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DIALOGO SESTO.
Efpoft-^ione dell’univerfal principio dell’Attra-
zione Newtoniana, Applicazione
di quefto principio all’Ottica^
e Conclujìone.
LA Marche fa non meno impaziente per l’attrazione di quel che per le altre cofc (lata Io fofie, il feguente mattino dopo ì primi, e brevi complimenti, egli è tempo, incominciò a dire,di montare il nortro Ippogrifo, e di allentargli la briglia. Non occorre, replicai io, ch’e’ fi franchi per pìcciol cammino, fe ben mi fov* verrà di certi orribili numeri, che oda dirvi. Tutti i Pianeti girano a varie dilhnze intorno al Sole, che quali nave cento mila volte più vallo della noltra Terra, fì trova effere come il centro del loro moto nei ieno d’un maeitofo ripofo. Vicin del Sole a una diftasza però di trenta due milioni di miglia Inglefi ( poiché quelle miglia fono più che altre confecrate al Cielo ) è il picciol Mercurio, a cui fiegue la brillante Venere a cinquanunove milioni di diilanza, indi h noltra Terra a ottantuno,
il rollo Marte a cento ventitré, a quattrocento
ventiquattro lo fmiiurato Giove, e il tardo do, e vallo Saturno a ferrecento e Ottanta fette milióni di miglia; confervando rutti nel movimento loto quel naturale ordine, che 1 più vicini al Sole la loro rivoluzione ovvero orbita in minor tempo compirono, e i più lontani in maggiore; Mercurio in ottanitotto giorni, Venere in dugenio ventiquattro, e alcune ore, la Terra, come già Capete; in un’anno, Marte quali in due, Giove predò che in dodici, e Saturno in venti nove e mezzo in circa; e ciò con una tal dipendenza, o rapporto, -che vogliam dire tra la diltanza di tifi dal Sole, ed i tempi delle loro rivoluzioni, che nota che ne fìa la diftanza di due a cagion d’efempio della Terra, e di Giove, ed il tempo delia rivoluzione d’uno, come della Terra, che è un’anno, li può trovare con una certa regola il tempo della rivoluzione dell’altro.
Io’ non veggo l’ora, ditte la Marchesa, per meglio,e più tranquillamente guftar ciò, che mi dite, di aver letto la Pluralità de’ Mondi, che dee convincermi del moto, e dell’agilità, di quefta Terra. Ora, rifpos’io, che liete cotanto avanzati nella Filofofìa, vi converrà cercarne la vera dirne fi razione in Inghilterra. Si erano oiTervate nelle Stelle certe apparenze, che da alcuni Furono credute confeguenze di quello moto; ma da nitriche l’efaminaron meglio, benché difenfori follerò di elio, trovate furono del tutto contrarre a ciòcche le leggi d’un tal movimento avrebbon richiedo. Il moto della luce, che impiega un fempo confiderabilirTimo a venir dalle Stelle infina a noi, dee itranamente variarle, e dovea esser considerato anch’esso insieme con quel, che la Terra â dintorno al Sole, affine di renderne ragione. Quelli due moti adunque dalla sagacità Inglese combinati insieme a puntino spiegano quelle bizzarre apparenze in qualunque altro sistema inesplicabili, e in tal modo siamo ora certi di una cosa, che era provata da mille parti, e rigorosamente dimostrata da nessuna.
I cinque Pianeti adunque, nel numero de’ quali possiamo ora sicuramente ripor la Terra, si chiamano primarj per distinguerli da altri Pianeti subalterni, che girano intorno ad un primario, e che si chiaman secondarj, come fa la Luna intorno alla nostra Terra, i quattro Satteliti di Giove intorno a questo Pianeta, e i cinque intorno a Saturno. Questi secondarj convengono co’ primarj in questo, che osservano quell’ordine, che i più vicini compiscono la loro orbita in minor tempo, e i più lontani in maggiore, e lo conservano coll’esattezza stessa, e collo stesso rapporto, con cui abbiam detto fare i primarj.
Un’altra cosa, in cui quelle due sorte di Pianeti convengono, è, che in tempi eguali scorrono non già pezzi di orbite eguali, ma pezzi d’orbite tali, che le aree vengono ad essere eguali. Per bene intendere quell’altra legge del loro moto, immaginatevi l’orbita d’un Pianeta primario essere appresso a poco un cerchio, e il Sole essere non già nel mezzo di esso, ma un poco da un lato. Figuratevi da quel punto dell’orbita, in cui il Pianeta è per esempio in questo momento tirato un filo al Sole, e dal punto in cui egli sarà dopò ventiquattro ore tiratone un’altro. Quello fpazio, che è comprefo tra i due fili, che vanno ai Sole, e il pezzo di orbita, che il Pianeta a fcorfo nelle ventiquattro ore, è ciò che fi chiama urea, la quale farà eguale ad un’altra tale area, che fi formerà dopo altre ventiquattro ore; e in tal modo in tempi eguali le aree faranno Tempre eguali; in un tempo, che fotte la metà di un’altro, l’area pure farebbe la metà dell’area fcorfa nel primo tempo, e generalmente 11 dice le aree effere proporzionati a’ tempi; il che altro non vuol dire, che fecondo che un tempo farà la metà, il terzo, il quarto, il doppio di un primo tempo, che fi fia prefo ad arbitrio, come per efempio ventiquattro ore; le aree pure fcorfe in quelli tempi, faranno la metà, il terzo, il quarto, il doppio dell’area fcorfa neri primo tempo, Quello che fanno, i Pianeti prìmarj rifpetto al Sole, lo fanno i fe"condarj rifpetto al primario intorno a cui girano, che è verfo i fuoi Satelliti ciò, che verfo 1 Pianeti del primo rango è il Sole.
Mi piace, disse la Marchesa, quefia convenienza. che v’a tra quelte; flue fòrte di Pianeti, lo mi figurò il Sole come il Sovrano di quello immenfo Regno Planetario, di cui i Pianeti primari fono i Grandi ed i Baroni; alcuni de’ quali an de’ Feudi dove efercitano quella medelìma giurifdizìonc in picciolo, che il Sovrano efercica in grande, Tutti poi per dimoftrarne la dipendenza, girano unitamente intorno à lui. Alla noli ra Terra è toccato un picco! Feudo, in cui fi fa ubbidire dalla Luna; c le non può gareggiar con Giove, e con Saturno; né Mercurio, nè Venere nè Marte il poimo per quello conto con noi.
Cottila voftra firn ili tudine, replicai io, faila più che in qualunque altro, giufia nel fiftema de* Vortici, in cui quelle giurifdizioni pajono affai bene flabilite, tanto più, che cotefta Filofofica Potila ama dì adornarfi di comparazioni e di fimilirudini, e di farle eziandio talvolta divenir ragioni. Ma le due leggi, di cui vi ó parlato, non le permettono di eflerlo. Veramente egli è un peccato di dovere abbandonar cotefli Vortici, che offrono allo fpirito una si chiara, sì naturale, e si femplice idea. I Pianeti girano intorno al Sole, perchè un fluido, in cui fono immerfi gira egli medtfimo, e ne gli porta feco come vascelli lasciati in balìa alla corrente d’un fiume. I fecondar] girano intorno a* primari per la medefima ragione. Non fi può immaginar niente di più chiaro. Ma il male fi è, che quelli Pianeti non fi contentano femplicemente di girare, ma ìlvoglion fare con certe inviolabili leggi, che guadano ogni cofa.O non fi ponno quefie f comporre tutte e due co’Vortici, o ci fi compongono di così mala grazia con tutti gli sforzi, che fono flati fatti, che uno de’ loro più illuttn Diteniori giunge a dire efler lui in dubbio non olla nte ciò, che per difenderli faceva, fe coloro che ncufavan d’ammetterli non fi Mero per avventura nella loro opinion confermati per cagion della maniera, ond* egli li difendeva. Oltre di che e fon premuti da tante altre così gravi discolia, che pare aver congiurato alla diftruzione di questo bel Poema il Cielo tutto insieme.
A lui non piaccia, ripigliò ella, che oliamo abbracciare un partito al celeffe contrario. Io non polfo d’ai era parte accomodarmi all’idea d’un Poema in Filofofia. Che cos’è quella Potila Filo fo fica, a cui io non fo dare un luogo nel mio fpirito? FJla fi dee contentar di entrare dov’entrano le pafiìoni degli uomini, come uomini; ma dov’entra la paflìon degli uomini, come Filofofì, che è la Verità, ella non dee avervi che fare.
