< Il Moliere
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Atto II
Atto I Atto III

ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Pirlone1, poi Foresta.

Pirlone. Chi è qui? Non c’è nessuno?

Foresta.   Serva, signor Pirlone.
Chi cerca? Che comanda?
Pirlone.   Dov’è il vostro padrone?
Foresta. Uscito è fuor di casa.
Pirlone.   Ah, povero sgraziato!
Foresta. Oimè! Che gli è accaduto?
Pirlone.   Moliere è rovinato.
Foresta. Oimè! Qualche disgrazia?
Pirlone.   Veduto ho quel cartello.
Per cui sul di lui capo cadrà qualche flagello.

La carità mi sprona venirlo ad avvertire

Del mal, se non rimedia, che gli potria avvenire.
Foresta. Ma se la sua commedia è contro gl’impostori,
Anche la gente trista avrà i suoi difensori?
Pirlone. Ah Foresta, Foresta, voi non sapete nulla,
Son l’arti del maligno ignote a una fanciulla.
Finge prender di mira soltanto l’impostura.
Ma gli uomini dabbene discreditar procura.
Tutte sospette ei rende le azion di gente buona,
E ai più casti e ai più saggi Molier non la perdona.
Se d’una verginella uom saggio è precettore,
Chi sente quel ribaldo, le insegna a far l’amore:
Chi va di casa in casa con utili consigli,
Va per tentar le mogli, va per sedurre i figli:
Chi i miseri soccorre, e presta il suo denaro,
Lo fa per la mercede, lo fa perch’è un avaro:
Confonde i tristi e i buoni, scema a ciascun la fede,
E il popolo ignorante l’ascolta, e tutto crede.
Basta, non so che dire, io parlo sol per zelo.
L’illumini ragione; lo benedica il cielo.
Foresta. Ma che mai giudicate possa accader di male,
Se dell’avviso a tempo quest’uom non si prevale?
Pirlone. Ei vanta una licenza, o falsa, o almen carpita,
E il suo soverchio ardire gli costerà la vita.
E i miseri innocenti, che hanno che far con lui,
Saranno castigati per i delitti sui.
Foresta. Io patirei, signore? Son serva, ma innocente.
Pirlone. È sempre in gran periglio, chi serve un delinquente.
Foresta. Voi mi mettete in corpo timor non ordinario.
Spiacemi che il padrone mi dava un buon salario.
Pirlone. Non temete, che il cielo ama le genti buone;
Io, se di qua partite, vi troverò il padrone.
Foresta. Mi dà sei2 scudi il mese.

Pirlone.   E ben, sei scudi avrete.

Foresta. E mi regala.
Pirlone.   È giusto; regalata sarete.
Foresta. Ma chi sarà il padrone? Conoscerlo desìo.
Pirlone. Sentite; in confidenza, il padron sarò io.
Son solo, solo in casa, nessun colà mi osserva;
Col tempo diverrete3 padrona, anzi che serva.
A voi darò le chiavi del pan, del vin, dell’oro,
E viverete meco almen con più decoro.
Che bell’onore è il vostro, servir gente da scena,
Gente dell’ozio amica, e di miserie piena!
Meco direte almeno: son serva d’un mercante.
Ricco d’onor, di fede, e ricco di contante.
Foresta. (Quest’ultima mi piace).
Pirlone.   E ben, che risolvete?
Foresta. Signore, ho già risolto; verrò, se mi volete.
Stanca son di servire due femmine sguaiate.
Che taroccar principiano, tosto che sono alzate:
Ed un padron, che monta in collera per nulla,
Che fa tremare i servi, quando il cervel gli frulla.
Pirlone. Ecco quell’uom dabbene, che fa da saccentone,
Frenar non sa4 in se stesso collerica passione.
Ehi! dite, in segretezza: con queste donne sue
Molier come la passa?
Foresta.   Fa il bello a tutte due.
Pirlone. Oh comico scorretto! Con voi, la mia fanciulla,
Ha mai quell’uomo audace tentato di far nulla?
Foresta. M’ha fatto certi scherzi.
Pirlone.   Presto, presto, fuggite.
in casa mia l’onore a ricovrar venite.
Ma, ditemi, potrei parlar, per lor salute,
A queste sventurate due femmine perdute?
Foresta. La madre collo specchio si adula e si consiglia.
Pirlone. Misera abbandonata! Parlerò colla figlia.

Foresta. Or ora ve la mando. Domani son da voi.

Pirlone. Vivrem, se il ciel lo vuole, in pace fra di noi.
Foresta. (Servir un uomo solo, un uomo ricco e vecchio?)
A far la mia fortuna in breve m’apparecchio
(parte)

SCENA IL

Pirlone, poi Isabella.

