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ATTO TERZO
Piaggia montuosa, selvaggia e deliziosa.
SCENA I
Tirreno ed Uranio.
l’odio ancor deporrá. Nota ho la figlia:
cangia col novo di pensieri e voglie.
Uranio. Al mio presente affanno
confidarsi nel tempo è duro impegno.
Tirreno. Finiran di placarla
i miei detti, i tuoi preghi.
Uranio. A’ fieri assalti
de’ fulmini e de’ venti
vidi immobil le rupi alzar la fronte.
Tirreno. Qual costanza ti fingi in cor di donna?
Orsú l’ora è vicina
de’ giochi usati. Io lá ti attendo. Intanto
serena il ciglio e tregua imponi al pianto.
SCENA II
Uranio.
che per Narciso arda Cidippe, e questa
sia la cagion che mi disprezza e fugge.
di straniera beltá spesso distrugge.
Alma di donna piú spesso impiaga
pupilla vaga
che antico amor.
Piú due begli occhi che lunga fede
trovan mercede
nell’incostanza d’ingrato cor.
SCENA III
NARCISO ed Eco (fra gli alberi nascosta).
non sa amar solo Narciso.
Eco. Narciso!
Narciso. (sentendo chiamarsi si guarda intorno e non vedendo alcuno segue il suo canto)
Non mi fa
mai pietá l’altrui dolore,
né m’incanta un bel sorriso.
Ogni petto arde di amore,
non sa solo amar Narciso.
Eco. Narciso!
Narciso. Parmi, o m’inganno? Olá, chi parla meco?
Eco. Eco.
Narciso. Sei tu, ninfa gentil? Dove ti ascondi?
Il tuo labbro soave a che mi chiama?
Eco. Ama.
Narciso. Tu, di amor sì rubella,
tu ad amar mi consigli? E ancor ti sembra
cosí vile il mio cor? Ma qual sarebbe
degna ninfa di me, dell’amor mio?
Eco. Io.
disdegnoso ti fuggo?
Forse non ho pietá de’ tuoi tormenti?
Eco. Menti.
Narciso. Teco io mentir? Sai pur che grata e cara
al par di te ninfa non trovo in queste
solitarie foreste;
tu accompagni i miei passi, io seguo i tuoi,
e vuoi che t’ami? E tanto amor non basta?
Eco. Non basta.
Narciso. Troppo mi sembri oggi importuna. Ah, senti...
Che fo? con chi m’adiro?
Son io ben folle a contrastar co’ venti.
Eco. Gentil garzone.
Narciso. Amata ninfa.
Eco. (Oh Dio!
si accordasse col labbro il core almeno.)
Narciso. Piú dell’uso mi sembri
lagrimosa e dolente, e qual ti turba
cura sí grave?
Eco. Oimè!
Narciso. Tu taci? e solo
con sospiri interrotti e tronchi accenti
mi risponde il tuo duolo?
Eco. Vorrei...
Narciso. Di’, che vorresti?
Eco. Pietá.
Narciso. Nel volto mio leggila impressa.
Eco. Vorrei; ma...
Narciso. Che paventi?
Eco. Che tu...
Narciso. Segui.
Eco. Non oso.
Narciso. Getta l’inutil tema.
Eco. ...amassi alfine...
Narciso. E chi?
Narciso. Che?
Eco. In linguaggio piú muto il tuo pensiero
quanto il labbro è pietoso il guardo è fiero.
La pietá che giura il labbro
nega il ciglio e mi spaventa.
Tu lusinghi i mali miei;
ma in conoscer qual tu sei
la lusinga mi tormenta.
SCENA IV
Narciso e Cidippe.
ha la natia fierezza e di cotanta
viltá ha rossor, non pentimento. Tace
per timor d’irritarmi e piú s’attrista.
Cosí fiamma vorace
cresce sepolta e maggior forza acquista.
Cidippe. Narciso, idolo mio!
Narciso. Ninfa, una volta
lascia d’importunarmi, o ch’io m’involo.
Cidippe. Ferma, crudele, il passo!
Forse ti chiedo amor? Chiedo che solo
tu ascolti ’l mio martire,
tu vegga il mio morire.
Narciso. Odi, o Cidippe. Uranio t’ama e langue
misero, addolorato.
Tu, che non l’ami? e chi tel vieta?
Cidippe. Il fato.
Narciso. Qual fato ora ti fingi?
Cidippe. Quello de’ tuoi begli occhi, ove due stelle
con influsso nimico
tu, che non m’ami? e chi tel vieta?
Narciso. Il fato.
Cidippe. Deh, m’ama, o caro.
Narciso. Ama tu Uranio ancora.
Cidippe. Io per te peno.
Narciso. Ei per te muore.
Cidippe. Io tutta
per te giá mi consumo.
Narciso. Egli ti adora.
Cidippe. L’amerò quando in volto
gli mirerò i tuoi lumi.
Narciso. Io quando in fronte
a folgorar ti miri
pupille piú serene o piú vivaci.