Il Newtronianismo, rispos’io, vi à inspirato fentimenti bene autieri, Ma per liberarvi da quella Poefia, che troppo angufto a fe medefima crede il vafìo campo delle umane paffiani, io credo baftar le Comete i più dichiarati nemici, che abbiano i Vortici in Cielo, Elleno pajono fatte apporta per rovinar fittemi. Si era riabilito in virtù di che io non fo, ma in fine i Filofofì s’erano acchettati a credere, che nel Cielo ogni co fa ingenerabile, e incorruttibil folle, e nel medefimo fiore di durevol giovanezza permanente nulla de’ cangiamenti rifentiffe, e delle vicende di quaggiù, Vengono le Comete nude quafi da principio, e nell’accolrarfi che fanno al Sole, di fpavencofa coda fi rivestono, di cui pofeia, feoftandofene, fi fpoglian di mano in mano; talché fene ritornan quafi così nude, come vennero; ed ecco il bel fu/tema della incorruttibilità delle cofe cele fti me fio in gran pericolo da co teff e importtine. E queffa per avventura una fu delle ragioni, perchè dal celefte Ior feggio degradate follerò, e quaggiù polle nell’aria come una vile meteora formata da’ vapori, e dalle efalazioni di quello noftro bailo Mondo. Ma esse non vi vollero già fllre lungo tempo, poiché oltre a’ molti antichi Filofofi, che le confiderarono, come una delle non paffaggiere, ma durevoli Opere della Natura, gli Agronomi, i quali doveano avere la loro parte in una co Ci, che è fopra dì noi, ci afficurano efferelle lontamffimc dalla Terra, ed alcune effeme più lontane del Sole me deli mo. Queste Comete, dille la Marchefa, fono almeno di mal’augurio per li Sistemi, se non fono per le Tette coronate. Né quelle furono, foggi uns’io, le fole noje, ch’elle diedero a’ Filolofi. Pofte ch’elle furono tra’ corpi celefti, non fi poterono accordare colla folidità, ch’era fiata accordata a’ Cieli fu Ila parola d’Ariiìotele; coficchè, fe non li volle, che frac a (Tallero, e ger tallero in pezzi tutto l’Universo paflando per quefti Cieli Ariftoteliei, bi fognò nfolverfi a farli fluidi; e fatti, che furori fluidi divennero Vortici, contro i quali effe rinovanon più che mai viva la guerra per diftruggere una vaghiffima immaginazione, ch’era Hata dal Mondo ricevuta con tanto applaufo, e a cui altro son mancava che la verità. Alcune di effe non in fatto Talora difficoltà di traverfar tutte le orbite de* Pianeti venendo quali a dirittura dall’alto del vortice fino al Sole, alcune fi fon moffe per un verfo totalmente contrario a quello de* Pianeti fenza ricever nè in un cafo, nè nel!" altro alcun rirardamenro nel loro moto; il che avrebbe dovuto fenza dubbio fuccedere, fe vi folle una materia, che g traile intorno al Sole, e giraffe a varie distanze di lui colla rapidità de’ Pianeti che vi nuotan per entro. Il loro moto farebbe fiato talmente infievolito, che girando tutte pel inedefimo verfa, per cui li Pianeti, ubbidito avrebbono in picciol tempo all’irrefiitibiE forzadel vortice; non meno che le infelici barche per quanto vi lottin contro, cui maligna ftella, o Nocchiero incauto a naufragar conduce colà ne’ fpaventofi gorghi de’ fiumi Cinefi. In foni ma non v’à cofa cobi direttamente contraria alle leggi de’ vortici, ch’effe non abbian fatto; talché per liberarli dalle continue ingiurie, ch’elfi van ricevendo da quelle Comete, che vi vengono di quando in quando a commettere ogni forte di oflilità e d’impertinenza, rimedio altro non veggo, che diftruggerli una volta per ferri pre, e toglierli dal Mondo. 11 volito ripiego, dille la Marc he fa, non è men violento di quello, che talora prenddi alla Guerra, in cui ove un paefe contro il nimico a difender non vaglialo, di rumarlo fi avvifano, e di diilruggerlo: e per tal modo alla debolezza loro facrificano ciò, che voi facrificate per altro alla forza del Vero. Per la qual cofa e* non può per niun conto difpiacermi, tanto più ch’egli mi pone in illato di più tranquillamente udire il nuovo principio, fu cui è fondato il Siile ma Celeste.
Il Signor Newton, continuai io, prendendo il fuo volo dalla Geometria, ch’è quanto dire dal fu o Terrea nativo, incomincia dal dimoftrare, che fe un corpo, ch’è in moto, è attirato verfo un punto, ila egli mobile, o immobile; descriverà intorno a quello punto aree eguali in tempi eguali s e generalmente, che le aree faranno proporzionali a* tempi; e all’incontro, che fé un corpo de Te ri ve intorno a un punto mobile, o immobile aree proporzionali a’ tempi; egli fkià verfo quello punto attirato, cioè a dire, ch’egli avrà una tal tendenza ve rio quel punto, che fe ceflafle ogn’altro moto, che lo fpinge altrove, egli andrebbe dirittamente ad unirli ad elio, così come i corpi qui fu Ila Terra, che abbandonati, che fono a fe lllffi, dirittamente fopra di lei a piombar vanno.
Questo principio, m’interrupp’ella, fi applica da fe medefimo a’ Pianeti primar) egualmente, che a’ fecondar]. Gli uni, e gli altri deferì vono intorno al punto a cui girano, fe pure il Sole, la n olirà Terra, o Giove fi potino dir punti, aree proporzionali a’ tempi, Dunque fono attirati i primarj dal Sole, e gli altri dal primario intorno a cui girano. Non è ella quella una confeguenza neceflaria? Ella è neceffana,rifpos’io, dell’ultima, neccflìià. Ma ricordatevi, che voi l’avete dedotta da voi medefima. Quella punizione ila bene a chi faceva tanto la turo fa full’attrazione. Voi adunque mi dite, che nel Sole v’à una forza? che attrae i Pianeti a fe, e parimente ne’ Pianeti una forza, che attrae i Satelliti; e che quella forza attrattiva combinata con quella, che anno tutti di muoverti in linea diritta da Occidente in Oriente, fa, che girino gli unì intorno il Sole, gli altri intorno a’ loro primarj con una certa legge. Questo difficil fenomeno per la cui spiegazione gli Antichi aveanfabbncato de* Cieli folidi, e creato delle Intelligenze, che li muoveano, e il Dcfcarres avea ingombrato l’Univedo col fuo grande e magnifico apparato de’ Vortici, lì riduce a l più femplie e fenomeno del Mondo, fenomeno però da Principe, fattoli affai più cheamolti non giova da alcuni anni familiare in Europa: a quello in foma d’una palla di cannone, che perfe tteffa fi muoverebbe in una linea diritta, fe laforza della Terra che l’attira di continuo a fe, non la laringe [Te a muoverli in una curva. Tanto la Natura nell’infinita varietà fua, è femplice ed uniforme, La palla ricade ben pretto in Terra, perchè la maggior forza, che noi darle polliamo, non è che picciola rifpetto alla vaili ià di quello Globo. Se pombil folle all’umani debolezza di cacciarne alcuna fin di là dal Perù, egli è dimoiato, che noi faremmo acquilo d’un novelloSatellite, poiché emula della Luna ella girerebbe intorno alla Terra, fe non che dovendo ben pretto il fuo moto per la continua refiflenzi, che troverebbe nell’aria, illanguidirfi, e nulla intanto perdendo la forza della gravità del vigor fuo; quella novella Luna a fracallar verrebbe cadendo ciò ch’ella incontrale dopo averla noi feotìra orribilmente fi fchi are fui le nollre tette. Tutto ciò voi mi dite in due parole. Vedete fe le parole delle Dame fignifican molto. Voi mi dite certamente molt illìaio, ma non dite ancor tutto. Egli retta da iàpere con qual legge quella forza attrattiva agifee, cioè a dire s’ella è la medeùma in tutte le dillanze dal Sole, pure s’ella è più debole a mi fura, che la diftanza ne è maggiore. Quefto vi faprò pur dire, rifpofe la M are he fa, quando vogliate darmi unto, quanto già mi avete dato per dirvi, che i Pianeti fono attirati dal Sole, e vi piaccia poi, come fatto avete, cortefemenre comentarmi.
Quella legge, continuai io, che ofiervano ciafeun Pianeta in particolare di deferiver le aree proporzionali a’ tempi, à dato al Signor Newton di che feoprire la forza attrattiva nel Sole, e quell’altra legge, che o {fervano di de feri vere le loro orbite in maggior tempo a mi fura, che fon più lontani dal Sole, e ciò con un certo rapporto tra quefti tempi, e loro diìtanze; g!i a" fatto feoprire, che la forza attrattiva fi va fempre diminuendo lungi dal Sole con una certa tal proporzione, ch’ella fia tanto minore quanto maggiore è il quadrato del numero, ell’efprime la diftanza del Sole med efimo. Per intendere quefta citerà, che potrebbe a tutta prima fpaventarvi, convien fapere, che il quadrato d’un numero altro non è, che il medelimo numero moltiplicato per fe fteifo, come il quattro è il quadrar o óeldue, perchè due via due fa quattro, cioè due moltiplicato per fe mede fimo dà quattro. Io dunque VI darò un Problema da fcioglieie così fu’ due piedi, acciocché fe i feorfi giorni fpiegavate i fenomeni della Fifica, oggi polliate feiorre i problemi della Matematica, dopo di che io non veggo quaf altra cofa polfiate far di migliore, che ufar qualche gratitudine, e dir tal volta il vero, a "chi v’à inoltrato cotcfti aftrufi, e riporti fent ieri della Verità. I1 Problema, ch’io vi propongo è quello: Data la diftanza della Tena dal Sole, che fia uno, e la diftanza di Giove dal Sole, che è in circa cinque nfpetto alla diftanza della Terra, trovare quanto faià diminuita la forza attrattiva del Sole alla diftanza di Giove. Datemi, vi prego, foggiuns’ella con una certa impazienza, un po’ di tempo, poiché non lì tratta d’una bagateìla a dover fciorre un problema. Voi m’avete detto, che la forza attrattiva tanto è minore, quanto è maggiore il quadrato del numero, ch’efprime 3a disianza. II quadrato di uno, che è la d Mar za della Terra dal Sole è uno. E alla diftanza uno, difs’io, fi fuppone, che la forza fia uno, c fi cerca di quanto ella farà diminuita, allorché faià arrivata alla diftanza cinque, che è la diftanza di Giove dal Sole. 11 quadrato di cinque, foggiuns’ella fu b ito, è venticinque. Se la forza attrattiva del Sole dee effer tanto minore, quanto maggiore è quello quadrato, converrà, che in Giove ella lìa venticinque volte minore dì quello che è nella Terra. Non è ella quefta la follinone del Problema, e non pofs’io andar gridando, come già ò udito di quell’antico Geometra o trovato, o trovato?
