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Traduzione dal tedesco di Pietro Gori (1891)
Borghesi e proletari
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L’istoria dell’umanità non è stata che l’istoria della lotta di classe.
Uomini liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi, oppressori ed oppressi, in opposizione costante, condussero una guerra, ora aperta, ora dissimulata; una guerra che sempre finì con una trasformazione rivoluzionaria dell’intera società, o con la distruzione delle due classi in lotta.
Nelle prime epoche istoriche noi incontriamo quasi dappertutto una divisione gerarchica della società, una scala graduata di posizioni sociali. Nella Roma antica, noi vediamo patrizii, cavalieri, plebei e schiavi; nel medio evo, signori, vassalli, padroni e servi, ed in ciascuna di queste classi delle gradazioni speciali.
La moderna società borghese, elevata sulle rovine della feudalità, non abolì gli antagonismi di classe. Essa non fece che sostituire delle nuove classi, delle nuove condizioni d’oppressione, delle nuove forme di lotta.
Tuttavia il carattere distintivo dell’epoca nostra, dell’èra della Borghesia, è di avere semplificato gli antagonismi di classe.
Ogni dì più la società si divide in due grandi campi opposti, in due classi nemiche: la Borghesia ed il Proletariato.
Dai servi del medio evo nacquero gli elementi delle prime comunità; da questa popolazione municipale scaturirono gli elementi costitutivi della Borghesia.
La scoperta dell’America, la navigazione intorno all’Africa offersero alla Borghesia nascente nuovi campi d’azione. I mercati, dell’India e della China, la colonizzazione dell’America, il commercio coloniale, l’accrescimento dei mezzi di scambio e delle merci, comunicarono un impulso? straordinario al commercio, alla navigazione all’industria, e conseguentemente uno sviluppo rapido all’elemento rivoluzionario della feudalità in dissoluzione.
L’antico sistema di produzione non poteva più soddisfare i bisogni che crescevano coll’apertura dei nuovi mercati. Il mestiere attorniato di privilegi feudali fu sostituito dalla manifattura. La piccola borghesia industriale sostituisce i padroni dell’arte; la divisione del lavoro tra le differenti corporazioni sparisce, innanzi alla divisione del lavoro nel laboratorio stesso.
Ma i mercati s’ingrandivano costantemente e con essi la domanda. La manifattura a sua volta divenne insufficiente: allora la macchina ed il vapore rivoluzionarono la produzione industriale. La grande industria moderna sostituisce la manifattura; la piccola borghesia manifatturiera cede il posto agli industriali milionari, capi d’armata dei lavoratori, cioè ai borghesi moderni.
La grande industria crea il mercato mondiale, di già preparato dalla scoperta dell’America. Il mercato universale accelera prodigiosamente lo sviluppo del commercio, della navigazione e dei mezzi di comunicazione. Questo sviluppo reagisce a sua volta sul mercato dell’industria ed a misura che l’industria, il commercio, la navigazione, le ferrovie si sviluppavano, la borghesia ingrandiva, decuplando i suoi capitali e respingendo all’indietro le classi trasmesse dal medio evo.
Noi vediamo dunque che la Borghesia o essa stessa, il prodotto di una lunga evoluzione, d’una serie di rivoluzioni nei sistemi di produzione e di comunicazione.
Ogni fase di sviluppo percorso dalla borghesia fu accompagnata da un progresso politico corrispondente.
Stato oppresso dal despotismo feudale, associazione armata che si governa da sé nella Comune; qui repubblica municipale, là terzo stato tassabile della monarchia; poi, durante il periodo manifatturiero, contrapeso della nobiltà nelle monarchie limitate o assolute; base principale delle grandi monarchie, la borghesia, dopo l’impianto della grande industria e del mercato mondiale, si è infine impadronita del potere politico, ad esclusione delle altre classi, nello stato rappresentativo moderno. Il governo moderno non è che un comitato amministrativo degli affari della classe borghese.
La borghesia ha percorso, nella storia, un ruolo essenzialmente rivoluzionario.
