cara.
  Tempo fu già che il pargoletto Amore
dato era in guardia al suo fratello Imene;
tanto la madre lor temea che il cieco
incauto nume perigliando gisse290
misero e solo per oblique vie;
e che, bersaglio a gl’indiscreti colpi
di senza guida e senza freno arciero,
immaturo al suo fin corresse il seme
uman che nato è a dominar la terra.295
Quindi la prole mal secura all’altra
in cura dato avea sì lor dicendo:
«Ite o figli del par; tu più possente
il dardo scocca, e tu più cauto il reggi
a certa meta». Così ognor congiunta300
iva la dolce coppia, e in un sol regno
e d’un nodo comun l’alme strignea.
Allora fu che il sol mai sempre uniti
vedea un pastore ed una pastorella
starsi al prato a la selva al colle al fonte:305
e la suora di lui vedeali poi
uniti ancor nel talamo beato
ch’ambo gli amici numi a piene mani
gareggiando spargean di gigli e rose.
Ma che non puote anco in divini petti,310
se mai s’accende, ambizion d’impero?
Crebber l’ali ad Amor, crebbe l’ardire;
onde a brev’aere prima indi securo
a vie maggior fidossi, e fiero alfine
entrò nell’alto, e il grande arco crollando315
e il capo risonar fece a quel moto
il duro acciar che a tergo la faretra
gli empie, e gridò: «Solo regnar vogl’io».
Disse, e volto a la madre: «Amore adunque,
il più possente in fra gli dei, il primo320
di Citerea figliuol, ricever leggi,
e dal minor german ricever leggi,
vile alunno anzi servo? Or dunque Amore
non oserà fuor ch’una unica volta
fiedere un’alma come questo schifo325
da me pur chiede? E non potrò giammai
da poi ch’io strinsi un laccio anco disciorlo
a mio talento e, se m’aggrada, un altro
stringerne ancora? E lascerò pur ch’egli
di suoi unguenti impece a me i miei dardi,330
perché men velenosi e men crudeli
scendano ai petti? Or via, perché non togli
a me da le mie man quest’arco e queste
armi da le mie spalle, e ignudo lasci
quasi rifiuto degli dei Cupido?335
Oh il bel viver che fia quando tu solo
regni in mio loco! Oh il bel vederti, lasso!
Studiarti a torre da le languid’alme
la stanchezza e il fastidio, e spander gelo
di foco in vece! Or genitrice intendi:340
vaglio e vo regnar solo. A tuo piacere
tra noi parti l’impero, ond’io con teco
abbia omai pace; e in compagnìa d’Imene
me non veggan mai più le umane genti».
Amor qui tacque; e minaccioso in atto345
parve all’idalia dea chieder risposta.
Ella tenta placarlo, e preghi e pianti
sparge ma in van; tal ch’ai due figli volta
con questo dir pose al contender fine:
«Poi che nulla tra voi pace esser puote,350
si dividano i regni: e perché l’uno
sia dall’altro fratello ognor disgiunto
sien diversi tra voi e il tempo e l’opra.
Tu che di strali altero a fren non cedi
l’alme ferisci, e tutto il giorno impera;355
e tu che di fior placidi hai corona
le salme accoppia, e con l’ardente face
regna la notte». Or quindi almo signore
venne il rito gentil che ai freddi sposi
le tenebre concede e de le spose360
le caste membra; e a voi beata gente
e di più nobil mondo il cor di queste
e il dominio del dì largo destina.
  Dunque ascolta i miei detti, e meco apprendi
quai tu deggia al mattin cure a la bella365
che spontanea o pregata a te si diede
in tua dama quel dì lieto che a fida
carta, né senza testimoni, furo
a vicenda commessi i patti santi
e le condizion del caro nodo.370
Già la dama gentile i vaghi rai
al novo giorno aperse; e suo primiero
pensier fu dove teco ir più convenga
a vegliar questa sera; e gravemente
consultò con lo sposo a lei vicino,375
o a baciarle la man pur dianzi ammesso.
Ora è tempo o signor che il fido servo
e il più accorto tra’ tuoi voli al palagio
di lei chiedendo se tranquilli sonni
dormìo la notte, e se d’immagin liete380
le fu Mòrfeo cortese. È ver che ieri
al partir l’ammirasti in viso tinta
di freschissime rose; e più che mai
viva e snella balzar teco dal cocchio;
e la vigile tua mano per vezzo385
ricusar sorridendo allor che l’ampie
scale salì del maritale albergo:
ma ciò non basti ad acquetarti, e mai
non obliar sì giusti ufici. Ahi quanti
geni malvagi fra l’orror notturno390
godono uscire, ed empier di perigli
la placida quiete de’ viventi!
Poria, tolgalo il cielo, il picciol cane
con latrato improvviso i cari sogni
troncar de la tua dama; ond’ella, scossa395
da sùbito capriccio, a rannicchiarse
astretta fosse di sudor gelato
e la fronte bagnando e il guancial molle.