Pirlone. Molier di noi fa scena, ci tratta da inumano,

E noi sarem veduti star colle mani in mano?
L’onor ci leva e il pane sua lingua maladetta,
E la natura istessa ci sprona a far vendetta:
Poiché viviam, meschini, di dolce ipocrisia,
Come quest’uomo vile vive di poesia.
Seminerò discordie fra queste donne e lui;
Procurerò distorle dalli consigli sui.
E se la sorte amica seconda il mio disegno.
Oggi la ria commedia non si farà, m’impegno.
Isabella. Chi mi cerca?
Pirlone.   Figliuola, vi benedica il cielo.
Perdonate, vi prego, la libertà, lo zelo5,
Con cui per vostro bene io vengo a ragionarvi.
Ah, voglia il ciel pietoso che vaglia a illuminarvi!
Isabella. Signor, mi sorprendete. Che mai dovete dirmi?
Pirlone. Presto, prima che giunga Moliere ad impedirmi.
Figlia, voi siete bella, voi siete giovinetta,
Ma un’arte scellerata seguir vi siete eletta.
Piange ciascun che voi, di vezzi e grazie piena,
L’onor prostituite sulla pubblica scena;
Ah! peccato, peccato che il vostro amabil volto
S'esponga ai risi, ai scherni del popol vario e folto!
E quella che farebbe felice un cavaliere.
Mirisi sul teatro, seguace di Moliere.

Ma peggio, peggio ancora; si mormora, e si dice

Che siate due rivali figliuola e genitrice,
E che quel disonesto ridicolo ciarlone
Voi misera instruisca in doppia professione.
Isabella. Signor, mi maraviglio, io sono onesta figlia:
Moliere è un uom dabbene, e al mal non mi consiglia.
Pirlone. Non basta no, figliuola, il dire io vivo bene,
Ma riparar del tutto lo scandalo conviene.
Ditemi, in confidenza, ma a non mentir badate.
Voi stessa ingannerete, se me ingannar pensate.
Il ciel, che tutto vede, m’inspira e a voi mi manda;
Il ciel colla mia bocca v’interroga e domanda:
Avete per Moliere fiamma veruna in petto?
Isabella. (Mentire non degg’io). Signor, gli porto affetto.
Pirlone. Buono, buono; seguite. Affetto di qual sorte?
Isabella. Mi ha data la parola d’essere mio consorte.
Pirlone. La madre v’acconsente?
Isabella.   La madre non sa nulla.
Pirlone. Vi par che un tale affetto convenga a una fanciulla?
A una fanciulla onesta legarsi altrui non lice,
Se non l’accorda il padre, ovver la genitrice.
Perchè non dirlo a lei?
Isabella.   Perchè.. perchè so io.
Pirlone. Figliuola, non temete; v’è noto il zelo mio.
Isabella. Perchè mia madre ancora... oimè!
Pirlone.   Via presto, dite.
Isabella. Ama Moliere anch’essa.
Pirlone.   Oh ciel!6 Voi m’atterrite.
Oh perfido Moliere! Oh uomo senza legge!
E il ciel non ti punisce? E il ciel non ti corregge?
Fuggite, figlia mia, fuggite un uom tale,
Pria che la sua immodestia vi faccia un peggior male.
Isabella. Ma come da Moliere potrei allontanarmi?
Son povera fanciulla, desio d’accompagnarmi.

Pirlone. Vi troverò marito. Vi troverò la dote,

Vi metterò fra tanto con pie donne e divote.
Io so che vi sospira per moglie un cavaliere;
Ma tace, perchè fate quest’orrido mestiere.
Però col tralasciarlo, mostrando il pentimento,
L’amante che v’adora, sarà di voi contento.
Ah! s’oggi v’esponete, pensateci ben bene.
Perdete una fortuna che a voi meglio conviene.
Isabella. E il povero Moliere?
Pirlone.   Inutili riflessi!
La carità, figliuola, principia da noi stessi.
Isabella. Oimè!
Pirlone.   Su via, coraggio. Fanciulla, io vi prometto,
Che dama voi sarete di sposo giovinetto.
Per questa sera sola di recitar lasciate,
E se il ver non vi dico, a recitar tornate.
Isabella. (Ah, non fia ver ch’io manchi di fede al mio Moliere).
Signore, io per marito non merto un cavaliere.
Di comica son figlia, e sol quest’arte appresi.
Arte che sol da voi trista chiamare intesi.
Pirlone. Fia bella, se credete ai vostri adulatori.
Che nome di virtude dar sogliono agli errori;
Ma io che dico il vero, e lusingar non soglio,
Sostengo che il teatro all’innocenza è scoglio.
Isabella. Ecco la madre mia, deh per pietà, signore,
A lei non isvelate il mio nascosto ardore.
Pirlone. Eh! san maggiori arcani tacere i labbri miei.
(Oggi, per quanto io posso, tu recitar non dei).