Voi il potrelle, rifpos’io, ma noi vorrefte fare in quel mede fimo abito, in cui ufeendo preci puofamen te del Bagno, il fece egli, I Matematici dovrebbon più torto, come già fece un* altro dì loro per una verità trovata, guidar l’Ecatombe per folennizzar quello giorno, in cui del voflro nome abbellir potranno, e rallegrare il maninconico loro Catalogo. La legge che nello indebolirti a varie diftanze del Sole viene dalla forza attrattiva olTervata, è quella medefima appunto, che oflèrvan le altre qualità, che da’ corpi fi diffondono; come l’odore, il luono, il calore, e la luce, che è quella, che più d’ogni altra ci appartiene; talché credendo voi aver poco fa fciolro un folo Problema, ne avete realmente fciolto due. La luce del Sole in Giove, dille la Ma-chefa, farebb’ella anch’ella venticinque volte minore, che qui da noi, come lo è l’attrazione? Appunto, nfpos’io, il medefimo numero ferve si per l’una, che per l’altra. Similmente voi troverete, che e l’attrazione, la luce del Sole, e il tuo calore, effer denno in Saturno novanta volte minori, che qui da noi. 1 crepufcoli de’ noli ri più remoti Lapponi farebbono ivi i più bei giorni di State, e nella più fervente fua Canicola i noftri mari in perpetuo ghiaccio indurati, gemerebbono non già al folcar di agile vafcello, ma/otto il pcfo di pigro carro; laddove m Mercurio nel cuore iillfiò del Verno a cagion della fua grande vicinanza al Sole, diffipandofi ben pretto in fornii vapori, e rettando afciutti, offirirebhono a Piloti un’orrendo fcheletro, e una terribil villa degli fravenù dell’onde, e a’ Naturalifìi una vaga fofpirata Scena, onde arricchire ita Musei.
Vedete, rifpos’ella forridendo, quante belle cofe io avrei trovato fenza accorgermene Kgh è pur vero, che le cofe grandi fi tanno il più Iorate fenza faper come, e che fi retta in ime colla maraviglia di vederle fatte. Nelle azioni umane, foggiu ns’io, egli 3 afe rive alla Fortuna degli A fellandri, e de’ Cefari, fe prefigendofl del iuo operare un folo fine, venga fatto di confo 1 guirne anco un’altro, a cui non fi penfava. E il più delle volte avviene, che quegli iteffi, che fi chiaman fortunati, ben diverfo l’ottengano da quel che per avventura vorrebbono. L’Inventore della polvere d’Archibufo afpirava verifimilmente a tu et’altro nelle fu e ricerche, che a rinvenire un fegreto,concui più facilmente diftruggere il genere umano, e colui che trovò un nuovo Mondo non cercava, che una ltrada più facile, e più breve alla doviziofa parte del vecchio. All’incontro nella buona Fifica, e nella Geometria, gli Alcilandri e i Cefari fon più comuni. Egli è raro, che fi trovi quel folamente, che fi cerca.
Una verità, che fi feopra, fuol’efler feconda di molte altre, che fi manifestano quafì al difpetto di chi parea non le curarle. Colui che cerca fegnatamente la legge, con cui agir dee a varie diilanze la forza attrattiva, trova a un tratto l’univerfale, con cui agifeono le qualità tutte, che fi diffondono da’ corpi. La Fiiìca poi fi compiace d’ili uitrar con particolari fperienze quella Verità generale traducerido in certo modo in volgare gli aftrufi geroglifici della lingua dotta; e quanto alla luce, ciò fi dimoftra con una fperienza faCÌliffima, che noi potremmo anco far quella fera, le già non farete fazia di Filofofia, e di fpe rimenti.
Si và a quell’ultima diflanza di una candela, che dee efier fola nella flanza, di là dalla quale non fi porta più leggere un libro, ovvero una lettera, (e per avventura ella non foffe amorofa, che fi leggerebbe a qualunque dillanza. Pofcia fi va ad una diftanza dalia candela, che fia doppia della prima. In quella, la forza del lume fecondo ia legge {labilità, farà quattro volte minore dì quello che nella prima folle. La lettera adunque non fi potrà leggere con quella diibnzione, eoa cui fi leggeva, fe il lume non farà quadruplicato. Quello è ciò, che richiede la legge, che tanto più la luce s’indebolifcaquantopiù crefee il quadrato della diftanza } e quello appunto inoltra l’efperiénza e (Ter vero, poiché allora folo fi legge nella feconda dillanza la lettera colla medeuraa dirtinzione, con cui fi leggeva nella prima, quando alla candela fe ne aggiungano altre tre della medefima groflezza, che vale a dire, quando fi quadruplica il lume.
Io credo, dille la Marchesa, riguardando alla facilità, con cui gli uomini lì feordano di quegli oggetti, che prefetti anno più degli altri nella mente, che anco nell’Amore fi ferbi quefta proporzione de’ quadrati delle difrsnze de’ luoghi, o più torto de’ tempi. Cosi dopo otto giorni di afienza, l’Amore è divenuto feffanta quattro volte minore di quel che folle nel primo giorno, e la proporzion vuole, che l’abbiano quafi del tutto dimenticato, nè credo fi trovatTero, maffime a nuefti giorni, molte fperienze in contrario. l’à, rifpos’io, perchè io credo, che tutti e due 1 le Hi fieno comprefi in quello Teorema, chi fiegue più toilo la proporzione de’ cubi de’ tempi,» quale è certamente più comoda, e permette un’intiera dimenticanza dopo foli quattro giorni. Ma generalmente io credo, che la proporzion de’ quadrati po(Fa ihbilirfi lenza fcrupolo, poiché otto giorni Cogliono comunemente guarire da ogni gran paflione.Nonv’à,che voi, che potrefte rovefeiar quello Teorema, e fare, che la memoria di voi, e con effe il defiderio in luogo di diminuire crefeeffe fecondo i quadrati, o più tolto fecondo i cubi de" tempi. Nò nò, rifpofe la Marche fa. La Galanteria non dovrà mai guai tare un Teorema, Io voglio entrare nella regola generale troppo felice, fe riabilito avrò qualche cofa di fiflb, c di collante in una cofa così incollante e vaga, come fi è l’Amore. Se fi lafciafTe, rifpos’io, che la Geometria vi prendere un po’ dì piede, voi vedrette in poco tempo maraviglie. Le conclusioni farebbono le più pronte, e le più eleganti del Mondo.
Ma seriamente, diss’ella, la nollra conclusone in Fifica è, che la forza attrattiva del Sole cala nella proporzione, in cui i quadrati delle diftanze creiamo. Mi figuro, che la forza attrattiva di que’ Pianeti, che attraggono i loro Satelliti feguirà la medefima proporzione. Quell’apporto, rifpos’io, tra le difhnze, e i tempi delle loro rivoluzioni, che offervano i Pianeti, che girano intorno al Sole, lo offervano ancora, come io vi diffi, i Satelliti, che girano intorno ad un Pianeta; e ciò è manifeflo in Giove, ed in Saturno; i quali ne anno più di uno, e per confeguente la legge della loro forza attrattiva farà la medefima, che quella del Sole. Nella Terra, a cui non è Toccato in forte, che un folo Satellite, ciò non è a tutta prima così patentemente ma ni fello. Ma perchè fe lo è in quelli, non lo farà anca in quefìa? Senza di che la mancanza di un* altro Satellite, che giri ad un’altra diilanza da noi della Luna, è ricompenfata da’ corpi, che vediamo tutto giorno cadere qui preiTo la fupeificic della Terra; poiché bifogna credere, che la forza, che faria cadere la Luna, s’ella perdeffe il moto, ch’ella I da Occidente ia Oriente, è la medefima, che fa cadere qui da noi giornalmente i corpi, quando fon lafciati a fe mede limi; perchè fe fi è dimofhrato elTervi nella Terra una forza attrattiva, è chiaro, che in quella dobbiamo cercar la caufa di ciò, che fi chiama gravità, ch’è un’altro fenomeno, per ifpiegar il quale ì Vortici non fono flati niente più felici, che per ifpitgare il moto de’ Pianeti. Se noi pott filmo portare i corpi a dillanze molto confi debbili dalla Terra rifpetto alla dillanza da noi ai centi o di ella, che è di migliaja di miglia, noi vedremmo in eflì la forza della gravità prodigiofamente fminuita. Una Nave da guerra di cento e più pezzi di Cannone, per cui una felva intiera è fiata tagliata, e una miniera efauila, ua di quelli caileJIi immobili in mezzo all’Oceano farebbe rovefeiata al foffio del Zefftro il più leggiero. Gli Amfiteatri, le famofe Pietre di Satisbuiy, argomento di tante favole a’ dotti egualmente, che al volgo, tutte quelle moli colofiee» che Hanno infieme per la forza della gravità, farebbon per noi cartelli di carta. La rapidità nel cadere de’corpi gravi, farebbe confiderabjlmentc ritardata. Le bombe, fulmini de’ mortali, non Arebbon niente più tenibili de’ Hocchi di neve. Ma quelle fperienze fono inpramcabih Una delle maggiori dittarla cui noi poffiamo fahre.e il Pico diTenariffe, il quale non a che tre miglia in circa di altezza perpendicolare. Oltre di che l’aria troppo rara per la retrazione, e il Ireddo, che Còpra maggiori altezze fuor di modo acuto iroverebbefi, renderiano qualunque fpenenza ratale al Filolbfo, che la in tra prende ile.