Anco poria colui che sì de’ tristi
come de’ lieti sogni è genitore400
crearle in mente di nemiche idee
in un congiunte orribile chimera;
tal che agitata e in ansioso affanno
gridar tentasse, e non però potesse
aprire ai gridi tra le fauci il varco.405
Sovente ancor de la passata sera
la perduta nel gioco aurea moneta
non men che al cavalier suole a la dama
lunga vigilia cagionar; talora
nobile invidia de la bella amica410
vagheggiata da molti, e talor breve
gelosia n’è cagione. A questo aggiungi
gl’importuni mariti i quali nel capo
ravvolgendosi ancor le viete usanze,
poi che cessero ad altri il giorno, quasi415
aggian fatto gran cosa, aman d’Imene
con superstizion serbare i dritti,
e dell’ombra notturna esser tiranni,
ahi con qual noia de le caste spose
ch’indi preveggon fra non molto il fiore420
di lor fresca beltade a sé rapito.
Mentre che il fido messagger sen rieda
magnanimo signor già non starai
ozioso però. Nel campo amato
pur in questo momento il buon cultore425
suda e incallisce al vomere la mano
lieto che i suoi sudor ti fruttin poi
dorati cocchi e pellegrine mense.
Ora per te l’industre artier sta fiso
allo scarpello all’asce al subbio all’ago; 430
ed ora a tuo favor contende o veglia
il ministro di Temi. Ecco te pure
la tavoletta or chiama. Ivi i bei pregi
de la natura accrescerai con l’arte,
ond’oggi, uscendo, del beante aspetto435
beneficar potrai le genti, e grato
ricompensar di sue fatiche il mondo.
  Ogni cosa è già pronta. All’un de’ lati
crepitar s’odon le fiammanti brage
ove si scalda industrioso e vario440
di ferri arnese a moderar del fronte
gl’indocili capei. Stuolo d’Amori
invisibil sul foco agita i vanni,
e per entro vi soffia alto gonfiando
ambe le gote. Altri di lor v’appressa445
pauroso la destra; e prestamente
ne rapisce un dei’ferri: altri rapito
tenta com’arda in su l’estrema cima
sospendendol dell’ala; e cauto attende
pur se la piuma si contragga o fume: 450
altri un altro ne scote; e de le ceneri
fuligginose il ripulisce e terge.
Tali a le vampe dell’etnèa fucina,
sorridente la madre, i vaghi Amori
eran ministri all’ingegnoso fabbro: 455
e sotto i colpi del martel frattanto
l’elmo sorgea del fondator latino.
All’altro lato con la man rosata
Como e di fiori inghirlandato il crine
i bissi scopre ove di idali arredi460
almo tesor la tavoletta espone.
Ivi e nappi eleganti e di canori
cigni morbide piume; ivi raccolti
di lucide odorate onde vapori;
ivi di polvi fuggitive al tatto465
color diversi o ad imitar d’Apollo
l’aurato biondo o il biondo cenerino
che de le sacre Muse in su le spalle
casca ondeggiando tenero e gentile.
Che se a nobil eroe le fresche labbra470
repentino spirar di rigid’aura
offese alquanto, v’è stemprato il seme
de la fredda cucurbita; e se mai
pallidetto ei si scorga, è pronto all’uopo
arcano agli altri eroi vago cinabro. 475
Né, quando a un semideo spuntar sul volto
pustula temeraria osa pur fosse,
multiforme di nei copia vi manca,
ond’ei l’asconda in sul momento, ed esca
più periglioso a saettar coi guardi480
le belle inavvedute, a guerrier pari
che, già poste le bende a la ferita,
più glorioso e furibondo insieme
sbaragliando le schiere entra nel folto.
  Ma già velocemente il mio signore485
tre volte e quattro il gabinetto scorse
col crin disciolto e su gli omeri sparso,
quale a Cuma solea l’orribil maga
quando, agitata dal possente nume,
vaticinar s’udia. Così dal capo490
evaporar lasciò degli oli sparsi
il nocivo fermento e de le polvi
che roder gli porien la molle cute,
o d’atroci emicranie a lui lo spirto
trafigger lungamente. Or ecco avvolto495
tutto in candidi lini a la grand’opra
e più grave del dì s’appresta e siede.
Nembo d’intorno a lui vola d’odori
che a le varie manteche ama rapire
l’aura vagante lungo i vasi ugnendo500
le leggerissim’ale di farfalla:
e lo speglio patente a lui dinanzi
altero sembra raccor nel seno
l’imagin diva; e stassi a gli occhi suoi
severo esplorator de la tua mano505
o di bel crin volubile architetto.
  O di bel crin volubile architetto
tu pria chiedi all’eroe qual più gli aggrade
sparger al crin, se i gelsomini o il biondo
fior d’arancio piuttosto o la giunchiglia510
o l’ambra preziosa agli avi nostri.