Dovunque conquistò il potere, essa calpestò le relazioni feudali e patriarcali. Tutti i vincoli multicolori che univano l’uomo feudale ai suoi superiori naturali essa li schiacciò senza pietà, per non lasciare sostituire, tra uomo, e uomo, altri vincoli che il freddo interesse, che la dura moneta contante. Essa annegò l’estasi religiosa, l’entusiasmo cavalleresco, il sentimentalismo del piccolo borghese, nelle acque ghiacciate del calcolo egoista. Essa fece della dignità personale un semplice valore di scambio; essa sostituì alle numerose libertà sì caramente conquistate, l’unica ed insensibile libertà del commercio. In una parola, al posto della spogliazione coperta da illusioni religiose e politiche, essa pose una spogliazione aperta, diretta e brutale.
La borghesia spogliò della loro aureola, con paura, tutte le professioni considerate sino allora venerabili e venerate. Essa fece del medico, del giurista, del prete, del poeta, dello scienziato, altrettanti operai salariati.
La borghesia strappò il velo della poesia soave, che ricopriva le relazioni di famiglia e le ha ridotte a non essere che dei semplici rapporti di denaro.
La borghesia dimostrò che la brutale manifestazione della forza del medio evo, si ammirata dalla reazione, si completava naturalmente della più bassa poltroneria. Essa, per la prima, provò ciò che può compiere l’attività umana: creò ben altre meraviglie che le piramidi d’Egitto, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche; essa condusse ben altre spedizioni che le antiche emigrazioni di popoli e le crociate.
La borghesia non esiste che alla condizione di rivoluzionare incessantemente gl’istrumenti di lavoro, per conseguenza il sistema di produzione, per conseguenza tutti i rapporti sociali. La conservazione del vecchio sistema di produzione era, al contrario, la prima condizione di tutte le classi industriali precedenti. Questa rivoluzione continua dei sistemi di produzione, questo movimento costante di tutto il sistema sociale, questa agitazione, questa poca sicurezza eterne, distinguono l’epoca borghese da tutte le precedenti. Tutti i rapporti sociali tradizionali e profondamente radicati, con il loro corteggio di credenze e d’idee ammesse da secoli, si dissolvono; le idee ed i rapporti nuovi spirano avanti di cristalizzarsi. Tutto ciò che era stabile è scosso, tutto ciò che era sacro è profanato, e gli uomini sono costretti infine ad intravedere le loro condizioni d’esistenza e le loro mutue relazioni con occhi delusi.
Spinta dal bisogno d’uno smercio sempre più esteso, la borghesia invade il globo intero. Bisogna che dappertutto essa s’impianti, che dappertutto stabilisca e crei dei mezzi di comunicazione.
Per mezzo dello sfruttamento del mercato mondiale, la borghesia imprime un carattere cosmopolita alla produzione ed alla consumazione di tutti i paesi. A disperazione dei reazionarii essa tolse all’industria la sua base nazionale. Le vecchie industrie nazionali sono distrutte o sul punto di esserlo. Esse vengono sostituite da nuove industrie la cui introduzione di- viene una questione vitale per tutte le nazioni incivilite; industrie che non adoperano più materie prime indigene, bensì materie prime venute dalle regioni più lontane, ed i cui prodotti non si consumano soltanto nel paese stesso, ma in tutti i punti del globo. In luogo dell’antico isolamento locale e nazionale, si sviluppa un traffico universale, una dipendenza mutua delle nazioni. Ciò che avviene nella produzione materiale si riproduce nella produzione intellettuale. Le produzioni intellettuali di una nazione divengono proprietà comune di tutte. L’esclusivismo ed i pregiudizii nazionali divengono ognora più impossibili; e delle diverse letterature nazionali e locali si forma una letteratura universale.
Per il rapido perfezionamento di tutti gli strumenti di produzione e dei mezzi di comunicazione, la borghesia trascina nella corrente dell’incivilimento perfino le nazioni più barbare. Il buon mercato dei suoi prodotti è la sua grossa artiglieria per battere in breccia le mura della Cina e far capitolare i barbari più ostili agli stranieri. Essa costringe tutte le nazioni, sotto pena di morte, ad adottare il sistema di produzione borghese; essa le costringe ad introdurre presso di loro la sedicente civiltà, cioè a divenire borghesi. In una parola, essa modella un mondo a sua immagine.
