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ATTO QUINTO
Torna la fonte col bosco.
SCENA I
Lesbino.
pur rispondono le selve,
piangon pure i sassi e l’onde.
Chi è cagion de’ miei tormenti
sol non piange e non risponde.
Eco, ninfa adorata,
perché ti diè natura
fra le beozie ninfe il piú bel volto,
fra le beozie ninfe il cor piú fiero?
Quasi voglia che sia
pari alla tua beltá la tua fierezza,
e alla fierezza tua la pena mia.
Eco, ninfa spietata,
della neve e del marmo
piú candida e piú fredda,
com’esser può che tu non senta ardore,
se tanto in me ne accendi?
Certo il sen ti circonda
tutta la Scizia, e tutto il caspio verno,
o pur ne’ tuoi begli occhi e nel mio core
tutto il suo foco ha consumato amore.
SCENA II
Narciso e Lesbino.
per timor di naufragar.
Sol io, pien del mio cordoglio,
torno ancora a quella fonte
ch’è cagion del mio penar.
Lesbino. Dove, o gentil Narciso?
Narciso. (torna a sedersi alla fonte)
Alla fonte, o Lesbino, anzi alla morte.
Lesbino. (Qual dolor mai l’opprime?)
Narciso. Oimè! Che volto è quel? Dove son giti
delle purpuree gote,
delle labbra vermiglie i bei colori?
Chi v’ha tolto, o pupille,
quel dolce raggio? Ov’è il sereno e il brio
della fronte e del ciglio?
Ah, che piú non ravviso
in Narciso... Narciso!
Lesbino. (Ei sé stesso vagheggia, e duolsi e piange.)
Narciso. Tornate a serenarvi,
bellissime pupille,
o morirò.
Lasciate vagheggiarvi
piú liete e piú tranquille;
sinché a pianger seguite, io piangerò.
Lesbino. (Come gli sviene in su le labbra il vezzo,
e gli si oscura in su la fronte il ciglio!)
Narciso. Ma cosí vil son io? Dov’è l’antica
fermezza? e qual divenni? (sorge dalla fonte)
Spiriti generosi, in seno ancora
rintuzzatemi ’l cor. Fuggiam... ma dove
la piaga sua. Come potrò d’amore
fuggir, se l’ho nel core?
Ah, mio core infedel, poiché risolto
sei tu di amar, ama chi devi almeno.
Eco ha beltade, Eco ti adora, ed Eco
sia pur la fiamma tua, ne sarò pago.
Deh, bellissima ninfa,
dolcissima compagna, Eco perdona!
Vorrei, né posso amarti. Ah, se non posso,
ne incolpa il volto mio, non il mio core.
Ho duol di non poterlo. Egli ti basti.
Ma giá scritta mi veggo
la mia morte nel volto e in sen ne sento
tutto l’orror, e il mio destin mi chiama.
Si compisca una volta
la morte mia. Giá vengo.
Tu, tu fonte, che fosti
la cagion perché io mora,
servi di tomba alla mia morte ancora.
(si getta nella fonte)
Lesbino. Oimè! ferma, Narciso! Oh troppo lento
Lesbin, sugli occhi tuoi muor l’infelice,
dall’acque ingorde oppresso. Acque spietate
piú di quelle di Stige e di Acheronte!
Voi... ma qual nova sorge
delizia agli occhi ed ornamento al prato?
Certo Narciso si è cangiato in fiore.
Tu, che spunti dal suol, fiore adorato,
nelle tue foglie il suo dolor sta scritto
con un orror che piace,
con un pallor ch’è vago.
SCENA III
Eco e Lesbíno.
Dov’è il mio amante?
Ditel, pietose
aure vezzose,
amiche piante.
Lesbíno. Con qual coraggio, o ninfa,
dirti potrò: Narciso è morto?
Eco. È morto?
Morto dunque è Narciso? e il cielo iniquo
perire in quel bel viso
lasciò della sua man l’opra piú vaga?