Ma se la sposa altrui cara all’eroe
del talamo nuzial si lagna, e scosse
pur or da lungo peso i casti lombi,
ah fuggi allor tutti gli odori, ah fuggi; 515
ché micidial potresti a un sol momento
più vite insidiar: semplici sieno
i tuoi balsami allor, né oprarli ardisci
pria che di lor deciso aggian le nari
del mio signore e tuo. Pon mano poi520
al pettin liscio, e coll’ottuso dente
lieve solca le chiome; indi animoso
le turba e le scompiglia; e alfin da quella
alta confusione traggi e dispiega,
opra di tua gran mente, ordin superbo. 525
Io breve a te parlai; ma il tuo lavoro
breve non fia però; né al termin giunto
prima sarà che da’ più strani eventi
s’involva o tronchi all’alta impresa il filo.
Fisa i guardi a lo speglio, e là sovente530
il mio signor vedrai morder le labbra
impaziente, ed arrossir nel volto.
Sovente ancor, se men dell’uso esperta
parrà tua destra, del convulso piede
udrai lo scalpitar breve e frequente, 535
non senza un tronco articolar di voce
che condanni e minacci. Anco t’aspetta
veder talvolta il cavalier sublime
furiando agitarsi, e destra e manca
porsi a la chioma, e dissipar con l’ugne540
lo studio di molt’ore in un momento.
Che più? Se per tuo male un dì vaghezza
d’accordar ti prendesse al suo sembiante
gli edifici del capo, e non curassi
ricever leggi da colui che venne545
pur ier di Francia, ah quale atroce folgore,
meschino! allor ti penderia sul capo?
Tu allor l’eroe vedresti ergers’in piedi,
e per gli occhi versando ira e dispetto
mille strazi imprecarti, e scender fino550
ad usurpar le infami voci al vulgo
per farti onta maggiore, e di bastone
il tergo minacciarti, e violento
rovesciare ogni cosa, al suol spargendo
rotti cristalli e calamistri e vasi555
e pettini ad un tempo. In simil guisa,
se del tonante all’ara o de la dea
che ricovrò dal Nilo il turpe fallo
tauro spezzava i raddoppiati nodi
e libero fuggia, vedeansi a terra560
cader tripodi tazze bende scuri
litui coltelli, e d’orridi mugiti
commosse rimbombar le arcate volte,
e d’ogni lato astanti e sacerdoti
pallidi all’urto e all’impeto involarse565
del feroce animal che pria sì queto
gia di fior cinto, e sotto a la man sacra
umiliava le dorate corna.
Tu non pertanto coraggioso e forte
dura, e ti serba a la miglior fortuna. 570
Quasi foco di paglia è foco d’ira
in nobil petto. Il tuo signor vedrai
mansuefatto a te chieder perdono,
e sollevarti oltr’ogni altro mortale
con preghi e scuse a niun altro concesse; 575
tal che securo sacerdote a lui
immolerai lui stesso, e pria d’ognaltro
larga otterrai del tuo lavor mercede.
  Or signore a te riedo. Ah non sia colpa
dinanzi a te s’io travviai col verso580
breve parlando ad un mortal cui degni
tu degli arcani tuoi. Sai che a sua voglia
questi ogni dì volge e governa i capi
de’ semidei più chiari: e le matrone
che dai sublimi cocchi alto disdegnano585
chinar lo sguardo a la pedestre turba,
non disdegnan sovente entrar con lui
in festevoli motti allor ch’esposti
a la sua man sono i ridenti avori
del bel collo e del crin l’aureo volume. 590
Però m’odi benigno or ch’io t’apprendo
l’ore a passar più graziose intanto
che il pettin creator doni a le chiome
leggiadra o almen non più veduta forma.
  Breve libro elegante a te dinanzi595
tra gli arnesi vedrai che l’arte aduna
per disputare a la natura il vanto
del renderti sì caro agli occhi altrui.
Ei ti lusingherà forse con liscia
purpurea pelle onde vestito avrallo600
o mauritano conciatore o siro;
e d’oro fregi delicati e vago
mutabile color che il collo imite
de la colomba v’avrà sparso intorno
squisito legator batavo o franco; 605
e forse incisa con venereo stile
vi fia serie d’immagini interposta,
lavor che vince la materia, e donde
fia che nel cor ti si ridesti e viva
la stanca di piaceri ottusa voglia. 610
Or tu il libro gentil con lenta mano
Togli, e non senza sbadigliare un poco
aprilo a caso o pur là dove il parta
tra l’uno e l’altro foglio indice nastro.