La borghesia sottomise la campagna alla città. Essa costruì città immense; essa aumentò prodigiosamente la popolazione delle città a spese di quella delle campagne; ed in tal modo essa preservò una grande parte della popolazione dall’idiotismo della vita dei campi. Essa subordinò la campagna alla città, le nazioni barbare alle nazioni civili, i paesi agricoli ai paesi industriali, l’Oriente all’Occidente.
La borghesia sopprime ogni dì più lo sparpagliamento dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Essa aggruppa le popolazioni, accentra i mezzi di produzione e concentra la proprietà nelle mani di qualche individuo. La conseguenza fatale di questi cambiamenti fu lo accentramento politico. Provincie riunite tra loro solo dai legami federali, aventi interessi, leggi, governi, tariffe doganali differenti, furono riunite in una sola nazione, un solo governo, una sola tariffa doganale, un solo interesse nazionale di classe.
La borghesia, dal suo avvenimento appena secolare, creò delle forze produttive, più svariate e più colossali che tutte le generazioni passate prese insieme. La sommissione delle forze della natura, le macchine, l’applicazione della chimica, all’industria ed all’agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, l’incanalamento dei fiumi, delle popolazioni intiere che sorgono come per incanto, qual secolo precedente avrebbe mai sognato che simili forze produttrici dormivano nel lavoro sociale?
Ecco dunque il riassunto di ciò, che noi abbiamo visto: i mezzi di produzione e di scambio, che servono di base alla evoluzione borghese, sono creati nel seno della società feudale; ad un certo grado di sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle quali la società feudale produce e scambia i suoi prodotti, l’organizzazione feudale dell’industria e della manifattura, in una parola i rapporti della proprietà feudale cessano di corrispondere alle nuove forze produttrici. Essi mettevano ostacolo alla produzione, anziché svilupparla. Si mutavano in tante catene. Bisognava spezzarli e si sono spezzati.
Al loro posto s’innalza la libera concorrenza, con una costituzione sociale e politica corrispondente, colla dominazione economica e politica della classe borghese.
Sotto i nostri occhi si produce un fenomeno analogo. La società borghese moderna che mise in movimento così potenti mezzi di produzione e di scambio, rassomiglia a quei maghi, che non sapevano più dominare le potenze infernali, ch’essi aveano evocato. Da trenta anni almeno, l’istoria dell’industria e del commercio non è che l’istoria della rivolta delle forze produttrici contro i rapporti di produzione moderna, contro i rapporti di proprietà, che sono le condizioni d’esistenza della borghesia e della sua supremazia. Basta menzionare le crisi commerciali che, per il ritmo periodico, mettono ognor più in questione l’esistenza della società borghese. Ogni crisi distrugge regolarmente, non soltanto una massa di prodotti già creati, ma ancora una grande parte delle stesse forze produttrici. Una epidemia colpisce l’umanità, che nelle epoche precedenti sarebbe sembrata un paradosso: è l’epidemia della sopra-produzione. La società si trova subitamente rigettata in uno stato di momentanea barbarie: si direbbe che una guerra d’esterminio le porta via tutti i mezzi di vita: l’industria ed il commercio sembrano paralizzati. – E perché? – perché la società ha troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttrici di cui essa dispone non assicurano più le condizioni della proprietà borghese; al contrario, esse divennero troppo potenti per queste condizioni, che mutansi in ostacoli; e tutte le volte che le forze produttrici sociali spezzano gli ostacoli, esse precipitano nel disordine la società intera, e minacciano l’esistenza della proprietà borghese. Il sistema borghese divenne troppo angusto per contenere le ricchezze create nel suo seno. Come fa la borghesia per superare queste crisi? Da una parte con la distruzione forzata d’una massa di forze produttrici, dall’altra con la conquista dei nuovi mercati e lo sfruttamento più perfetto degli antichi. Cioè essa prepara delle crisi più generali e più terribili, e riduce i mezzi per prevenirle.
Le armi di cui la borghesia si servì per abbattere la feudalità si ritorcono oggi contro la borghesia stessa.
Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che devono darle la morte; essa produsse pure gli uomini che devono manipolarle – gli operai moderni, i Proletarii.