Ma dove son l'ossa adorate? e dove
quel bellissimo volto? A me sol tocca
l’ultimo onor del rogo.
Lesbíno. Eccolo, o bella,
cangiato in fior dalla pietá de’ numi.
E dalle sponde istesse, ond’ei giá cadde,
poiché in fiore rinacque,
torna sé stesso a vagheggiar neli’acque.
Eco. O fior che in te ritieni
dell’antica beltá l'orme primiere!
Cosí mai non ti offenda
turbine irato o incauto piè ti atterri.
Ne’ miei baci ricevi
gli ultimi miei respiri. Oimè, perch’io
tutta voce non sono,
per dire i pregi tuoi, l’affanno mio?
(si va cangiando in voce, ritirandosi fra gli alberi)
Or che morto è Narciso,
in vita si penosa, in tanto duolo,
che piú dimoro? . . . . . moro.
le membra languide,
mancarmi sento
il mio respiro . . . . . spiro.
E veggio solo
l’aspetto orribile del mio martoro.
SCENA IV
Lesbino.
ti toglie agli occhi miei?
Mio bel sole, ove sei?
(entra nel bosco in atto di cercar Eco)
Sole amato, e dove sei?
Dove ascondi ’l bel sembiante?
Qual di queste ombrose piante,
qual ti tolse agli occhi miei?
SCENA V
Tempio di Venere.
Uranio, Cidippe, Coro di pastori e di ninfe.
gran dea di Gnido,
rendi felici i cori.
Con lieti canti
del tuo gran nume,
del tuo Cupido,
diremo i sacri onori.
tanta è la gioia mia.
Cidippe. Parmi che il padre
troppo sia lento.
Uranio. Ah, temo
tanta felicitá, che non mi fugga.
Cidippe. Sposo, di che piú temi?
Questo sen, questo volto e qual io sono
tutta son tua, tua sarò sempre, o caro.
Uranio. Oh dolcissimi accenti! oh gioia! oh core
troppo angusto a capirla.
Cidippe. Solo in quella ch’io sento,
l’aver sí tardi amato
tanto amor, tanta fede, è il mio tormento.
Coro. De’ nostri amanti, ecc.
SCENA VI
Tirreno e i suddetti.
fuggitive allegrezze! Oh morte acerba!
Cidippe. Padre!
Uranio. Che mai sará?
Cidippe. Qual male arrechi?
Tirreno. Son morti, oimè, son morti,
l’onor di questi colli, Eco e Narciso.
Il misero Lesbino
ne fu presente e a me piangendo il disse.
Su, i giulivi apparati, i risi, i canti
si cangino per doglia
in funeste gramaglie, in nenie, in pianti.
(si apre il prospetto e vedesi un cielo)
Ecco dal cielo aperto in bianca nube
piú del sole luminosa
scender a noi Narciso ed Eco, oh quanto
e piú lieti e piú belli!
SCENA ULTIMA
Narciso ed Eco in macchina, e i suddetti.
la primiera allegrezza e non vi turbi
l’esser privi di noi,
sciolti dal mortal velo.
Eco. Godete pur, ché noi godiamo ancora;
voi lieti in terra e noi felici in cielo.
Cidippe e Uranio. Godiamo pur, se voi godete ancora;
noi lieti in terra e voi felici in cielo.
Tutti. Godiamo pur, ecc.
Eco. Mio bel sol,
Narciso. Mia bella spene,
Eco. cara vita,
Narciso. amato bene,
Eco e Narciso. pur ti stringo,
Cidippe e Uranio. e pur ti abbraccio.
Eco e Narciso. Stringi,
Cidippe e Uranio. Abbraccia,
A quattro. | quanto | puoi |
vuoi. |
Cidippe e Uranio. È dolce il laccio.
Eco. Dopo lunghi tormenti
cosí in amor si giunge a’ godimenti.
Coro. Dopo lunghi... ecc.
il caro ben,
non prova alcun tra noi
gioia maggior.
Godete, amanti eroi,
del vostro amor,
ché al vostro almo diletto
gode ogni cor.