  O de la Francia Proteo multiforme, 615
scrittor troppo biasmato e troppo a torto
lodato ancor, che sai con novi modi
imbandir ne’ tuoi scritti eterno cibo
a i semplici palati, e se’ maestro
di color che a sé fingon di sapere, 620
tu appresta al mio signor leggiadri studi
con quella tua fanciulla all’Anglo infesta,
onde l’Enrico tuo vinto è d’assai,
l’Enrico tuo che in vano abbatter tenta
l’italian Goffredo ardito scoglio625
contro a la Senna d’ogni vanto altera.
Tu de la Francia onor, tu in mille scritti
celebrata da’ tuoi novella Aspasia,
Taide novella ai facili sapienti
de la gallica Atene, i tuoi precetti630
tu pur detta al mio eroe: e a lui non meno
pasci l’alto pensier tu che all’Italia,
poi che rapìrle i tuoi l’oro e le gemme,
invidiasti il fedo loto ancora
onde macchiato è il Certaldese o l’altro635
per cui va sì famoso il pazzo conte.
Questi o signore i tuoi studiati autori
fieno e mill’altri che guidaro in Francia
i bendati sultani i regi persi
e le peregrinanti arabe dame, 640
o che con penna liberale ai cani
ragion donaro e ai barbari sedili,
e dier feste e conviti e liete scene
ai polli ed alle gru d’amor maestre.
Oh pascol degno d’anima sublime! 645
oh chiara oh nobil mente! A te ben dritto
è che s’incurvi riverente il vulgo,
e gli oracoli attenda. Or chi fie dunque
sì temerario che in suo cor ti beffe
qualor, partendo da sì gravi studi, 650
del tuo paese l’ignoranza accusi,
e tenti aprir col tuo felice raggio
la gotica caliggine che annosa
siede sugli occhi a le misere genti?
Così non mai ti venga estranea cura655
questi a troncar sì preziosi istanti
in cui del pari e a la dorata chioma
splendor dai novo ed al celeste ingegno.
  Non pertanto avverrà, che tu sospenda
quindi a poco il versar de’ libri amati, 660
e che ad altro ti volga. A te quest’ora
condurrà il merciaiol che in patria or torna
pronto inventor di lusinghiere fole
e liberal di forastieri nomi
a merci che non mai varcaro i monti. 665
Tu a lui credi ogni detto. E chi vuoi ch’ose
unqua mentire ad un tuo pari in faccia?
Ei fia che venda se a te piace o cambi
mille fregi e lavori a cui la moda
di viver concedette un giorno intero670
tra le folte d’inezie illustri tasche:
poi lieto se n’andrà con l’una mano
pesante di molt’oro; e in cor gioiendo,
spregerà le bestemmie imprecatrici
e il gittato lavoro e i vani passi675
del calzolar diserto e del drappiere;
e dirà lor: «Ben degna pena avete
o troppo ancor religiosi servi
de la necessitade, antiqua è vero
madre e donna dell’arti, or nondimeno680
fatta cenciosa e vile. Al suo possente
amabil vincitor v’era assai meglio
o miseri ubbidire. Il Lusso il Lusso
oggi sol puote dal ferace corno
versar su l’arti a lui vassalle applausi685
e non contesi mai premi e ricchezze».
  L’ore fien queste ancor che a te ne vegna
il dilicato miniator di belle
che de la corte d’Amatunta uscìo
stipendiato ministro atto agli affari690
sollecitar dell’amorosa diva.
Or tu l’affretta impaziente e sprona
sì ch’a te porga il desiato avorio
che da le amate forme impresso ride,
sia che il pennel cortese ivi dispieghi695
l’alme sembianze del tuo viso, ond’aggia
tacito pasco allor che te non vede
la pudica d’altrui sposa a te cara;
sia che di lei medesma al vivo esprima
il vago aspetto; o, se ti piace, ancora700
d’altra beltà furtiva a te presenti
con più largo confin le amiche membra.
Doman fie poi che la concessa imago
entro arnese gentil per te si chiuda
con opposto cristallo ove tu faccia705
sovente paragon di tua beltade
con la beltà de la tua dama; o ai guardi
degl’invidi la tolga e in sen l’asconda
sagace tabacchiera; o a te riluca
sul minor dito in fra le gemme e l’oro; 710
o de le grazie del tuo viso desti
soavi rimembranze al braccio avvolta
dell’altrui fida sposa a cui se’ caro.
Ed ecco alfin che a le tue luci appare
l’artificio compiuto. Or cauto osserva715
se bene il simulato al ver s’adegue,
vie più rigido assai se il tuo sembiante
esprimer denno i colorati punti
che l’arte ivi dispose. Or brune troppo
a te parran le guance, or fia ch’ecceda720
mal frenata la bocca, or qual conviene
a camuso Etiòpe il naso fia.
Anco sovente d’accusar ti piaccia
il dipintor che non atteggi ardito
l’agili membra e il dignitoso busto; 725
o che mal tra le leggi a la tua forma
dia contorno o la posi o la panneggi.