Con lo sviluppo della borghesia, cioè del capitale, si sviluppa il Proletariato, la classe degli operai moderni, i quali non vivono, che a condizione di trovare lavoro, e che non ne trovano più appena che il loro lavoro cessa di aumentare il capitale. Gli operai, costretti a vendersi di giorno in giorno, sono della mercé come tutti gli altri articoli di commercio; essi subiscono per conseguenza tutte le fluttuazioni del mercato.
L’introduzione delle macchine e la divisione del lavoro spogliarono il lavoro dell’operaio del suo carattere individuale, e per conseguenza della sua attrattiva.
Il produttore diviene una semplice ruota della macchina, e non si esige da lui che un’operazione semplice, monotona e presto appresa. Avviene che le spese di produzione dell’operaio si riducono alle spese della sua sussistenza e della propagazione della sua razza. Il prezzo del lavoro, come quello di ogni altra mercé è uguale al costo della sua produzione. Dunque più il lavoro diviene ripugnante, più i salarii ribassano.
Più ancora; la somma del lavoro s’accresce con lo sviluppo della macchina e della divisione del lavoro, sia per l’aumento della giornata di lavoro, sia per l’accrescimento dell’intensità del lavoro, sia per l’accelerazione del movimento delle macchine.
L’industria moderna trasformò il piccolo laboratorio dell’antico padrone patriarcale in grande fabbrica di borghese capitalista. Delle masse d’operai, stivati nelle fabbriche, sono organizzati militarmente. Trattati come dei soldati industriali; sono posti sotto la sorveglianza d’una gerarchia completa di ufficiali e sott’ufficiali.
Essi non sono soltanto gli schiavi della classe borghese, del governo borghese, ma pure giornalmente ed a tutte le ore, gli schiavi delle macchine, del direttore, e del padrone della fabbrica. Questo despotismo è tanto più meschino, più odioso, e più ripugnante, in quanto esso prende apertamente il guadagno per unico scopo.
Meno il lavoro esige abilità e forza; cioè, più l’industria moderna progredisce, più il lavoro delle donne è sostituito a quello degli uomini. Le distinzioni di età e di sesso, non hanno più alcun significato sociale per la classe operaia. Non vi sono più che degli istrumenti di lavoro, il prezzo varia secondo l’età ed il sesso.
Quando l’operaio ha subito lo sfruttamento del fabbricante, e ch’egli riceve il suo salario in moneta contante, allora diviene la preda degli altri membri della borghesia, del piccolo proprietario, del piccolo bottegaio, e dell’usuraio.
La piccola borghesia, composta di modesti industriali, di mercanti, di piccoli possidenti di artigiani o di contadini proprietarii, cade nel Proletariato; da un lato, perché i suoi meschini capitali non permettendo d’impiegare i procedimenti della grande industria, essa soccombe nella concorrenza con i grandi capitalisti; d’altro canto perché la sua abilità speciale è disprezzata dai nuovi sistemi di produzione. In questo modo il Proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.
Il Proletariato passa per differenti fasi d’evoluzione. La sua lotta contro la borghesia incomincia dalla sua nascita.
Prima la lotta è impegnata da operai isolati, poi da operai di una medesima fabbrica, in seguito da operai del medesimo mestiere, in una località, contro la borghesia che li sfrutta direttamente. Essi non si contentano di dirigere i loro attacchi contro, il sistema borghese di produzione; essi li dirigono contro gl’istrumenti di produzione: essi distruggono le merci straniere, che lor fanno concorrenza, spezzano le macchine, bruciano le fabbriche, e si sforzano di riconquistare le condizioni perdute d’artigiani del medio evo.
A questo punto di sviluppo, il Proletariato forma una massa disseminata per tutti i paesi e disunita dalla concorrenza. Se talvolta gli operai agiscono in massa più o meno compatta, questo insieme non è ancora il risultato della loro unione, ma di quella della borghesia che per arrivare ai suoi fini politici, è costretta di mettere in movimento il Proletariato intero, e che per il momento possiede ancora il potere. Quello che caratterizza questa fase del loro sviluppo isterico, si è che i proletarii non combattono ancora i loro nemici diretti, ma, i nemici dei loro nemici, cioè i resti della monarchia assoluta, i proprietarii di terreni, i borghesi non proprietarii ed i piccoli borghesi. Tutto il movimento storico è diretto dalla borghesia, tutta la vittoria riportata in queste condizioni è una vittoria borghese.