La Natura, ripigliò la Marcherà, ci à negato i mezzi di ellere in quefta parte affatto 1 Newtoniani. Ella vuole, che ci contentiamo della probabilità. Se la forza attrattiva ttegue una certa legge nel Sole, in Giove, ed in Saturno, pere ne la medeiima forza non la feguirà ella anco qui nella noftra Terra? Noi non abbiam, nfpos’io, di che dolerli per quella volta. Più alte montagne, e un’altra colhtuzion d’aria non ci fono altrimenti neceflarie. Tutte quelle cofe,e la mancanza di un’altra Luna, ricompenfate fono, come io già v’ò detto,da’corpi che cadon qui pretto alla fuperficie della Terra. Noi portiamo comparar quelli corpi colia Luna medeuma, ed ecco quanto balla per avere in luogo della probabilità l’evidenza per e Acre anco in quella parte buoni Newtoniani.
Si deduce dall’Iter vazi oli e, che fe la Luna, perdendo il fuo moto, venilTe a cadere verfo la Terra, la forza che la faria cominciare a cadere, sarebbe rre mifa e fei cento volte minore della forza, che fa cadere i corpi quaggiù fulla fu perfide della Terra. Vedete come quello combina col noflio principio. La Luna è lontana dal centro della 1 erra, dove principalmente rifiede la forza attrattiva, fellanta di quelle volte, o mifure, delle quali i corpi ne fon lontani una. Il quadrato di feffanta, è appunto tre mila e fei cento. La forza attrattiva adunque dalla Terra alla Luna è feemata di tanto, di quanto è crefeiuto il quadrato della diltanza,come appunto richiede la legge abilita nel Sole, in Giove, ed in Saturno.
Egli faria una bella cola, diffe la. March e fa, fe la Luna veniffe a cadere in Terra, Bello, e piacevole fpettacolo invero darebbe ella di fe a’ Newtoniani, che non avrebbon più nè curiofnà, uè occhi, nè calcoli per altra cofa, che per lei. Non così difficile, rifpos’io, ciò ad avvenir fora, fc ogni cofa foffe corpo, come vogliono 1 Cartellami e quegli antichi Galli, che temeano, non il Cielo un giorno o l’altro cadeffe loro in capo, avrebbon qualche ragion di temerne net fitte ma del loro Defcartes; poiché egli è pure dtmoltrato, che fe la Luna fi muoveffe in un luogo, che pieno foffe di materia fenza fpazietto alcuno fra mezzo, per quanto fluida, rottile, ed eterea fineafi; farebbe per sì fatta maniera nel fuo moro da Occidente in Oriente ritardata, che venendo ben tolta quello a languire, e poi a mancare attatto, corretta d’ubbidire alla forza della g rav a, dall’alto del Cielo precipitofamcnte rovinerebbe io Terra; e noi quaggiù la vedremmo non più Dea Triforme, qual la vagheggiamo ora, ma peregrina, e dal più bella de’ Tuoi tre regni decaduta, e non più l’ornamento del Ciclo tra gli amici filenzj della notte. E Jo lieifo fonano 1 Pianeti, fe in uno fpazio pieno fi muo veliero: 1 miali, qual più prefto, e qual più cardi, nel Sole cadrebbero ad accrefeer vaftirà di materia a quell’immenfo Vulcano colafsù brugtante, che non averebbe più allora in voto Regno chi gentilmente animar della Tua luce, nè a cut difpenfare il giorno, e l’anno; poiché e le Comete, e noi fleffi colla noftra Luna, fe impedito ne folle dal! Etere il cammino, andremmo pure ad affogamo, entro; il che farebbe una novella punizione a’ fccoli di colpe fecondi nel filtema di quell’I ìglefe, che à fatto del gloriofo corpo del sole la Ragion del pianto il foggiorno dell’eterna detrazione.
Per altro io vi ameuro, continuai io, per parlar, come lì fuol dire, di cofe allegre, che 10 correrei de’ primi allo fpettacolo di veder la Luna cader nella Terra. Qual piacere in fatti non iartòbe egli di vedere a mi fura ch’ella s’avvicinane a noi, quella faccia, quella bocca, e quel nafo, che noi colf immaginazione più che cogli occhi le vediamo, cangiarfi a poco a poco in gran montagne, in valli, in tratti di pianure, ed altre tali cofe, delle quali il comune degli uomini farebbe certamente maravigliato, e che i Filofori medefimi, che non domano mai abbastanza que’ due gran nemici della ragione, l’immaginazione, e il pregiudizio, non kfeierebbono di vedere con una fpecie di forprefa. Non vedremmo noi rure foggiani’ ella ridendo, quaad’ella fi folle Lvicina?aun poco più, i ft#«i dcgh Amanti fri verfi dedicati a Principi, le fperanze d Co giani, le ampolle piene del giudizio de noltcì laagÙ c Ce dirlo lece tutte l’altre cole, che vi pone l’Ari olio? Voi non avete ancor letto, nfpos io ja Pluralità de’ Mondi, e non net e pero in rtato di vedervi ciò che Và di più cunofo; poiché non fapete ancora la forza di un perchè nò, che vi popola tutto l’Univerfo. Ma una cofa, che io avrei gran piacer di enervare, fe la Luna ex voleffe dar querto fpaflo, e che non e un una* einazione, farebbe di vedere il trattamento che la Terra le farebbe di andarle incontro come per nCCV E’ l edi forfè quefto, replicò la Marchefa, un Cirimoniaie ftabilito in Cielo tra’ Pianeti, che quando un fecondano cadefie in un primario, quefto dovette andarli incontro a riceverlo per abbreviargli la ftrada? Quefto Cirimoniaie, nfpos’io, è Abilito dall’efler mutua, e reciproca l’attrazione. Se la Terra attira la Luna, quale e la ragione, per cui la Luna non dee attirar la terra? L’attrazione, che la Terra efercita fopra la Luna, è nella materia, che compone la Terra perchè adunque la materia, onde e comporta a Luna, effóndo per tutto la medefima, fe non eh dia è differentemente modificata in varj corpi, non ecciterà anch’effa l’attrazion fu a fopra la Terra? Senza di che l’azione, fecondo che dicono i Filofofi ( piaceffe al Cielo che quella venta nella sola Filofofia rift retta non fosse) è ferapre uguale alla riazione. Voi non potete premere col dito quello Tavolino, ch’egli non ne li* dal Tavolino egualmente ripremuto indietro. Cosi pure fe fopra l’acqua galleggiar fi fanno m due condolette di fugherò un pezzo di calamita, ed un di ferro, l’uno all’altro vicini, non meno corre il ferro vcrio la calamita, che la calamita verfo il ferro, e fe all’uno, o all’altro fi fa ritegno, quello de’ due, che non è ritenuto, fi lancia verfo l’altro; il che non feguirebbe, fe tanto il ferro non attraeffe la calamita, quanto la calamita Éfefffà attrae il ferro, in fomma -fe vieendevol non foffe tra di efTo loro l’attrazione.
Io veggo, diffe la Marchefa, dove la cofa vk a finire. Il Sole attrae a fe i Pianeti, dunque anco i Pianeti attraggono il Sole. I fecondar] fi attraggono pure l’un l’altro, fono attratti ognuno dal Sole, e ognuno parimenti lo attrae. Quella grande moltiplicità,e quefto Caos, per così dire, di attrazioni, non imbarazza egli, come me, così pure il Stilema? Egli fuccede, rifpos’io, come nella nuova Geometria, di cui io vi parlai l’altro giorno, nella quale tutti qucgl’infiniti ordini d’infinitamente piccioli in luogo d’imbarazzarla, non fanno, che a maggior perfezione e fottigliczza condurla. Quella attrazione per l’Umverfo, e per tutte le lue parti fcambievolmente dìffufa, i vaghi Pianeti nell’orbite loro ritiene, i corpi tutti, la n olirà Terra, e noi medefimi con inviabili, ma forti nodi flange inlieme e collega, ogni moto regola ed. attempera, talché si può dire, che Ogni tftante la Tua efiftenza, e le f ue ir refiaibillcggi dichiara.