È ver che tu del grande di Crotone
non conosci la scola, e mai tua destra
non abbassossi a la volgar matita730
che fu nell’altra età cara a’ tuoi pari
cui non gustate ancora eran più dolci
e più nobili cure a te serbate.
Ma che non puote quel d’ogni scienza
gusto trionfator che all’ordin vostro735
in vece di maestro il ciel concesse,
e d’onde a voi coniò le altere menti
acciò che possan dell’uman confine
oltre passar la paludosa nebbia,
e d’etere più puro abitatrici740
non fallibili scerre il vero e il bello?
Però qual più ti par loda o riprendi
non men fermo d’allor che a scranna siedi
Raffael giudicando o l’altro egregio
che del gran nome suo l’Adige onora; 745
e a le tavole ignote i noti nomi
grave comparti di color che primi
furo nell’arte. Ah s’altri è sì procace
ch’osi rider di te, costui paventi
l’augusta maestà del tuo cospetto, 750
si volga a la parete e, mentre cerca
por freno in van col morder de le labbra
a lo scrosciar de le importune risa
che scoppian da’ precordi, violenta
convulsione a lui deforme il volto, 755
e lo affoghi aspra tosse, e lo punisca
di sua temerità. Ma tu non pensa
ch’altri ardisca di te rider giammai;
e mai sempre imperterrito decidi.
  Or giunta è al fin del dotto pettin l’opra: 760
e il maestro elegante intorno spande
da la man scossa polveroso nembo,
onde a te innanzi tempo il crine imbianchi.
D’orribil piato risonar s’udìo
già la corte d’Amore. I tardi vegli765
grinzuti osàr co’ giovani nipoti
contendere di grado in faccia al soglio
del comune lor dio. Rise la fresca
gioventude animosa; e d’agri motti
libera punse la senil baldanza. 770
Gran tumulto nascea; se non che Amore,
ch’ogni diseguaglianza odia in sua corte,
a spegner mosse i perigliosi sdegni:
e a quei che militando incanutiro
suoi servi apprese a simular con arte775
i duo bei fior che in giovanile gota
educa e nudre di sua man natura:
indi fe’ cenno; e in un balen fur visti
mille alati ministri alto volando
scoter lor piume, onde fioccò leggera780
candida polve che a posar poi venne
su le giovani chiome: e in bianco volse
e il biondo e il nero e l’odiato rosso.
L’occhio così nell’amorosa reggia
più non distinse le due opposte etadi: 785
e solo vi restò giudice il tatto.
Tu pertanto o signor tu che se’ il primo
fregio ed onor dell’acidalio regno
i sacri usi ne serba. Ecco che sparsa
già da provvida man la bianca polve790
in piccolo stanzin con l’aere pugna,
e degli atomi suoi tutto riempie
egualmente divisa. Or ti fa core,
e in seno a quella vorticosa nebbia
animoso ti avventa. Oh bravo! oh forte! 795
Tale il grand’avo tuo tra il fumo e il foco
orribile di Marte furiando
gittossi allor che i palpitanti lari
de la patria difese, e ruppe e in fuga
mise l’oste feroce. Ei nondimeno800
fuligginoso il volto e d’atro sangue
asperso e di sudore e co’ capelli
stracciati ed irti de la mischia uscìo,
spettacol fero ai cittadini stessi
per sua man salvi; ove tu, assai più vago805
e leggiadro a vederse, in bianca spoglia
scenderai quindi a poco a bear gli occhi
de la cara tua patria a cui dell’avo
il forte braccio e il viso almo celeste
del nipote dovean portar salute. 810
  Non vedi omai qual con solerte mano
rechin di vesti a te pubblico arredo
i damigelli tuoi? Rodano e Senna
le tesserono a gara; e qui cucille
opulento sartor cui su lo scudo815
serpe intrecciato a forbici eleganti
il titol di monsù: né sol dà leggi
a la materia la stagion diverse,
ma qual più si conviene al giorno e all’ora
vari sono il lavoro e la ricchezza. 820
Vieni o fior degli eroi vieni; e qual suole
nel più dubbio de’ casi alto monarca
avanti al trono suo convocar lento
di satrapi concilio a cui nell’ampia
calvizie de la fronte il senno appare; 825
tal di limpidi spegli a un cerchio in mezzo
grave t’assidi, e lor sentenza ascolta.
Un giacendo al tuo piè mostri qual deggia
liscia e piana salir su per le gambe
la docil calza, un sia presente al volto, 830
un dietro al capo: e la percossa luce,
quinci e quindi tornando, a un tempo solo
tutto al giudizio de’ tuoi guardi esponga
l’apparato dell’arte. Intanto i servi
a te sudino intorno: e qual, piegate835
le ginocchia in sul suol, prono ti stringa
il molle piè di lucidi fermagli;
e qual del biondo crin che i nodi eccede,
su le schiere ondeggiando, in negro velo
i tesori raccoglia; e qual già pronto840
venga spiegando la nettarea veste.