Cidippe. Forse non ho beltá?
Narciso. Ma non mi piaci.
Conosco che sei bella,
ma se non piaci a me, che vorrai far?
Hai fronte ch’è vaga,
hai sguardo che impiaga,
ma non ti posso amar.
SCENA V
Uranio e Cidippe.
piú bella di un ligustro
e piú fiera di un angue, o crudel ninfa?
Ape che impiaghi anche col mel sui labbri.
Cidippe. (pensosa tra sé stessa, nulla bada ad Uranio)
Ah Narciso, Narciso!
Uranio. Sapea ben io che piangi
per beltá che ti sprezza e vuoi, mal saggia,
non la ragion, ma il senso.
Cidippe. (c. s.)
Cosí sprezzarmi? e il soffro? E ancor non torno.
Uranio. Torna, sí, torna al tuo pastor fedele.
In lui non troverai
dispettoso lo sguardo,
disdegnosa la voce;
saran suoi voti i tuoi.
Vivrá col tuo desir, col tuo piacere.
Sará in due cori un’alma, e tu di quella
lo spirito sarai.
Cidippe. Non piú, crudele...
Uranio. Torna, sí, torna al tuo pastor fedele.
Cidippe. (lo guarda) Uranio.
Uranio. Idolo mio.
Cidippe. Che chiedi?
Uranio. Amor.
Cidippe. Deh, taci.
Uranio. Che? noi merta la fé?...
Cidippe. Ma non mi piaci.
Conosco che sei fido,
ma se non piaci a me, che vorrai far?
L’affetto è costante,
gentile è il sembiante,
ma non ti posso amar.
SCENA VI
Uranio.
Tirren m’attenderá. D’uopo è gl’indugi
romper omai. Piú consolato io parto,
poiché ad onta dell’ira in voi ben vidi,
e fra le nubi ancora e le procelle
mi additaste la calma,
o del cielo di amor lucide stelle.
Tornami in seno
cara speranza,
raggio sereno d’ogni tormento,
dolce alimento della costanza.
SCENA VII
La Valle di Amore.
Tirreno, Lessino e Coro di pastori e di ninfe.
il foco tuo possente,
il tuo fulmineo tel?
Qual duro cor nol sente,
se il sentono l’inferno,
la terra, il mare, il ciel?
Tirreno. Su via, pastori e ninfe, insin che lieto
per le spiagge vicine erbette e fiori
va pascolando il custodito armento,
sediam. Lesbino intanto,
qual di voi piú gli aggrada, inviti al canto.
Lesbino. Tirren, tempo giá fu che, d’ogni cura
libero il cor, fei risonar questi antri
di dolci carmi, ed al mio suono arrise
dal Parnaso vicino il biondo Apollo;
ma con la doglia in seno,
qual piú poss’io formar voce soave
che a terminar non vada in un sospiro?
Tirreno. Amor dá spirto al canto. Invan contendi.
Ecco sen viene il giovinetto Uranio,
non men di te caro alle muse.
SCENA VIII
Uranio e i suddetti.
potrai cantar della tua ninfa i pregi.
Uranio. Se non ne sdegni ’l paragon...
Lesbino. Son pronto.
Tirreno. Un mio baston di faggio
che giá in dono mi diede il vecchio Aminta,
fia degno premio al vincitor. Noi tutti
i giudici sarem del canto vostro.
Uranio. Cantiam, tu d’Eco, io di Cidippe il volto.
Tirreno. Lesbin principi, Uranio segua. Attento
ognun taccia; io v’ascolto.
Lesbino. Occhi cari, adorati,
vive del sol fiammelle,
occhi non siete, no, ma siete stelle.
Uranio. Labbra dolci e soavi,
cune di amor vezzose,
labbra non siete, no, ma siete rose.
Lesbino. Dell’aureo crine meno biondeggiano
le spiche intatte.
Uranio. È assai men bianco del fronte candido
il puro latte.
Lesbino. Ma con sí gran beltá,
come accordi, idol mio, tanta empietá?
Uranio. Con sí gentil sembianza,
come si unisce, oh Dio, tanta incostanza?
Lesbino. Vedrò prima al mio pianto i sassi piangere,
e sospirare a’ miei sospiri i frassini,
che mai quel duro cor io possa infrangere.
Uranio. Vedrò prima su l’ali il vento immobile,
le frondi non cader degli euri al sibilo,
che mai trovi costanza in cor sí mobile.
sprezzami, usa rigor;
amerò gli occhi tuoi,
ti porterò nel cor.
Uranio. Infido e bel sembiante,
schernisci la mia fé;
ti adorerò costante,
e sol vivrò per te.
Tirreno. Non piú, cari, non piú; di premio eguale
degno è l’emulo canto. Ambi vinceste.
Mediterò per ambi egual mercede.
Or la danza succeda,
ninfe leggiadre, e qui compisca il gioco,
ma d’amor pria si canti e l’arco e il foco.
Coro. Dove non giunge, ecc.