Una cosa, ripigliò ella, mi viene in mente, penfando alla fcambievolezza di qnékÉ attraz 5, che iq non ardifeo però di. proporre come obbiezione ad un Stilema, a cui i F.tofofi b£di di profvuìone debbono fgomentarii di farne M mre che noi dovemmo, fe non ogni litanie, affai Foven e però vederne gli effetti ne corpi, che et circolano, ficcome nella Infletto dell’attrazione, che la Terra efercita verfo di elfi. Un leggier corpicciuolo, come una piuma, pollo che fi a ricino d un gran Palagio, K Collina, fé volete, o d’altra fimil cofa, la cuTattrazioneVia grande, perchè non dorremmo noi vederla ubbidir torto a quella forza, che a fe la trasse, e verfo il Palagio, o la Collina lanciarfi come pur dovrebbe? Quando una fornffima paffione, replicai io, occupa l’animo noftro, perchè avv en’eglt mai, che le più fievoli e leggiere non fon da%oi fenure, fe non perchè la paffìon forte,l’anima tutta iicchè della impreflion delle «inori, ella non s’accorge neppure, e talora mfenfìbile per altre divieni che non fon per fe mede ime, n F ciole nè leggiere. Il furore da cui per Ippolito ore a è Fedra in Racinc.non le lafcia fentir quelL cos comune al bel feffo, e co;, forte paffione | parer bella. I fuoi veli, e la fua onc fono in quel difordine, in cui non gl avrebbe forfè porfi, nè la lontananza, ne la morte delluo Tefeo. loVigtendo, dille U Marchefa, voi vi volete fregare pervia di Parabole; Lattrazione grandiffima, che i corpi fentono, fc fi può dir col dallaTerra,incapacì gli rende a fentir quella degli altri corpi, che gli circondano. I corpi non attraggono, replicai io, che in proporzione Sella quanmà di materia, che contengono Io mi fervo francamente con voi de termini de Matematici, poiché e" mi parrebbe di fa e altr menti torto a chi à già Gioito «"«JS una palla d’oro, oltre a molti altri vantaggi eh ella a, à maggior potere attrattivo d una di legno, come quella che a maggior pefo, e fe quella pefa cento volte più di quefta j che e quanto dire, fe cento volte pm di materia contiene, cento volte ancora più che 1 altra avrà in fe d’attrattivo potere. Ora 1 attrazione, che da quefto gran pallone, a cui noi {ìam iopra, fi diffonde per ogni verfo,ogni co fa a fe tragee con una forza immenfa, e c’impedifce di vedere gli effetti della particola!" forza, che fra loro efercitano le pallottole, da cui fiam circondati. Un globo della medefìma denfuà della Terra, c d’un piede di diametro attrae un corpicciuolo preffo alla fua fuperficie porto venti milioni di volte meno, che non fa la Terra; L’attrazione delle più alte Montagne verfo i corpi come del Pico di Tenariffe, dell’Ararat, o di quello
Re degli altri fuperbo altero Monte,
Cti Italia tutta imperioa parte,
E per mille contrade, e più compatte
Le spalle, il fianco, e Vuna, e l’altra fronte,
inferifibile.
Non così gli effetti dell’attrazion della Luna fopra quella vaila mafia d’acqua, che tu polla pel principio d’ogni cola da qualche && fofofo, che congiunge..per la facilità é&ììf navigazione, i più font ani»paefi, che ci rrafporta da un" altro Mondo i bai fami e gli aromi, e ci con. dilce Le faporite e lunghe cene d’Europa. Egli pare, dille la Marchefa, che voi fentiate affai vivamente tutte le obbligazioni che abbiamo all’Oceano, e a’ comodi, ch’egli ci procura Mi il Filofofo non fi è egli feordato a cena, dell attrazion della Luna? Non mi feordo io già, rifpos io, così facilmente d’una delle grandi obbligazioni, che gli abbiamo, benché Q pretenda che egli c abbia recato in Europa un nuovo male, da cui laVenere di Catullo, e di Petronio era ìllefa. Egle ci fa manifeftamente veder gli effetti di quella attrazione dominante in tutta la Natura. Il tiuiio, e rifluito dell’Oceano, fenomeno che fu prefò dal Grande Alefsandro nel più pulito fecole* delia Grecia per un’indizio dellira celeite contro di Ui, e che era poco conofeimo da’ Romani nelL aureo tempo di Cefate, è una confeguenza dell attrazione che la Luna efercita fopra U parte lìuida, e cedente del nollro Globo. Il Chapelle nel fuo famofo Viaggio modello della piacevolezza, e della urbanità, credette chemon vi volefse meno che un Dio acquatico, che vuol dire un Uio óc. nuftiere per penetrarne la cagiona. Que to Uio eli dice nel più piacevole linguaggio degllU>et» the allorché Nettuno fu tatto Signor del Mare,
tutti tutti i fiumi andarono a ìclicicarnelo. O«onna ritenne in quella occafione un po dell umore "lue o del L paefe, e i funi complicati nonfurono col f miffi come fi convenga con quel D?o che on un cenno fuicita le procelle, e venti 1 con un’b vi farò li fa tacere m profonda calma La punizione ch’ella ne ricevette fu di et? nlpmi/m dietro due volte *gffiéM* forante- il che fuccede a tutti ì fiumi che mecfo f’c Oceano per lo nuflo che v’entra due vote Uni. Perchè, dille la Marchefa, gli ali n fiumi nuocenti, e che non fi diportarono daGu leoni debbono eglino effer puniti comelaG.ionna lat a colpevole? Se folle permeilo di muove; dubbj e far difficoltà agl’Iddj, io proporrei umilmente quefta al Dio del Chapelte.
Voi nAarefte, fctutóp, di cgaalmc„«forti aMi uomini fu quanti fittemi pei ilpiegarquella Maraviglia effiln fatto.ispirazione di quello grande animale, la 1 erta, e il Mire èfferas la cagione altri un ce nell- Oceano Srttencrionate preffo alla Norvegie chiamato Umbllico del Mare, che ti inori una geau quantità d’acqua e poi la mllorbdla fatale alle Balene,& alla Filofofia, che ne fuo. gorghi s’intricano. Gli antichi Cmcfi, che le lor quauro leghe di paefe in Univcrfo erigevano, diacro, due gran popoli difendenti d una certa Principila, che rovente fono m guerra mlieme, l’uno abitato: delle Montagne, l’altro de lidi prillo al Mare effe l’ne cagione, e a radura che aelìa mifchìa gli uni, o gli altri vaio le Montagne, o il Mare rifpinti foflero, venirne il flutto e il riflu fio. Tale per avventura è l’infanzia della Filofofia appretto tutti i popoli anco i piùfpiritofì. La fpiegazione del Defcartes venuto in tempo, che il Mondo era già vecchio, è tanto ingegnofa, quanto balìa per effer bella, non come 8 richiede per efier vera. Quel medefimo Inglefe che ofeurato ì nelle fue contrattive, ed efpanfive forze inviluppandola, la vifione, & tentato altresì d’involvervi entro quello Fenomeno, fpargendo fopra ogni co fa a guifa d’univerfale contagio quefra fu a livida immaginazione, ed infettandone la faccia di tutta la Fifica. L’oppofizìone delle contrattive forze della Terra, e della Luna, per cui l’una innalza le acque, e le deprime l’altra, e la mefcolanza della efpanfiva del Sole, la quale benché fempre fia alla contrattiva contraria, dee tuttavia in quello cafo agir di concerto colla contrattiva forza della Luna, fono fecondo lui la più femplice fpiegazione, e la più evidente caufa delle maree; termini che non effendo ora neppur dalla moda foftenuti, altro fignificar non ponno, che un* ardentiffimo, e vano defìderio in lui di dare il fuo nome a’ novelli errori. Quelli Filofofi mi pajono, difs’ella, i Sacerdoti della Divinità del Ghapelle. Le loro fpiegazioni inoltrano l’audacia, e l’impotenza infieme della loro Filofofia. La noflra, rifpos’io, fi compiace nelle difficoltà, e n’efee trionfante. Le rofe forgono in mezzo agli fpinì.
L’acqua che li trova eflere dirittamente fotto alla Luna, e che le è più vicina» dee efler più fortemente attratta che il retto dell’acqua, chela Luna guarda obbhquamente, e che tano. Si dee adunque accumular nell Oceano cu ogni parte un monte d’acqua, la cui cima farà fottola Luna medefima. La Terra e anch clll un poco attirata dalla Luna, ma quella parte d’acqua, che è diattamente opponi a.quella, iopra cui è la Luna, lo è meno di qualunque altra a cagion della fua maggior lontananza. Ella adunque come abbandonata dalla Terra, che fa* gue alcun poco l’attrazion della Luna, e vi fafjj ivi la cima di un" altro monte d’acqua, colicene ve n’abbia due, l’uno oppolto totalmente ali altro L’Oceano adunque dee gonfiare, e m certo modo allungati! dalla parte, dove è la Luna, e da quella, che le è oppofta; e della figura di un porno acquiftar quella di un limone, le cui eltremità feguiteran Tempre la Luna nel fuo corfo giornaliero; coficchè il mare farà ora fcluacciato nel medefamo luogo, ed ora rallevato malto. li ogni parte di effo vi faran due maree nel tempo, eie la Luna impiega a ritornare al medefimo ino nel Cielo. Quand’ella è nella parte di mezzo di elio, o al Meridiano, vi dee effe re un alzamento d’acqua, una depreffione nel tempo appretto a poco ch’ella tramonta; quand’ella è nel mezzo del Cielo agli Antipodi un’altro alzamento, e un’altra dcprefiìone quand’ella leva. Tutto ciò dovrebbe a puntino (uccedere, fe tutta la Terra coperta faffe di profonde acque, e s’elle prontamente ubbidiflTero alla forza della Luna. Ma poiché vi vuole un certo tempo all’accumulazion delle acque, e poiché il loro corfo è interrotto dalle colie della Terra, dagli tiretti, dalL’jjo.le, e da umili altre caufe, vi à nelle maree’ alcune irregolarità, non così però che ogni venricinque ore, che è a un di predo il tempo dalla Luna impiegato a tornare al Meridiano, non fi veggano due volte full’argenteoTamigi rimontar colla marea le navi fino alla popolofa Londra cariche delle ricchezze dell’Un iverfo { le vele, e le fiammole fi mcfeolano agli alberi, ed alle cafe) e due volte difeendere per andarnele a cercare. E di quefto vanraggio che nel Siftema del Dio delChapelIe eia una punizione godono, come io vi ditti, tutti i fiumi che metton nell’Oceano.