Fortunato garzone a cui la moda
in fioriti canestri e di vermiglia
seta coperti preparò tal copia
d’ornamenti e di pompe! Ella pur ieri845
a te dono ne féo. La notte intera
faticaron per te cent’aghi e cento;
e di percossi e ripercossi ferri
per le tacite case andò il rimbombo:
ma non invan poi che di novo fasto850
oggi superbo nel bel mondo andrai;
e per entro l’invidia e lo stupore
passerai de’ tuoi pari eguale a un dio
folto bisbiglio sollevando intorno.
  Figlie de la Memoria inclite suore855
che invocate scendendo i feri nomi
de le squadre diverse e degli eroi
annoveraste ai grandi che cantaro
Achille, Enea e il non minor Buglione,
or m’è d’uopo di voi. Tropp’ardua impresa860
e insuperabil senza vostr’aita
fia ricordare al mio signor di quanti
leggiadri arnesi graverà sue vesti
pria che di sé nel mondo esca a far pompa.
Ma qual di tanti e sì leggiadri arnesi865
sì felice sarà che innanzi agli altri,
signor, venga a formar tua nobil soma?
Tutti importan del pari. Ecco l’astuccio
di pelli rilucenti ornato e d’oro
sdegnar la turba, e gli occhi tuoi primiero870
occupar di sua mole: esso a cent’usi
opportuno si vanta: e ad esso in grembo
atta agli orecchi ai denti ai peli all’ugne
vien forbita famiglia. Ai primi onori
seco s’affretta d’odorifer’onda875
pieno cristal che a la tua vita in forse
doni conforto allor che il vulgo ardisca
troppo accosto vibrar da la vil salma
fastidiosi effluvi a le tue nari.
Né men pronto di quello e all’uopo stesso880
l’imitante un cuscin purpureo drappo
reca turgido il sen d’erbe odorate
che l’aprica montagna in tuo favore
al possente meriggio educa e scalda.
Ecco vien poi da cristallina rupe885
tolto nobil vasello. Indi traluce
prezioso confetto ove agli aromi
stimolanti s’unì l’ambra o la terra
che il Giappon manda a profumar de’ grandi
l’etereo fiato, o quel che il Caramano890
fa gemer latte dall’inciso capo
de’ papaveri suoi; perché, se mai
non ben felice amor l’alma t’attrista,
lene serpendo per li membri acquete
a te gli spirti, e ne la mente induca895
lieta stupidità che mille adune
imagin dolci e al tuo desio conformi.
A tanto arredo il cannocchial succeda
e la chiusa tra l’oro anglica lente.
Quel notturno favor ti presti allora900
che al teatro t’assidi, e t’avvicini
o i piè leggeri o le canore labbra
da la scena remota; o con maligno
guardo dell’alte vai logge spiando
le abitate tenèbre; o miri altronde905
gli ognor nascenti e moribondi amori
de le tenere dame, onde s’appresti
all’eloquenza tua nel dì venturo
lunga e grave materia. A te la lente
nel giorno assista; e degli sguardi tuoi910
economa presieda; e sì li parta
che il mirato da te vada superbo,
né i mal visti accusarte osin giammai.
La lente ancor su l’occhio tuo sedendo
irrefragabil giudice condanni915
o approvi di Palladio i muri e gli archi
o di Tizian le tele: essa a le vesti
ai libri ai volti feminili applauda
severa o li dispregi: e chi del senso
comun sì privo fia che insorger osi920
contro al sentenziar de la tua lente?
Non per questa però sdegna o signore
giunto a lo speglio in gallico sermone
il vezzoso giornal, non le notate
eburnee tavolette a guardar preste925
tuoi sublimi pensier fin ch’abbian luce
doman tra i belli spirti; e non isdegna
la picciola guaina ove al tuo cenno
mille ognora stan pronti argentei spilli.
Oh quante volte a cavalier sagace930
ho vedut’io le man render beate
uno apprestato a tempo unico spillo!
Ma dove ahi dove inonorato e solo
lasci ‘l coltello a cui l’oro e l’acciaro
donàr gemina lama, e a cui la madre935
de la gemma più bella d’Anfitrite
diè manico elegante, onde il colore
con dolce variar l’iride imìta?
Verrà il tempo verrà che ne’ superbi
convivi ognaltro avanzerai per fama940
d’esimio trinciatore; e i plausi e i gridi
de’ tuoi gran pari ecciterai qualora,
pollo o fagian con le forcine in alto
sospeso, a un colpo il priverai dell’anca
mirabilmente. Or qual più resta omai945
onde colmar tue tasche inclito ingombro?
Ecco a molti colori oro distinto,
ecco nobil testuggine su cui
voluttuose imagini lo sguardo
invitan degli eroi. Copia squisita950
di fumido rapè quivi è serbata
e di spagna oleoso, onde lontana
pur come suol fastidioso, insetto
da te fugga la noia. Ecco che smaglia
cupido a te di circondar le dita955
vivo splendor di preziose anella.
