< Il Moliere
Questo testo è stato riletto e controllato.
Atto IV
Atto III Atto V

ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Foresta e Lesbino col ferrajuolo ed il cappello del signor Pirlone.

Foresta. Finita è la commedia?

Lesbino.   Finita.
Foresta.   Ed ha incontrato?
Lesbino. L’incontro strepitoso, universale è stato.
Nobili, cittadini, mercanti, cortigiani.
Artieri e bassa gente, tutti battean le mani.
Mentre Orgon la commedia coi detti suoi finiva,
Sentiansi d’ogni lato venir gli applausi e i viva.
Il popol dalle spoglie, dagli atti del padrone,
Non esitò in Tartuffo a ravvisar Pirlone;

Ei l’imitava in scena, e caricava in guisa,

Che univan gli uditori lo sdegno colle risa.
E furonvi di quelli che ad alta voce han detto:
Tartuffo scellerato, Pirlone maledetto.
Foresta. Anch’io piacer risento, quando il padrone è lieto.
Se l’opre sue van male, è fastidioso, inquieto.
Che ho a far di queste robe?
Lesbino. Vuole il padron che sia,
Prima che a casa ei torni, Pirlone andato via.
Dategli il suo cappello, dategli il ferraiuolo,
E fate che sen vada al diavolo il mariuolo.
Foresta. Non vorrà più il padrone tai spoglie originali?
Lesbino. Le farà far domani affatto affatto eguali.
Foresta. Andate, che il meschino or traggo di prigione, (entra)
Lesbino. Vo’ dietro la portiera mirare1 il bacchettone.
Se fosse in mia balia poter far un bel gioco.
Accender gli vorrei alli mostacci il foco. (parte)

SCENA li.

Foresta e Pirlone.

Pirlone. Oimè! Non posso più, son tutto sgangherato:

Quattr’ore2 in una buca mi avete confinato.
Foresta. O se sapeste quanto provai per voi martello!
Presto, presto, prendete il mantello e il3 cappello.4
Uscite, uscite tosto, pria che giunga il padrone.
Pirlone. Come! Moliere adunque ito non è in prigione?
Foresta. Di recitare adesso finito ha l’Impostore.
Pirlone. Come! Che cosa dite?
Foresta.   Andate via, signore.
Pirlone. S’è fatto...

Foresta.   S’ei vi trova, vi storpia, vi flagella.

Pirlone. S’è fatto l’Impostore?
Foresta.   Vi venga la rovella, (lo va spingendo)
Pirlone. Vado. (Cotesti indegni han fatto l’Impostore?)
Ito in scena è il Tartuffo?5 Oimè! mi trema il cuore).
Foresta. Cospetto! Cospettone!
Foresta.   Parto; non m’insultate.
(Oh femmina mendace! Oh genti scellerate!) (parte)

SCENA III.

Foresta e poi Pirlone.

Foresta. Se il popolo in teatro Pirlone ha rilevato,

Ei sarà per Parigi da tutti scorbacchiato.
Anch’io gli prestai fede, anch’io sedotta fui:
Valerio m’ha scoperti tutti gl'inganni sui.
Come! Ritorna indietro? Che novitade è questa?
Olà, che pretendete?
Pirlone.   Per carità, Foresta,
Celatemi, vi prego, nel ripostiglio ancora.
(Oh plebe scellerata! Lo sdegno mi divora).
Foresta. Signor, di che temete?
Pirlone.   Il popolo briccone.
Appena mi ha veduto, gridò: Pirlon, Pirlone.
Foresta. Ma io che posso farvi?
Pirlone.   Finchè la notte avanza,
Lasciate ch'io mi chiuda entro l’angusta stanza.
Mi caccerei ben anche in una sepoltura.
Foresta. Eh, che un uomo dabbene non dee sentir paura.
Pirlone. Eccovi in questa borsa, Foresta, lire trenta;
Son vostre, se celarmi colà siete contenta.
Di notte, a lumi spenti, quando ciascun riposa,
Io parto, e voi avete la mancia generosa.