I nostri del Mediterraneo, ripigliò ella a dire, non avrebbon’eglino difguftato la Luna per non goderne anch’e Hi? Anno eglino forfè fatto in verfo ad effa ciò, che la Garonna fece in verfo il Dio del Mare? La bocca, rifpos’io, per cui il Mediterraneo comunica coli’ Oceano, è troppo picciola per un così gran mare, ed è difavvantaggiofamente polla, come quella, che guarda l’Occidente per ricever la gran marea dell’Oceano, che fiegue la Luna da Oriente in Occidente. D’altra parte quella,che fi forma nel Mediterraneo fteffo, è troppo interrotta da una infinità d’Ifole, di cotte, e di irretii perchè ila confiderai le. Nell’Adriatico, ella è più che in altro luogo fenfibile a cagion della fua nlVettezza, non & altrimenti che il moto d’un fiume fi fa più fcorgere,e più rapido ofiervafi,rirtrettoche iiatra gli archi d’un ponte. Nella bella Città fondata dagli Dei fui mare la vicenda del flutto, e rifluflb, ora per un verfo,ed or per l’altro feco porta le vaghe Gondolette in tanto, che l’oziofo Gondohero dolce cantando a un bel raggio dì Luna, all’acque infegna, e alle loro Dee o d’Erminia la fuga,o di Rinaldo gli amori. Fani ella nel Baltico, che è il Mediterraneo del Nord, ancor meno ièntire. Aggiungete a ciò, che quel mare al freddo ifpido Polo vicino, e dalle vie della Luna lontano, è più agli ghiacci, ed agli fcogli addatto, che al calore, e all’attrazione. Ne’ Lidi dell’Oceano Auflrale, al Giappone, alla Gina, e nell’Oceano Orientale, la marea per la vaftità de’ mari è confiderabiliflìma, e nel noftro Oceano oltre ogni creder prodigio!! ne fono gli effetti. V’a de’ tratti di Terra prefTo a Dunkerken, da’ quali il mare fi ritira per lo fpazio di più miglia, e vi torna poi velocemente fopra, e gl’inonda copreado akernatìvaniente, e difeoprendo le arene fofpette a’ naviganti, non fenza difturbar tal volta il frefea delle Dame di qutlla contrada, che ardifeon prenderlo fulla riva di quel mare, il cui lido medefimo è fallace, & infido. Quelle fono Naumachie naturali, in cut due armate potrebbon batterli a piè fecco in alcune ore del giorno, e tu alcune altre due flotte almeno degli Antichi dare una battaglia. In qualche fiume la marea afeende per fino a cinquanta e più piedi di altezza, fopra tutto fe la htuazione del Sole,e della Luna convengano a render grandi le maree.
Benché la Luna riguardar fi polla come la Signora dell’Oceano, il Sole vi à però anch’esso la sua parte. Quantunque egli sia tanto più lontano dalla Terra, che non è la Luna, egli è tuttavia in ricompensa tanto più grande, che non dee stare ozioso nelle maree. Gli altri corpi Celesti non vi ân luogo alcuno sensibile, come quegli che sono troppo piccioli per la distanza, da cui son separati da noi. Quando la Luna è smezzata, le maree sono le più picciole del mese, perchè allora le due forze attrattive del Sole, e della Luna incrocciandosi insieme, sono il più che si possa contrarie al gonfiamento del mare nel medesimo sito. All’incontro quando la Luna nuova, o piena, ella è nella medesima dirittura col Sole rispetto alla Terra, le loro forze conspirano insieme, e quelle fono le più grandi marce dei mese; così però che il moto dall’acque concepito, e per alcun tempo in esse ritenuto dee produrre, che alcuni giorni dopo la Luna nuova, a piena il maggior gonfiamento del mare osservisi; nella giusa che in questa frizione il calore del mezzo giorno, che nell’aria si conserva, ed al seguente di mano in mano, benchè per se stesso minore aggiungesi, fa, che non canto nel mezzo giorno stesso, quanto alcune ore dopo di svegliar cogli ondeggianti ventagli le fresch’aurette abbiamo maggior uopo. Di tutte le maree poi le più grandi cadono ne’ nuovi, o Pleniluni degli Equinozj, perchè alla cospirazione delle forze del Sole, e della Luna, si aggiunge in questo caso una più grande agitazione nell’acque, se non che l’essere alla Terra più vicino il Sole, l’Inverno della State, non ostante il nostro gelare, fa che anzi, che nel precifo tempo degli Hquinozj, £ W** ma di quel di Primavera, e un po dopo quel d’AuruT, cioè nel rnefe di Febbrajo cadano, f in auel d’Ottobre.
In Mercuria, in Venere, ed in Marte elleno non iegmranno che d Sole, benché in Marre - z «sion della Tua dilllnza dal Sole faranno mtenlib fi lnGiove,emSitur n o, il Soie a cagion della fua immenfa jfitete non vi avrà che: fare Fileno fi confonderanno a capnccio di quelkioro I une e h molriphcità loro le renderà molto Regolari i Se fi Speffe il tempo della rotazion di Saturno, come fi fa quello di Giove, a Geografia di amendue, <feM*««floro Lune, come fi fan le loro dtftanze, e 11 loiorivoluzioni, s’indovincrebbono le quantità c iperiodi delle loro maree, e noi potremmo mandarnedelle Tavole a’ loro Piloti. Ed eccoci un altra volta riportati in Cielo dali attrazione e a’ Mondi remoti, e valli, ov’ella tiene una delle fuc fedi più eofpicue,e mamfelte.
Eli/ci fa viaggiare, dine la Marchefa, in un batter d’occhio milioni di miglia, e ci ricompenfa con milioni di belle, e grandi verità. Un Autor Franccfe, ripigliai io, zelante propagatore di queftoSiftema fui Continente riportato aneti cflo dall’attrazione a quelli Mondi, penfa con gran verifimilitudine, che quefte Lune dì Giove, e di Saturno, così come la noftra folfcro altra volta Comete, le quali pattarono aliai vicino, smiti Pianeti, per rimaner prefe nella sfera della loro attrazione, e furori corrette a girare intorno ad essi, divenendo di Pianeti primarj ch’erano femplici fecondar]. Saturno à ottenuto una fituazione vanraggiofa per elTere il più felice nel numero delle fu e conquide. Per la mcdefirna ragione egli à potuto altresì guadagnare un beli’ anello, ond’egli è circondato, il quale era altre volte la coda d’una Cometa, che per fua fvenrura gli pafsò troppo d’apprettò. Quello Saturno, dille la Marchefa, dee efTere molto terribile alle Comete, che fe gli accollano un po’ troppo. Egli dee elTère loro ciò, che era altre volte a’ Porcught-fi il Capo Tormentofo, che fu poi dall’avarizia chiamato di Buona Speranza. Bella cofa per altro flato farebbe aver potuto veder Saturno tutto a un tratto ornarli, ed arricchirli di un’anello, e la povera Cometa profeguire il fuo viaggio, fpogliata dell’onor della coda.
Egli non la fpogliò però, foggiuns’io, che dì cofa, di cui ella fi era arricchita a fpefe altrui, fecondo l’opinione d’un’altro Autor Francete, che ci afìkura aver lei prefo quella coda dalla Atmosfera del Sole nell’aura vcrfarla ch’ella fece, benché l’opinion comune Newtoniana fabbrichi le code alle Comete co* vapori, che fi alzan da elTe, allorché fon vicine al Sole.