SCENA III.

La Bejart e detti.

Bejart. Ma voi, fanciulla mia, vivete a modo vostro;

Pochissimo vi piace di star nel quarto nostro.
Isabella. Signora...

Pirlone.   Perdonate. Il mancamento è mio.

Meco può star la figlia; sapete chi son io.
Bejart. Con altri che con voi trovata s’io l’avessi,
La picchierei7. Sfacciata! Stamane la corressi.
La parte di Marianna a ripassare andate.
Isabella. (Ah! per amor del cielo, signor, non mi svelate).
(piano a Pirlone, e parte)

SCENA IV.8

Pirlone e la Bejart.

Bejart. Che inutili discorsi facea quella sguaiata?

Pirlone. Per suo, per vostro bene sinor l’ho esaminata;
Ed ho scoperto cose, che a voi son forse ignote.
Signora, a vostra figlia preparate la dote.
Bejart. Che? Vuol ella marito?
Pirlone.   Lo vuole, e l’ha trovato.
Bejart. Chi fia costui?
Pirlone.   Moliere.
Bejart.   Moliere! Ah scellerato!
Pirlone. Ma vi è di peggio.
Bejart.   Io fremo.
Pirlone.   Vuol stasera sposarla.
Bejart. Come!
Pirlone.   A voi sul teatro medita d’involarla.
E dopo la commedia, che a lui per questo preme,
Li aspetta una carrozza, e fuggiranno insieme.
Bejart.   Ah traditore!
Pirlone. A tempo io fui di ciò avvisato.
Ho corretto Isabella, e in parte ho rimediato.
Però non vi consiglio condurla a recitare:
Egli potria sedurla, e farvela involare.

State con essa in casa, datele soggezione.

Vada Molier, se vuole, a far solo il buffone.
Bejart. Sì, sì, la mia figliuola, e me per questa sera
Moliere sul teatro vedere invano spera.
Ringrazio il cielo e voi d’avermi illuminata.
Ah, sono dall’indegno tradita, assassinata!
Pirlone. Vado, che se venisse Moliere, or si diria
Che quest’opera buona è mera ipocrisia.
S’ei sa ch’io sia venuto a discoprir l’arcano.
Quante udirete ingiurie scagliarmi il labbro insano!
E chiamo in testimonio di quel ch’io dico, il cielo:
Guidommi a questa casa la caritade, il zelo.
Sia di me, di mia fama, quello che vuol la sorte,
Al prossimo giovando, incontrerei la morte. (parte)

SCENA V.

La Bejart, poi Foresta.

Bejart. Ah perfido Moliere! Figlia mendace e fella!9

Foresta. 10
Foresta.   Mia signora.
Bejart.   Chiamatemi Isabella. (Foresta via)
M’accorsi dell’amore, che avea per lei l’indegno,
Ma giunger non credea dovesse a questo segno.
E meco fa il geloso, di scherzar11 si compiace,
E finge, e mi lusinga? Oh comico mendace!

SCENA VI12.

La Bejart, Isabella e Foresta.

Bejart. Venite, graziosina, voglio parlarvi un poco.

Di me, degli ordin miei voi tal13 prendete gioco?
Indegna, sfacciatella, sapete voi chi sono?

Isabella. (Ah traditor!) Signora, a voi chiedo perdono. (s’inginocchia)

Bejart. Alzatevi.
Isabella.   Non m’alzo, finchè vi vedo irata.
Foresta. (Sta a veder che Isabella ha fatto la frittata). (da sé)
Bejart. Alzatevi, vi dico.
Isabella.   Signora... (s’alza)
Bejart

SCENA VII14.

Moliere e dette.

Moliere. Fremano pur gli audaci, ardano d’ira il petto:

Al teatro, al teatro questa sera gli aspetto;
A voi mi raccomando, in vostra man l’onore.
Male o ben recitando, sta del povero autore. (alle donne)
Bejart. Mia figlia ha il mal di capo, di lei conto non fate.
Andate a coricarvi. (ad Isabella)
Moliere.   Oimè! Voi m’ammazzate, (alla Bejart)
Ah, per amor del cielo, figliuola mia diletta... (ad Isabella)
Bejart. Non recita, vi dico. Olà, parti, fraschetta. (ad Isabella)
Isabella. (Misera sventurata, che mi fidai d’un empio!
Oh sì, che quel ribaldo m’ha dato un buon esempio). (parte)

SCENA VIII15.