Foresta. Ho compassion di voi.6

Pirlone.   Presto, ch’io tremo e peno.
Foresta. In quella stanza entrate.
Pirlone.   Qui starò meglio almeno.
(entra in una camera)

SCENA IV.

Foresta, poi la Bejart e Isabella.

Foresta. Forz’è che la coscienza davvero lo rimorda;

Di tutto si spaventa chi ha la camicia lorda.
Ecco le due rivali. (chiude l’uscio dov’è Pirlone)
Bejart.   Credi tu, sudiciola, (a Isabella)
Ch’io non intenda appieno ogni atto, ogni parola?
T’osservo quando parli, osservo dove guardi.
Quando passa Moliere, gli dai languidi sguardi:
Volgi le meste luci amorosette in giro, (con ironia)
Mandando dal bel labbro talor qualche sospiro;
Seder procuri in faccia al dolce tuo tiranno,
E fai mille versacci, che recere mi fanno.
Sì, sì, seguita pure7, io troncherò la berta;
Affè, non mi corbelli, starò cogli occhi all’erta.
Isabella. Dir posso una parola?
Bejart.   Via, che vuoi dirmi, ardita?
Isabella. Chiudetemi in ritiro a terminar mia vita.
Bejart. Chiuderti in un ritiro? Eh, son parole vane.
Andar dei sulla scena a guadagnarti il pane.
Ma se di matrimonio t’accende il desiderio.
Per te miglior partito, di’, non saria Valerio?
Vuoi tu ch’io gliene parli?
Isabella.   Per ora sospendete.
Chi sposa non è stata, d’esserlo non ha sete.

.
Bejart. Ah temeraria, indegna! Vuoi tu rimproverarmi?

Isabella. Signora, qual ragione avete or di sgridarmi?
Bejart. Vattene alle tue stanze. Spogliati, e vanne a letto.
Foresta, l’accompagna.
Isabella.   (Io fremo di dispetto.)
Ah! se Molier mi sposa, saremo allor del pari.
Ve’ farle scontar tutti questi bocconi amari).8
(parte con Foresta)

SCENA V.

La Bejart, poi Moliere.

Bejart. Vo’ al perfido Moliere parlar da solo a sola9,

Di non amar mia figlia vo’ che mi dia parola;
O in altra compagnia verrà Isabella meco10.
Vedrà Molier chi sono, se più non m’avrà seco.
Faccia commedie buone, tutte riusciran male;
Se manca la Bejart, la compagnia che vale?
Io son che il maggior lustro alle commedie ho dato.
Ed ora con gli scherni mi corrisponde, ingrato?
Ah! benchè ingrato, io l’amo: amica ancor gli sono,
E se perdon mi chiede, ogn’onta io gli perdono.
Eccolo.
Moliere.   Oh piacer sommo de’ fortunati autori!
Ben sofferte fatiche! Oh ben sparsi sudori!
Deh, lasciatemi in pace goder per un momento.
Questo che m’empie l’alma insolito contento. (alla Bejart)
Perdono a tutti quelli che m’han tenuto in pena;
Farmi perciò più dolce la gioia, e più serena.
Tutti mi sono intorn amici ed inimici.
Con fortunati auguri, con generosi auspici,
E quei che l’Impostore avean spregiato in prima,
Per l’applauso comune, or l’hanno in alta stima;