Non è egli una bella cofa, replicò la Marche fa, di aver per le mani unSiftcma, che fomminifiri anco all’immaginazione, di che divertirti ne’ firani «maraviglio!! avvenimenti, ch’egli rende po (ubili? E tutto ciò, foggiuns’io, per la fola forza, che fa cadere un favolino qm da noi. Si direbbe, ripigliò ella, cotesa attrazione esser per la Natura ciò che è il fòggetro d’una eompofizione per un valente Maestro di Mufìca. Per femplìce ch’e* fia, lafciate pur fare a lui a concertar ve lo in mille guife, a dargli ad ogni rao mento fembianza di nuovo, e trovarvi entra materia b#ftevole al pia vario,ed arrnoniofo Concerto del Mondo. Non di altro /oggetto, continuai io, è la Natura mellieri per regolare, c variare inlte me quegl’infiniti," e valli Siffemi Planetari, che probabilmente fono- intorno alle flelle inerranci e fitte, a que’ himinofi, ed attraenti Soli, che ci rallegrar* fe notti, e che noi avviliamo co’ nomi de’ notòri miferabili Eroi. Ma perchè quelli Eroi, difs* ella,. de bbon’eglino e fiere inerranti e filli? Che non s’avvicinali’ elfi, fe fi attraggono, e non fi ferrano l’uno addotto all’altro? Voi avete forfè quale lie altra Parabola in pronto, chè non appettava, che la mia difficoltà. Nulla meno, foggsu-ns’io, fe già voi non prendere per una Parabola il dirvi, che quello appunto farebbe avvenuto, quando il numero di quelli Soli non fotte infinito. Quelli ehe fono fu Ila fuperfreie di quella fmifurata Sfera, dirò cos,di Soli, li farebbono ferrati addotto a* loro vicini, come quelli, che non avrebbono avuto, chi gli atrraeffe per un verfb contrario, e ne gli ri te nette, e cosr di mano in mano gli ultimi correndo a’ lor vicini, e quefll ad al tri, fi farebbono tutti ammucchiati inncll’Univerfò, che un vailo, e fmifurato Sole. Ma qual’è il numero di quelli Soli? Quali fono i limiti della loro Sfera? ti centro non ne è egli per tutto, e la, circonferenza in nelTun luogo? La difficoltà che voi avete tnoffo, le non avemrna mille altre ragioni % che a ciò c’inclinano condurrebbe a moltiplicare il numero delle ilei-’ le all’infinito.
Io mì perdo, ditte la Marchefa, in tanta ìafìnità di Soli, e di Sifiemi. Planetari; torniamo di grazia al noftro.. Fsfoi. abbia m £ià per le miniiin Siftema, che può variarcelo all’infinito, Te dell’infinito folli ni vaghi. E’ un Siile ma che ci predice,foggiuns’io, ciò che è più matavigliofo ancora, e ci rende ragione. per fino de" più piccioli {concerti, che vi debbono avvenire. Di qua! fu* blime Geometria non era duopo per trovare, porta l’attrazione, e la fu a legge, quale ilrada tener dovettero negli ampj fpazj del Cielo i Pianeti, e di quanto più fu blime ancora non era meftieri per prevedere di quantq:; p’tccifomente deviarne talor doveiTero nella colli ruz iòne del prefente Siftema? La vaftità dell’oggetto, difficili rende le tegole generali, e la dilicatezza delle differenze, più difficili rende ancora l’eccezioni.
Il Sole che riputato immobile colà nel centro, del fiitema fi credea privilegiato, e immune da qualunque irregolarità, vi è fogge tto anch’eglL Poiché l’attrazione tra i corpi è fempre fcambievole, e a qualunque caufa rifponder dee un’effetto all’attività fua proporzionato, i Pianeti, c il Sole vicendevolmente attraendo, egli dee rifentirne la forza, tal che a parlar eoli’ ultimo rigore e’ cangia continuamente di fico fecondo la varia fituazione d’elio loro rifpecco a lui. Eccoci adurwùc, ditte Ut Marchefa, dopo tante fpefculaziom per provare L’immobilità del Sole, ridotti di bel novo a farlo muovere. Non era egli medio, fogaiwife con un certo fornfo, attenerli alla bella prima all’opinion comune fenza tanto romperli il capo? E non fate voi come coloro, che dopo aver impiegato la ragione per impagliarli de’ popolari pregiudizi, àn poi bifogno della mcdefima ragione per LiveiVìrfene, fe viver vogliono tsa gli uomini?
Il noitro cafu è ben diverfo, replicai io. bi trattava allora di dare al Soie un moto, per cui girando intorno alla Terra, egli percorrente quali che un milione, e mezzo di miglia il giorno. Ora Fa Terra continua a girare ella fteffa intorno al Sole, ed egli altro non fa che accollarli, o colarli alcun poco, or per un verfo, ed or per l altro dal centro comune dututto il Stilema. Quefto moto è nel!’ Aftronomia infenfibile, e non e, dirò cosi, che una finezza Matematica, che io non credea dovervi tenere afeofa. Quando 1 Pianeti tutti follerò dalla medelìma parte, voi vedete, che le forze loro collegate tutte ™iieme dovrebbono agire fopra li Sole il più che poffibil mai folle per ruraroelo a fe dal. centro del Siltema allontanandolo. Elle però non ne lo ritrarre bbono atte fa l’enormità della fu a mole, che d’un folo de* fuoi diametri. lo convengo, difs’ella, volentieri del torro, che à avuto. Il Sole che non ottante la waftrtà Aia, ubbidifce però anch’egli alla general forza della gravità, fervir potria d’eiempio a* gran Re, cui nè l’ampiezza dì fortuna, nè l’elevazione fopra gli altri, efentar dovrebbono dall’o nervazione dell’univerfali leggi dell’Umanità.
Co teli a nollra Luna, continuai io,
- Che da neffuno ancora
Qjjervator fornata in Cìel vagava
De' numeri la legge, e il fren sdegnando.
si trova ora foggiogata dall’attrazione a’ calcoli i più minuti, e i più dilicati degli Agronomi. Le fu e irregolarità llelfe, i fuoi capricci, Ce è lecito il dirlo ridotti fono a certe regole e costanti. Le Comete nemiche dei Stilemi, e che Sdegnavano il freno de’ numeri un po’ più della Luna, fi fono affoggettate in fine a girare intorno al Sole in orbite molto più bislunghe bensì di quelle degli altri Pianeti, ma nelle quali o {fervano affatto le medefime leggi. Si fono afsegnate ad alcune di efise fecondo ofservaztoni fatte al loro apparire le orbite ch’elle doveau percorrere in quello Siflema, e le anno realmente percorfe, quali colla medefima pontualità deli altri Pianeti. Non. ottante l’imperfezione dell’of&ervazioai, che gli Antichi ce ne in lafciato, fi è ardito di predirne il ritorno di alcuna, così come fi fa dell’Ecclifi. E qual cofa non autorizzerebbe quello Si ile ma? Un Tiziano potea ben vedere da un abbozzo qual’effetto dove fse fare un quadro. La profezia di quell’Antico, che vedea già fin dal fuo tempo la Pofterità, calcolare i periodi, e predire i ritorni di quefti corpi, monumenti eterni dell' ignoranza, e della debolezza umana i fi è ora alla fine pienamente compiuta. Se ne afpetta una di ritorno d’indi a ventitré anni del cinquantotto, e fpero che poffiam lufmgarci di oflervarla infieme, voi giovane, ed io non vecchio ancora. Voi farete l’Urania, che dirigerà certamente il mio cannocchiale. Qual mutazion di cofe, replicò la Marchefa, in quello Siflema! lo cangiata in Urania, e in giovane, in una età, in cui impulitezza diviene il difcorrer d’anni, c il non apparir di una Cometa refo più fu netto dell’apparire. Ella noti apparirà, rifpos’io, che troppo pretto a ricordarci il noitro tempo pattato, e la nottra attrazione. Noi porrem dire, foggiuns’ella, in quello cafo tutto al contrario dell’ordinario detto,
Quanto affettata più, tanto più cara.
Gran felicità in vero di cfferc ora Agronomo; Eglino almeno non afpettano in damo. E qual piacere per effi, mercè quello Siftema, che gli fa dominare in ogni cofa quel Ciclo, che è l’oggetto delle loro pretenfioni, e de’ loro progetti.
Niente, rifpos’io, fu più curiofo per effi, e più gloriofo infiemc pel Siftema Newtoniano della congiunzione di Giove, e di Saturno, che a cader venne nel principio di quefto fecolo di tanti avvenimenti gravido, e fecondo. Quelli due gran Pianeti doveano avvicinarli fra loro, il che per la gran vaftità delle loro orbite, e pel tempo, che impiegano a defcriverle, non avvien così fovente. Se mai era fperabile di vedere gli effetti di quella vicendevole attrazione nel turbare, ed alterare i moti de’ Pianeti!, egli Io era in queftà occafione, in cui i due piir poffenti di tutto il Stilema folare fi avvicinavano fra loro in una diflanza però di più di trecento cinquanta milioni di miglia. Quefta era in grande, dirò cosi, un* ofTervazione così deeifiva pel Sii/rema Celeile Nevvtoniano,comeloera in picciolo l’efperimcnto del rifrangere i raggi colorati con un fecondo prifma per provare, fe il colore. folle una modificazione, o nò della Luce La curiofità adunque era grandiiGma, tanto più che il Sìftema Newtoniano non era allora, fi può dir, che nafeente, C che il tempo per cui la verità fi avvalora, e fvanifee l’errore, non avea poturo ancora appretto il Mondo decider nulla in favor fu o. Il turbamento,che Giove di tutti Pianeti il più vafto, cagionò ue l’moti di Saturno, e quello che vicendevolmente quefto Pianeta eccitò ne’ Satelliti di Giove, furono talmente confiderabili,che sfuggir non poterono l’oOervazione, e il teftimonio degli Aftronomi, anche i più male intenzionati, cui la di ve ruta d’opinione da una feorameiTa foltenuta doveva agevolmente far travvedere; e il Signor Newton ebbe la confolazione di ltrappar dalla bocca, fi può dir, de’ fuoi nemici Iteffi una così forte, e folenne conferma del fuo Siitema. Che cofa fono i Trionfi di quelli Cefari, e di quelli Aleffandri, miferabili conquiftatori, che ineiion fofiopra due particelle di qu e ito Globo rifpettoal Trionfo Filofofìco di colui, che primo feorfe, e conobbe quello Univerfo, quanto egli è?