Moliere, la Bejart e Foresta

.

Moliere. Cieli! Che avvenne mai? e che ha l’Isabellina?16

Se manca alla commedia, vuol far17 la mia rovina.
Sospeso un’altra volta diran ch’è l’Impostore:
Che falsa è la licenza, ch’io sono un mentitore.
E l’interesse vostro forse è minor del mio? (alla Bejart)
Bejart. Non recita Isabella, nè recitar vogl’io.
Moliere. Come! Così parlate? V’è noto il nostro impegno?
Ah, voi siete una pazza.
Bejart.   E voi siete un indegno.(parte)

SCENA IX.

Moliere e Foresta.

Moliere. Foresta, ah, donde viene sì strana escandescenza?

Foresta. Signor padron, vi prego darmi la mia licenza.
Moliere. Che dici?
Foresta.   La licenza chiedo per andar via.
Moliere. Andar senza ragione ten vuoi di casa mia?
Vo’ che mi dica il vero18, o via non anderai.
Foresta. Fanciulla eternamente di viver non giurai.
Io voglio maritarmi, a star così patisco;
Non voglio più servire. Padron, vi riverisco. (parte)

SCENA X19.

Moliere solo.

Oh ciel! rivolte ho contro tre femmine ad un tratto.

Perchè mai? Voglion farmi20 costor diventar matto?

E Isabella che mi ama, o finge almen d’amarmi,

Colla crudel sua madre congiura a rovinarmi?
Ma, oimè! la dura pena del mio schernito amore
E vinta dal periglio, in cui posto è l’onore.
Ah maladetto il giorno, che appresi un tal mestiere!
Meglio era con mio padre facessi il tappezziere.
Mio zio per la commedia mi tolse al mio esercizio,
Diè morte a’ miei parenti, e fe’ il mio precipizio.
Studiai; ma che mi valse lo studio sciagurato,
Se dopo aver il Foro per pochi dì calcato,
A questa lusinghiera novella professione
Diabolica mi spinse violenta tentazione?
Ecco il piacer ch’io provo, in premio al mio sudore:
Sto in punto, per due donne, di perdere l’onore.
E tutta la fatica ch’io spesi in opra tale,
E il procurar ch’io feci il decreto reale,
E il dir che per le vie s’è fatto, e per le piazze,
Inutile fia tutto per ragion di due pazze.
Ed io sarò sì stolto di seguitare un gioco,
In cui s’arrischia tanto, e si guadagna poco?

SCENA XI21.

Valerio e detto

Valerio. Molier, son prese tutte le logge del teatro,

I posti del parterre, quei dell’anfiteatro;
E il popol curioso, ripieno di contento.
Di veder l’Impostore sollecita il momento.
Moliere. Vorrei che andasse a foco il teatro e le scene,
E i comici e le donne alle tartaree pene.
Valerio. Signor, ben obbligato. Dove l’autor mandate?
Moliere. A divertir Plutone fra l’anime dannate.

Valerio. Queste parole sono da uomo disperato.

Moliere. Parole da mio pari.
Valerio.   Oimè! che cosa è stato?
Moliere. Sdegnata la Bejart, non so per qual cagione,
Di sè, della figliuola contro al dover dispone.
Che in scena non verranno protesta in faccia mia.
Ragion di ciò le chiedo, m’insulta e fugge via.
Vi è nota l’odiosa superbia di tai donne.
Io non ho sofferenza di taccolar con gonne.
Valerio. Come! di quelle stolte sarà dunque in balia
All’ultima rovina ridur la compagnia?
Pur troppo abbiam sofferto, per causa dei nemici,
Senza guadagno alcuno, de’ giorni aspri infelici.
Mi sentiran ben esse, e meco parleranno
Tutti i compagni nostri, per non soffrire il danno22.
Molier, non dubitate, in scena le vedrete.
Minaccerò, se giova, le femmine indiscrete. (parte)

SCENA XII.

Moliere e poi Leandro.

Moliere. Sì, sì, fra poco i’ spero veder le donne irate,

Per opra di Valerio alla ragion tornate.
Ma come in un momento cambiossi madre e figlia?
E fin la serva istessa? Qualch’empio le consiglia:
Qualch’empio seduttore le rese a me discordi;
Ma farò, se lo scopro, che di me si ricordi.23
Leandro.24
Molier, le tue bottiglie gettar puoi tu nel fiume.
Ah, ne ho bevute un paio, che incanteriano un nume.
Il tuo Borgogna amaro non mi è piaciuto un fico.
Oh, che vin di Sciampagna bevuto ho da un amico!

