< Il Misogallo (Alfieri, 1903)
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Sonetto XXXVI
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SONETTO XXXVI.

20 febbraio 1795.

L’Uom, che minor d’altr’Uom si estima, è spesso,
(Mercè sua fiacca opinïon fallace)
Non che ad altrui, minore anco a se stesso,
E, inerte vela, senza vento ei giace.
Ma chi il contrario inverecondo eccesso,
Figlio di stolta ebra impotenza audace,
Spinge a stimarsi, con dileggio espresso
D’ogni altro; a ogni altro quegli inver soggiace.
In tai due estremi, due vicine genti
Stanno, gl’Itali, e i Galli: ambo son poco;
Nulla quei, tutto questi in sè veggenti.
Pur ridestarsi può divino fuoco
In quelle, ov’arse un dì, robuste menti;
Non mai destarsi, ove impudenza è giuoco.

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