Ami la pietra ove si stanno ignude
sculte le Grazie, e che il Giudeo ti fece
creder opra d’Argivi allor ch’ei chiese
tanto tesoro, e d’erudito il nome960
ti compartì prostrandosi a’ tuoi piedi?
Vuoi tu i lieti rubini? O più t’aggrada
sceglier quest’oggi l’indico adamante
là dove il lusso incantator costrinse
la fatica e il sudor di cento buoi965
che pria vagando per le tue campagne
facean sotto ai lor piè nascere i beni?
Prendi o tutti o qual vuoi; ma l’aureo cerchio
che sculto intorno è d’amorosi motti
ognor teco si vegga, e il minor dito970
premati alquanto, e sovvenir ti faccia
dell’altrui fida sposa a cui se’ caro.
Vengane alfin degli orioi gemmati,
venga il duplice pondo; e a te de l’ore
che all’alte imprese dispensar conviene975
faccia rigida prova. Ohimè che vago
arsenal minutissimo di cose
ciondola quindi, e ripercosso insieme
molce con soavissimo tintinno!
Ma v’hai tu il meglio? Ah sì, che i miei precetti980
sagace prevenisti. Ecco risplende
chiuso in breve cristallo il dolce pegno
di fortunato amor: lungi, o profani,
ché a voi tant’oltre penetrar non lice.
  Compiuto è il gran lavoro. Odi, signore, 985
sonar già intorno la ferrata zampa
de’ superbi corsier che irrequieti
ne’ grand’atri sospinge arretra e volge
la disciplina dell’ardito auriga.
Sorgi, e t’appresta a render baldi e lieti990
del tuo nobile incarco i bruti ancora.
Ma a possente signor scender non lice
da le stanze superne infin che al gelo
o al meriggio non abbia il cocchier stanco
durato un pezzo, onde l’uom servo intenda995
per quanto immensa via natura il parta
dal suo signore. Or dunque i miei precetti
io seguirò; ché varie al tuo mattino
portar dee cure il variar dei giorni:
tu dolce intanto prenderai solazzo1000
ad agitar fra le tranquille dita
dell’oriolo i ciondoli vezzosi.
  Signore, al ciel non è cosa più cara
di tua salute: e troppo a noi mortali
è il viver de’ tuoi pari util tesoro. 1005
Uopo è talor che da gli egregi affanni
t’allevi alquanto, e con pietosa mano
il teso per gran tempo arco rallente.
Tu dunque allor che placida mattina
vestita riderà d’un bel sereno1010
esci pedestre, e le abbattute membra
all’aura salutar snoda e rinfranca.
Di nobil cuoio a te la gamba calzi
purpureo stivaletto, onde giammai
non profanin tuo piè la polve o il limo1015
che l’uomo calpesta. A te s’avvolga intorno
veste leggiadra che sul fianco sciolta
sventoli andando; e le formose braccia
stringa in maniche anguste a cui vermiglio
o cilestro ermesino orni gli estremi. 1020
Del bel color che l’elitropio tigne
o pur d’oriental candido bisso
voluminosa benda indi a te fasci
la snella gola. E il crin... Ma il crin, signore,
forma non abbia ancor da la man dotta1025
dell’artefice suo; ché troppo fora,
ahi troppo grave error lasciar tant’opra
de le licenziose aure in balìa.
Né senz’arte però vada negletto
sugli omeri a cader; ma, o che natura1030
a te il nodrisca, o che da ignote fronti
il più famoso parrucchier lo involi,
e lo adatti al tuo capo, in sul tuo capo
ripiegato l’afferri e lo sospenda
con testugginei denti il pettin curvo. 1035
Ampio cappello alfin che il disco agguagli
del gran lume febeo tutto ti copra,
e allo sguardo profan tuo nume asconda.
Poi che così le belle membra ornate
con artifici negligenti avrai, 1040
esci soletto a respirar talora
i mattutini fiati: e lieve canna
brandendo con la man, quasi baleno
le vie trascorri, e premi ed urta il vulgo
che s’oppone al tuo corso. In altra guisa1045
fora colpa l’uscir; però che andriéno
mal dal vulgo distinti i primi eroi.
  Tal giorno ancora, o d’ogni giorno forse
fien qualch’ore serbate al molle ferro
che i peli a te rigermoglianti a pena1050
d’in su la guancia miete; e par che invidi
ch’altri fuor che sé solo indaghi e scopra
unqua il tuo sesso. Arroge a questo il giorno
che di lavacro universal convienti
terger le vaghe membra. È ver che allora1055
d’esser mortal dubiterai; ma innalza
tu allor la mente ai grandi aviti onori
che fino a te per secoli cotanti
misti scesero al chiaro altero sangue:
e il pensier ubbioso al par di nebbia1060
per lo vasto vedrai aere smarrirsi
ai raggi de la gloria onde t’investi;
e di te pago sorgerai qual pria
gran semideo che a sé solo somiglia.