Con due fette di pane salato e abbrustolato,

Tracannai due bottiglie di vino prelibato.
Moliere. Buon pro vi faccia. (Oh donne! oh donne indiavolate!)
Leandro. Forte, schiumoso e bianco...
Moliere.   Oh ciel!25 Voi m’annoiate.
Leandro. Ecco qui; maladetta la vostra ipocondria;
Cogli orsi siete degno di stare in compagnia.
Eh, non pensate a nulla, fate il vostro mestiere:
Ogni due versi, o quattro, bevetene un bicchiere,
E dopo d’ogni scena una bottiglia almeno,
E terminando ogni atto, un grosso fiasco pieno.
Indi, finita l’opra, se stanco è l’intelletto.
Bevete, e poscia andate caldo dal vino a letto.
Il vino è quel che accende la nostra fantasia:
Pel comico poeta vi vuol dell’allegria.
Moliere. Se aveste da comporre dei versi, o delle prose,
Oh sì, col vostro vino fareste le gran cose!
Leandro. Eh, s’io compor dovessi, opre farei più amene:
Non già come le vostre di freddure ripiene.
Poichè, Molier mio caro, per dir la cosa schietta,
Nelle commedie vostre vi è sempre la burletta.
Staccar non vi potete dal basso e dal triviale;
Il vostro stile è buono, ma non è sempre eguale.
Moliere. Io soffro da un amico esser ripreso, e taccio.
Vario è il mio stile, è vero, ma a caso non lo faccio.
Io parlo agli artigiani, io parlo ai cavalieri;
A ognun nel suo linguaggio parlar fa di mestieri.
Onde in un’opra istessa usando il vario stile,
Piace una scena al grande, piace una scena al vile.
Se per la gloria sola l’opere mie formassi,
E di piacer26 a tutti per l’util non curassi,
Con tempo e con fatica anch’io forse potrei
D’alto sonoro stile ornare i versi miei.

Leandro. Oh, se a me l’opre vostre aveste confidate,

Quanto sarian migliori, quanto men criticate!
Moliere. Oh, se ascoltar volessi i bei suggerimenti,
Che ognor dati mi sono da fertili talenti,
Ogn’opra ch’io facessi, almeno almen dovrei
Da capo a piè rifarla tre, quattro volte, o sei.
Onde, se nol sapete, questo è lo stile mio:
Ascolto sempre tutti, e fo quel che vogl’io. (parte)
Leandro. Che diavolo! quest’oggi, e non ho ancor pranzato,
Non posso stare in piedi, ho un sonno inusitato.
Nella vicina stanza io vedo un canapè;
Pel sonno che mi opprime, egli è opportuno, affè.
Riposerò sin tanto che il suono del bicchiere
Mi desti; e s’egli pranza, pranzerò con Moliere.

Fine dell’Atto Secondo.

  1. Nell’ed. Bett. è chiamato Curlone.
  2. Bett. e Pap., qui e sotto: due.
  3. Bett. e Pap.: sarete con il tempo.
  4. Bett.: non può.
  5. Bett. e Pap.: quest’importuno zelo.
  6. Bett.: Oh dei!
  7. Bett.: Mi sentiria; Pap.: L’ucciderei.
  8. Nell’ed. Bett. è unita alla scena precedente.
  9. Bett e Pap.: Ah figlia malandrina!
  10. Qui comincia nell’ed. Bett. la sc. IV.
  11. Bett.: dei scherzi.
  12. Sc. V nell’ed. Bett.
  13. Bett. e Pap.: voi vi.
  14. Sc. VI dell’ed. Bett.
  15. Continua la scena VII nell’ed. Bett.
  16. Bett. e Pap.: Che diamine ha Guerrina?
  17. Bett. e Pap.: sarà.
  18. Bett.: O vuò saper il vero.
  19. Continua nell’ed. Bett. la sc. VI.
  20. Bett.: Come? perchè? Vuon farmi ecc.
  21. Sc. VII nell’ed. Bett.
  22. Bett.: che soffririano il danno.
  23. Ciò che segue, si trova nelle principali edizioni (Bett., Pap., Zatta ecc.), manca nel Pasquali.
  24. Qui comincia nell'ed. Bett. la sc. VIII.
  25. Bett.: Oh Dio!
  26. Bett.: E se piacere.
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