Ma lo sviluppo dell’industria ingrossa soltanto il numero dei proletarii, e li concentra in masse più considerevoli: essi acquistano delle forze e con queste la coscienza della loro potenza. Gl’interessi, le condizioni di esistenza dei proletarii si uguagliano sempre più, a misura che la macchina cancella tutta la differenza nel lavoro, riduce quasi dappertutto il salario ad un livello egualmente basso. La crescente concorrenza dei borghesi tra di loro, e le crisi commerciali, che ne risultano, rendono i salarii sempre più incerti; l’incessante perfezionamento delle macchine rende la posizione dell’operaio vieppiù precaria; le collisioni individuali tra l’operaio ed il borghese assumono ognora più il carattere di collisioni di due classi. Gli operai incominciano a coalizzarsi contro i borghesi per il mantenimento dei loro salarii. Essi formano pure delle associazioni permanenti allo scopo di essere pronti alle lotte eventuali; qua e là la resistenza diviene ammutinamento.
Qualche volta gli operai trionfano; ma il loro trionfo non è che momentaneo.
Il vero risultato delle loro lotte è meno [...] il successo immediato che la solidarietà crescente degli operai.
Questa solidarietà è facilitata dall’accrescimento dei mezzi di comunicazione i quali permettono agli operai delle differenti località di entrare in relazione. Non resta più che unirli per trasformare queste lotte, le quali rivestono ovunque il medesimo carattere, in una lotta nazionale, in una lotta di classe. Ma ogni lotta di classe è una lotta politica. E le comunicazioni che i borghesi del Medio-Evo impiegavano da secoli a stabilire con le loro strade vicinali, i proletarii le stabiliscono in qualche anno colle ferrovie.
L’organamento del proletariato in classe e per conseguenza in partito politico è incessantemente distrutta dalla concorrenza che gli operai si fanno tra loro.
Ma essa, rinasce sempre, e sempre più forte, più salda, più potente. Profittando delle divisioni intestine dei borghesi, essa li costringe a garantire legalmente certi interessi della classe operaia: per esempio, la legge delle dieci ore di lavoro in Inghilterra.
Le divisioni della società favoriscono in modi differenti lo sviluppo del Proletariato.
La borghesia vive in uno stato di guerra perpetua; prima contro l’aristocrazia, poi contro questa categoria della borghesia i cui interessi entrano in contraddizione col progresso dell’industria, ed infine contro la borghesia dei paesi stranieri. In tutte queste lotte essa è costretta di fare appello al Proletariato, d’usare del suo concorso e di trascinarlo in tal modo nel movimento politico. Per conseguenza la borghesia fornisce al Proletariato gli elementi del suo progresso, cioè delle armi contro la borghesia.
Inoltre, come abbiam visto, alcune parti costituenti la classe dominante sono rigettate interamente nelle file del Proletariato dal progresso industriale, o sono minacciate nelle loro condizioni di esistenza. Esse forniscono al Proletariato dei numerosi elementi di progresso.
Infine, nel momento in cui la lotta di classe s’avvicina alla sua crisi, il movimento di dissoluzione della classe dirigente e della Società intera prende un carattere sì acuto e sì violento, che una frazione della classe dirigente se ne distacca, per allearsi alla classe rivoluzionaria, alla classe che rappresenta l’avvenire. Un tempo, una parte della nobiltà si schierava colla borghesia; ai nostri giorni una parte della borghesia fa causa comune col proletariato, e principalmente quella parte della borghesia pensante che pervenne a comprendere il cammino del movimento storico.
Di tutte le classi, attualmente avversarie della borghesia, il proletariato solo è veramente rivoluzionario. Le altre classi si dislocano e scompaiono in causa della grande industria: il proletariato, al contrario, è il suo prodotto particolare.
La classe media, i piccoli fabbricanti, i bottegai, gli artigiani, i contadini lottano contro la borghesia perch’essa compromette la loro esistenza in qualità di classe media. Per conseguenza essi non sono rivoluzionarii, ma conservatori. Anzi sono reazionari, poiché si sforzano di far retrocedere il cammino alla storia. Se essi agiscono rivoluzionariamente è per la paura sempre presente di cadere nel Proletariato. Essi difendono in questo caso i loro interessi futuri, e non i loro interessi attuali; essi rinunciano al loro proprio punto di vista per mettersi in quello del Proletariato.