Tanto è ver che si piega il popol dall’evento,

Come la bionda messe cede al soffiar del vento.
Bejart. Molier, del piacer vostro sento piacer anch’io,
Che quale è il vostro cuore, crudo non è il cuor mio.
Non per turbar la gioia, ch’ora v’inonda il seno.
Ma per sfogar mie pene, posso parlare almeno?
Moliere. Ah! già che avvelenarmi volete un po’ di bene,
È forza ch’io lo soffra, e favellar conviene.
Vissi con voi tre lustri in amicizia unito,
Nè mai vi cadde in mente d’avermi per marito.
E or che per la figlia arder mi sento il petto,
Vi accende, non so bene, se amore o se dispetto.
Voi non parlaste allora, quando fioria l’aprile,
Vi dichiarate adesso nella stagion
Bejart.   La bile
Voi suscitar tentate di donna sofferente.
Moliere. (Femmina tal campana mai con piacer non sente).
Bejart. Su via, che concludete?
Moliere.   Dirò, senza riguardi,
Che avete il desir vostro svelato un poco tardi.
Bejart. Per me se tardi fia, per Isabella è presto.
In vostra compagnia, sappiatelo, non resto.
Moliere. A noi non mancan donne. Il perdervi mi spiace.
Pur, se così v’aggrada, dovrò soffrirlo in pace.
Ma prima la figliuola datemi per consorte.
Bejart. Anzi che darla a voi, a lei darò la morte.
Moliere. Che morte? Che minacce? Chi dir fastoso e baldo?
Più non ho sofferenza per trattener il caldo11.
Qual vi credete impero aver sopra la figlia?
Chi ad essere tiranna con essa vi consiglia?
È ver, la generaste, ma a voi non è assegnata
L’autorità suprema dal ciel che ve l'ha data.
Deve obbedire ai cenni figlia di madre umana,

Madre non dee alla figlia impor legge inumana.

Questo bel dono ai figli viene dal ciel concesso:
Chi elegge il proprio stato, può consigliar se stesso.
Ponno impedir le madri della lor prole il danno,
Ma un bene, una fortuna toglierle non potranno.
Che morte? Che minacce? Rispetterete in lei
La serva d’un Monarca, che sa punire i rei.
Volere, o non volere, fa in voi lo stesso effetto:
Mia sposa vostra figlia sarà a vostro dispetto.
Bejart. No, no; colle mie mani prima l’ucciderei12.
Son madre, e a mio talento disporrò di colei. (parte)

SCENA VI.

Moliere, poi Valerio.

Moliere. Parte sdegnosa e fiera. Ah! non vorrei che ardente

L’ira sfogar tentasse sopra dell’innocente.
La seguirò da lungi. La sera omai s’avanza.
Mi tratterrò alcun poco vicino alla sua stanza.
(s’avvia per dove andò la Bejart)
Valerio. Signor, gran plausi sento, gran viva all’Impostore.
Moliere. Che dicono i maligni?
Valerio.   Ciascun vi rende onore.
Or venga il conte Lasca a dir per avventura:
Nell’opre di Moliere non v’è, non v’è natura.13
Moliere. Ah, non vorrei... Lasciate ch’io vada: or ora torno.
Felice ancor non sono in sì felice giorno.
Foresta. (chiamando forte)

SCENA VII.

Foresta, e detti.

Foresta.   Eccomi pronta.

Moliere.   Dimmi, che fa Isabella?
Foresta. Per obbedir la madre, è a letto, poverella (0.)
Moliere, A letto veramente?
Foresta.   Io stessa l’ho spogliata,
E l’ho veduta io stessa fra i lini coricata.
Moliere. Quando salì la madre, gridò? Le disse nulla?
Foresta. Dormiva, o di dormire fingeva la fanciulla.
Moliere. Or che fa la Bejart?
Foresta.   Anch’essa per dispetto
Vuol andare digiuna a coricarsi in letto.14
Moliere. Si strugga e si divori donna d’invidia piena:
Mandatemi dei lumi, e pronta sia la cena.15 (Foresta parte)

SCENA VIII16.

Moliere, Valerio, poi Lesbino.

Moliere. Or più contento i’ sono: la figlia è coricata;

Non turba il suo riposo la genitrice irata.
Valerio. Possibile ch’uom tale, in cui ragione impera,
Abbattere si lasci da una passion sì fiera?17
Moliere. Amico. Il dolce affetto, che ha l’un per altro sesso,
È in noi tenacemente dalla natura impresso.
Com’opra la natura nei bruti e nelle piante,
Per propagar se stessa, opra nell’uomo amante.
E si ama quel che piace, e si ama quel che giova,
E fuor dell’amor proprio altro amor non si trova.