Fama è così che il dì quinto le fate1065
loro salma immortal vedean coprirsi
già d’orribili scaglie, e in feda serpe
volta strisciar sul suolo a sé facendo
de le inarcate spire impeto e forza:
ma il primo sol le rivedea più belle1070
far beati gli amanti e a un volger d’occhi
mescere a voglia lor la terra e il mare.
  Assai l’auriga bestemmiò finora
i tuoi nobili indugi: assai la terra
calpestaro i cavalli. Or via veloce1075
reca, o servo gentil, reca il cappello
ch’ornan fulgidi nodi: e tu frattanto,
fero genio di Marte a guardar posto
de la stirpe de’ numi il caro fianco,
al mio giovan eroe cigni la spada, 1080
corta e lieve non già, ma qual richiede
la stagion bellicosa al suol cadente,
e di triplice taglio armata e d’else
immane. Quanto esser può mai sublime
l’annoda pure onde la impugni all’uopo1085
la destra furibonda in un momento.
Né disdegnar con le sanguigne dita
di ripulire ed ordinar quel nastro
onde l’else è superbo. Industre studio
è di candida mano. Al mio signore1090
dianzi donollo e gliel appese al brando
l’altrui fida consorte a lui sì cara.
Tal del famoso Artù vide la corte
le infiammate d’amor donzelle ardite
ornar di piume e di purpuree fasce1095
i fatati guerrier; sì che poi lieti
correan mortale ad incontrar periglio
in selve orrende fra i giganti e i mostri.
  Volgi, o invitto campion, volgi tu pure
il generoso piè dove la bella1100
e degli eguali tuoi scelto drappello
sbadigliando t’aspetta all’alte mense.
Vieni e godendo, nell’uscire, il lungo
ordin superbo di tue stanze ammira.
Or già siamo all’estreme: alza i bei lumi1105
a le pendenti tavole vetuste
che a te degli avi tuoi serbano ancora
gli atti e le forme. Quei due in duro dante
strigne le membra, e cui sì grande ingombra
traforato collar le grandi spalle, 1110
fu di macchine autor; cinse d’invitte
mura i penati; e da le nere torri
signoreggiando il mar, verso le aduste
spiagge la predatrice Africa spinse.
Vedi quel magro a cui canuto e raro1115
pende il crin da la nuca, e l’altro a cui
su la guancia pienotta e sopra il mento
serpe triplice pelo? Ambo s’adornano
di toga magistral cadente a i piedi:
l’uno a Temi fu sacro: entro a’ licei1120
la gioventù pellegrinando ei trasse
agli oracoli suoi; indi sedette
nel senato de’ padri; e le disperse
leggi raccolte, ne fe’ parte al mondo:
l’altro sacro ad Igeia. Non odi ancora1125
presso a un secol di vita il buon vegliardo
di lui narrar quel che da’ padri suoi
nonagenari udì, com’ei spargesse
su la plebe infelice oro e salute
pari a Febo suo nume? Ecco quel grande1130
a cui sì fosco parruccon s’innalza
sopra la fronte spaziosa; e scende
di minuti botton serie infinita
lungo la veste. Ridi? Ei novi aperse
studi a la patria; ei di perenne aita1135
i miseri dotò; portici e vie
stese per la cittade; e da gli ombrosi
lor lontani recessi a lei dedusse
le pure onde salubri, e ne’ quadrivi
e in mezzo agli ampli fori alto le fece1140
salir scherzando a rinfrescar la state,
madre di morbi popolari. Oh come
ardi a tal vista di beato orgoglio,
magnanimo garzon! Folle! A cui parlo?
Ei già più non m’ascolta: odiò que’ ceffi1145
il suo sguardo gentil: noia lui prese
di sì vieti racconti: e già s’affretta
giù per le scale impaziente. Addio
degli uomini delizia, e di tua stirpe
e de la patria tua gloria e sostegno. 1150
Ecco che umìli in bipartita schiera
t’accolgono i tuoi servi. Altri già pronto
via se ne corre ad annunciare al mondo
che tu vieni a bearlo; altri a le braccia
timido ti sostien mentre il dorato1155
cocchio tu sali, e tacito e severo
sur un canto ti sdrai. Apriti o vulgo
e cedi il passo al trono ove s’asside
il mio signore. Ahi te meschin s’ei perde
un sol per te de’ preziosi istanti! 1160
Temi il non mai da legge o verga o fune
domabil cocchier; temi le rote
che già più volte le tue membra in giro
avvolser seco, e del tuo impuro sangue
corser macchiate, e il suol di lunga striscia, 1165
spettacol miserabile! segnaro.

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