La marmaglia delle grandi città, questa feccia putrefatta delle ultime secrezioni della società, è qua e là trascinata nel movimento da una rivoluzione proletaria, ma le sue condizioni di vita la predispongono, al contrario, a vendersi alla reazione.
Le condizioni di esistenza della vecchia società sono già distrutte nelle condizioni di esistenza del Proletariato. Il Proletario è senza proprietà, le sue relazioni di famiglia non hanno nulla di comune con quelle della famiglia borghese. Il lavoro industriale moderno, che implica l’asservimento dell’operaio da parte del capitale, in Francia come in Inghilterra, in America come in Germania, ha spogliato il Proletario d’ogni carattere nazionale. Le leggi, la morale, la religione, sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi borghesi.
Tutte le classi, che conquistarono anteriormente il potere, cercarono di consolidare la loro situazione acquistata sommettendo la società intiera al loro modo d’appropriazione. I proletarii non possono impadronirsi delle forze produttrici sociali che abolendo il loro speciale modo di appropriazione e in conseguenza il modo d’appropriazione in vigore sino ai nostri giorni. I proletarii non devono preoccuparsi di garanzie per una proprietà che a loro manca; essi devono, al contrario, distruggere ogni garanzia privata esistente.
Tutti i movimenti storici sono stati, sino ad ora, dei movimenti di minoranze a profitto di minoranze. Il movimento del proletariato è il movimento spontaneo della immensa maggioranza a profitto della immensa maggioranza. Il Proletariato, ultimo parto della società ufficiale, non può elevarsi senza sconvolgere tutti i prodotti superiori di questa società.
La lotta del proletariato contro la borghesia, benché in fondo non sia una lotta nazionale, ne riveste tuttavia la forma. Il proletariato di ogni paese deve incominciare la lotta per finirla colla sua propria borghesia.
Analizzando le fasi dello sviluppo del proletariato, noi abbiamo seguito passo passo la storia della guerra civile più o meno occulta che smembra la società, sino al momento in cui esplode in una rivoluzione ed in cui il proletariato impone la sua dominazione colla distruzione della borghesia.
Come abbiamo visto, tutte le società anteriori poggiarono sull’antagonismo della classe opprimente e della classe oppressa. Ma per poter opprimere una classe, bisogna almeno garantirle le condizioni d’esistenza che le permettano di vivere in schiavitù. Il servo in piena feudalità perveniva a farsi membro del Comune; il borghese embrionale del medio-evo acquistava la posizione di borghese, sotto il giogo dell’assolutismo feudale. L’operaio moderno, al contrario, anziché elevarsi col progresso dell’industria, discende sempre più in basso, al di sotto pure del livello delle condizioni vitali della stessa sua classe. Il lavoratore torna a carico della società, ed il pauperismo s’accresce più rapidamente ancora che la popolazione e le ricchezze. È adunque dimostrato, che la borghesia è incapace di sostenere la parte di classe dominante e d’imporre alla società, come legge suprema, le condizioni d’esistenza della propria classe. Essa non può più regnare, perché non può più assicurare l’esistenza al suo schiavo, neppure nelle condizioni della sua schiavitù, poiché essa è costretta di lasciarlo cadere in una situazione così precaria da doverlo nutrire invece di esser nutrita. La società non può più esistere sotto la sua dominazione, ciò che vorrebbe dire che la sua esistenza è incompatibile con quella della società.
La condizione essenziale d’esistenza e di supremazia per la classe borghese è l’accumulamento della ricchezza in mani private, la formazione e l’accrescimento del capitale è il salariato; il salariato riposa esclusivamente sulla concorrenza che si fanno gli operai tra loro. Il progresso industriale, del quale la borghesia è l’istrumento passivo ed incosciente, sostituisce l’isolamento degli operai con la loro unione rivoluzionaria a mezzo dell’associazione. Lo sviluppo della grande industria scava sotto i piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa stabilì il suo sistema di appropriazione e di produzione.
La borghesia produce innanzi tutto i suoi seppellitori. La sua caduta ed il trionfo del proletariato sono del paro inevitabili.