Lo provo: ama colui l’amica, ovver la moglie,

Ma sol per render paghe sue triste o caste voglie.
S’amano i propri figli, perchè troviamo in essi
L’immagine, la specie, la gloria di noi stessi.
E s’amano i congiunti, e s’amano gli amici,
Perchè l’aiuto loro può renderci felici.
Tutto l’amor terreno, tutt’è amor proprio, amico.
Filosofia l’insegna, per esperienza il dico.
Lesbino.18 (Entra con due candellieri colle candele accese, li pone sul tavolino, e poi s’accosta a Moliere.)
Evvi il signor Leandro e il conte Lasca uniti.
Che bramano vedervi.
Moliere.   Che restino serviti. (Lesbino parte)
Valerio. Verranno a criticare.
Moliere.   Chi lo vuol far, lo faccia.
Mi giova, e non m’insulta, chi mi riprende in faccia.

SCENA IX.

Leandro, il Conte Lasca e detti.

Leandro. Viva Molier mill’anni, viva la vostra Musa

Ad istruire eletta, a dilettar sol usa.
Ah! che piacer di questo maggior non ho provato:
Molier, ve lo protesto, m’avete imbalsamato.
Moliere. Grazie, amico....
Conte.   Che stile! Che nobili concetti!
Che forti passioni! Che naturali affetti.
Moliere. Signor, troppa bontà...
Leandro.   Più vivamente espresso
Carattere non vidi. Parea Pirlone istesso.
Moliere. Voi mi fate arrossire...
Conte.   Gran forza, gran morale!
Opra non vidi mai piena di tanto sale.
Moliere. Cortese cavaliere...

Leandro.   Celebre, egregio autore!

Conte. Maestro della scena, e della Francia onore.
Valerio. (Credo che alle parole il cuor non corrisponda).
Moliere. (Sogliono gl’ignoranti andar sempre a seconda).
Leandro. Moliere, a voi vicina avete un’osteria,
Con vin di cui migliore non bevvi in vita mia.
Moliere. (Ecco lo stile usato).
Conte. È un vin troppo bestiale.
Leandro.   Il Conte non sa bere.
Conte.   Ma voi siete brutale.
Leandro. Venne al teatro meco, e non vedea la via;
Andammo barcollando sino alla loggia mia.
Giunti colà, ripieni del vino saporito,
Il Conte alla commedia tre ore avrà dormito.
Moliere. Tre ore?
Valerio.   (L’ha sentita. Parla con fondamento).
Leandro. Fec’io quel che far soglio, quando alterar mi sento.
Andai a prender l’aria men calda e più serena,
E tornai ch’ei dormiva, verso l’ultima scena.
Valerio. (Non ne lasciò parola).
Moliere.   Dunque, per quel ch’io veggio,
Un dormì tutto il giorno, e l’altro fu al passeggio.
Eppur note vi sono le cose peregrine...
Conte. A me basta il principio.
Leandro.   Ed a me basta il fine.
Conte. So giudicar le cose vedute anche di volo.
Leandro. Il pubblico v’applaude, ed io me ne consolo.
Conte. Sentonsi per le strade ridire i frizzi, i sali.
Leandro. Un sarto ha registrati tutti i passi morali.
Valerio. (Ecco de’ lor giudizi la forza e l’argomento).
Moliere. (Questi son quei cervelli, di cui tremo e pavento).
Leandro. Dopo essere noi stati ad ammirarvi in scena,
Molier, vogliam godervi in casa vostra a cena.
Moliere. Ma come alla commedia v’andaste deliziando,
Un cenerà dormendo, e l’altro passeggiando.

Leandro. Via, via, siam vostri amici, e siamo qui per voi,

E chi vorrà dir male, avrà da far con noi.
Conte. La gloria di Moliere io sostener m’impegno.
Leandro. Che uomo singolare!
Conte.   Che peregrino ingegno!
Moliere. (Eppur fia necessario aver tal gente amica).
Volete cenar meco? Uopo non è ch’io il dica.
Poco, ma di buon cuore, avrete da Moliere,
Che solo per dar molto, molto vorrebbe avere.
Leandro. Conte, a bere vi sfido.
Conte.   Io la disfida accetto.
Leandro. Voi non andate a casa.
Conte.   Molier ci darà un letto (partono)
Valerio. Signor, codesta gente come soffrir potete?
Moliere. Giovine siete ancora; udite ed apprendete.
I tristi più che i buoni noi secondar19 conviene,
Acciò non dican male, se dir non sanno bene.
Il finger per inganno è vergognosa frode.
Ma il simular onesto è pregio, e merta lode. (parte)
Valerio. Moliere è un uomo saggio, Moliere è un uomo tale.
Di cui la Francia nostra non ha, non ebbe eguale,
Ed esser non potrebbe in scena autor valente,
S'egli non fosse in casa filosofo eccellente.

Fine dell’Atto Quarto.

  1. Bett.: godere.
  2. Bett.: Tre ore.
  3. Bett.: il manto ed il ecc.
  4. Segue nelle edd. Bett., Paper, ecc.: «Pirl. Udito ho nella via, contigua alla muraglia, - Gridare a tutto fiato Pirlon dalla canaglia. - For. Oibò, saran fantasmi. Presto, vi dico, andate. - Pirl. Oimè! Sì bruscamente, Foresta, mi scacciate? - For. Uscite, uscite tosto ecc.».
  5. Bett., Pap. ecc.: Sentii gridar Pirlone.
  6. (I) Segue nelle edd Bell., Pap. ecc.: «...celatevi, il concedo; - Ma poi le trenta lire? Pirl. Le avrete. (Non lo credo). - For. Vengono le padrone. Pirl. Oh cieli! Oh me tapino! - For. Chiudetevi là dentro. Pirl. Andrò nello stanzino, entra nella camera di prima».
  7. Bett. e Pap.: Vai, Vai, studiati pure.
  8. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «For. Andiamo. (E il bacchettone là dentro se ne stia, - Coi topi e con i ragni in buona compagnia)».
  9. Bett. e Pap.: Restar, fin che ritorna Molier, voglio qui sola.
  10. Bett.: andrò con essa meco.
  11. Bett. e Pap.: Ah, trattener non posso più nelle fibre il caldo.
  12. Bett. e Pap.: No, non sarà. M’eleggo d’andar prima in rovina.
  13. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Mol. Il Conte ch’è ignorante, segue il costume antico. - Val. Disse Leandro anch’esso, il vostro fido amico: - Sunt mala mixta bonis, sunt bona mixta malis. Mol. Qualis est ille mane, post prandium non est talis: - lo dissi già in volgare, lo dico ora in latino. - Tre sono i peggior vizi: le donne, il giuoco, il vino. - Per donna anch’io languisco, ma non è amor vizioso; - È amor che vien dal cielo quello di sposa e sposo. Ma non vorrei... Lasciate ecc.».
  14. Bett. e Pap.: è a letto la meschina.
  15. Bett., Pap. ecc.: Prese arrabbiata il lume, - E andar volle digiuna a riveder le piume.
  16. ett., Pap. ecc. aggiungono; «For. Signor, sarete stanco; recatevi a dormire. - (Mi stanno di Pirlone sul cuor le trenta lire), via». (4) Nell’ed. Bett. è unita alla precedente.
  17. Bett., Pap. ecc.: «... in cui ragion disonna, - La gioia o lo scontento solo ricerchi in donna?»
  18. Comincia la sc. VIII nell’ed. Bett.
  19. Bett.: blandire a noi.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.