L’Agronomia, diffe la Marchefa, à refo abbondantemente nel fuo Trionfo al Sig. Newton, ciò ch’egli le avea preflato per fua difefa nell’Eccliffi totali. Quello vicendevole foccorfoj, quello commercio, dirò così, di verità, non può, che fare onore alle Scienze. Quello commercio, rifpos’io, non fi è mai più mani fellamente veduto, che nell’attrazione. Si può dire, che ogni feienza, ficcome il Mondo tutto altfe volte alla Romana Grandezza, contibutfee a gara alla conferma di quella Verità. Benché io v’ò detto, che gli effetti dell’attrazione fono più rimarcabili in Cielo, che altrove, la Fifica tutta, l’Idrollatica, la Chimica, l’Anatomia lleflaglimanifeiìano chiaramente. Il Signor Mufcembroek, che conferva nella Filofofia il carartere d’un uomo libero, ed un vero Repubblicano dice, che parlando liberamente come conviene ad un Olandefe, gli è forza di confeffare, avere per lo fpazio di molti anni da lui fpefi in ogni forta di eiperienze, olfervato in tutti i corpi che gli lì fono offerti, moti, ed effetti, che non fiponno, nè fpiegare, nè intendere per via di eflerna preffione di qualche fluido ambiente: ma che la Natura grida ad alta voce, eflere infufa a’ corpi una legge, per cui fi attraggono, indipendente dall’inpulfione. Le fermentazioni Chimiche, la durezza de’ corpi,la rotondità delle goccie d’acqua, della Terra medefrma, la feparazione degli umori nel corpo umano, il fu ce mar, che fanno lefpugne l’acqua, l’afcender ch’ella fa ne’ tubi, che per la loro eiìrema fottigliezza fi chiamano capillari, e mille altre cofe, ne fono argomenti incontastabili. Io credo, che dopo tante riprove voi mi pcnr’etteretc d’introdurla come in Trionfo anco nell’Ottica ad ifpiegar gli effetti, che dipendono dalla fcatnbievole attrazione, che è tra la luce, e i corpi. Manco male, difs’ella, Te io non permeitela* a’ corpi, ed alla luce di actraerfi fcambievolmente, io che ó veduto Saturno, e»1 Sole attraerfi. nelle loro enormi difhnze.
La rifrazione continuai io, per non parlar più della diffrazione, non ne farà ella altresì ua effetto? Non nafee ella da ciò, che i mezzi per li quali pafla la luce fon dotati di quella forza maggiore, o minore, fecondo la maggiore, o minore: dcnfità del mezzo? E quefta forza non farà ella maggiore della gravità? Altrimenti a cagione dell’immenfa forza della Terra che trae ogni cofa a fe, nè meno unprifma grande, come il Pico di Tenariffc, potrebbe rifrangere il più fottìi raggio di luce; Fino a tanto, Che la luce pafla per lo med efimo mezzo, effendo ella attirata egualmente da tutte le parti, non dee declinar da ninna, ma muoverfi innanzi fecondo la direzione, che ella à ricevuto dal Sole, o da altro corpo lutti inofo; fc nel cammino incontra un’altro mezzo, la cui forza fia maggiore, come per efempio ti vetro rifpetto all’aria, non dovrà ella declinare verfo quello, e immergervifi dentro, accoitandofi all’efìer perpendicolare più, o meno, fecondo che l’attrazione di lui farà mi nore, o maggiore* A» ufeir ch’ella fa dal vetro nell’aria, ellaè di nuovo attirata dall’aria, e dal vetro; ma perchè laforza dei vetroc maggiore della forza dell* aria, dovrà tenerfi dierro alla fuperficie del vetro, dacui ella efce, o pur dell’aria, iti cui ella entra, e che combacia immediatamente il vetro medefimo. Vot vedete, come felicemente coli’ attrazione il (pieghi un fenomeno, per ifpiegare il quale, il Descartes e irato obbligato di fupporre la luce pm facilita avere di palfar per li mezzi denfi, che per li rari; che vuol dire ciò, che a tutti gli altri corpi refifte più, dovere a lei in grazia di qual privilegio, io non sò, refiiter meno. Egli è mirabile, come fi deduca geometricamente da quefta legazione, tutto ciò che rcfperienza dimoltra fuo cedere nelle rifrazioni.
Per me, ripigliò ella, che non polio entrare nel Santuario’ della Geometria, una bella prova mi pare, che dovendo la forza attrattiva ciTer maggiore, dove maggiore è la denfiià del mezzo, ivi pure maggiore effer trovifi la rifrazione. Gli Olandefi, rifpos’io l’àn trovata nella nova Zembla molto maggiore, che qui da noi. L’aria è oltremodo fredda, e conteguentemente denfa in quel paefe, foggiorno degli Ora bianchi, e di qualche miftrabile Europeo vittima dell’avarizia, o della curiofità della fua fpecie. Mercè quefra così grande rifrazione, eglino furono ricreati dopo una lunga aflenza della villa del Sole molti giorni prima, che la feienza della Gofmografia non avrebbe permeilo; e la denfità dell’aria che opprimer fuole e ratrrittar lo fpirito, fervi loro in quel foggiorno di tenebre, e di mi feria a rallegrar con una prematurata luce la fa mafia Egli è fperabile che il dotto Drapello, che si prepara già a far vela dalla Francia al fondo del Seno Botmco per determinare in fine, fe e poiTibile, unitamente coli" altro al Perù a vera figura délli Terra, e a cui per l’ardor delle Scienze di cangiar dà l’animo colle agghiacciate rupi, eco deferti della Lapponia i Giardini, e le delizie della Refidenza del Piacere, ci recherà offe trazioni molto più efatte, che non abbiamo folla denfità dell’aria, e fulle rifrazioni di quel Clima, che non fono ancora fiate guari cfaminate da occhi Fllofofìci.
Neil’America Settentrionale l freddi fono incomparabilmente più acuti che nel Europa a una medefima diftanza dal Polo. l’I in que’ mari montagne di giaccio, che In no forfè la medefima et! del Mondo, tra le quali fon fi trovate talvolta Navi a vele piene, così immobili, coSk SÌ"» fece. Terra" Il Signor Halley, ir i cui l’Inghilterra venera il compagno, e lco óci g alNevvton, gli oggetti della cui metazione gon fon mai nè leggieri nè piccoli, crede che quei Paefi foffero per avventura altra volta pm vicini al Polo, che non fono ora, che una Comela che urtò 4 contro la Terra, cangiandone la dazione gif abbia allontanati, tettando tutta via ivi gran riferbatoj di ghiaccio, che il era?órm!to g innanzi a quefto «tibll *«%* poi il calore ne’ feguenti fccoh fi a Ut o a fonde J lo valevole. Quindi gli acuti freddi, e una pm forte rifrazione, che cagionano. Alcuni Inglefi, che ohi di un fecolo fa cercarono fenza trovarlo £& America Settentrionale un pauag gl o al Mar del Sud furono corretti di pattar Hnveroo m un Ifóla di pochiffimo più Settentrionale di Londra. Ogni cofa era ghiaccio, la cafa, che fi fabbricarono, il mare, la loro nave, etti fteffi fembravan pezzi di ghiaccio. Il vino il più fpintofo bifoenava tagliarlo coli’ accetta, e la rifrazione era così forte, che ofiervarono nafeer la Luna in una lunehiffima ovale fchiacciata, e il Sole talora all’Onzonre due volte più largo, che lungo. L aria era talvolta così pura nel cuore di quel pigro e crudo inverno, che feoprivan nel Cielo due terzi più di ftelle, che veder non fi fuole, e la via Lattea appariva man ifeftam ente ad occhio nudo efferne un formicajo; talché in queiPaefi, ne im Democrito faria Irato meftieri ad indovinarlo tra i fogni dell’antica Filofofia, nè un Galileo dopoi a verificarlo col foccorfo del cannocchiale.
Da molte efpericnze fatte in Inghilterra fi vede chiaramente che la forza ri fratti va nell’aria, crefee a mifura della denfità fua; il che è vero anche negli altri mezzi che rifrangon la luce, cosi però, che patifee talvolta qualche eccezione. L’aria, l’acqua, e il vetro fieguono fenfibilmente quella proporzione, ma i liquori che anno dell’oleofo, del fuìfureo,che fono infiammabili, anno maggior forza rifrattiva de’ liquori di altra natura, benché di denfità maggiore. L’oglio benché oxen denfo dell’acqua, come quello che le galleggia fopra, a però maggior forza nel rifranger la luce. Ohimè! m’inrerrupp’ella,io fon nemica delle eccezioni, e i ma nel diicorfo mi fon mortali. Ognuno clic fu* noftri occhi prenderà dir male del noV fcflb, eccettuerà fenza dubbio alla fine con un forzato ma quella, che à la sfortuna di trovarfi prefente. La Satira cotanto grata al a malignità del noftro fpirito, divtene con cotefte «celioni fredda, il nofiro amor proprio non fe abbaftanza, e la Venta vi perde tropnn divenendo men generale, V 9 recezioni, rifpos’io, di quefta forra, altro propriamente non fono, che novelle verna, che Salla feoperta nafeono di molte caufe, che intiere combinate concorrono per lo più; produrre un ceno effetto. Quefìa maggior rifraz.onc | in minor denfità di mezzo, deriva da un a ira pam"oh? cornfpondenza, che Va tra que U liquor. e la luce. Ella agifee fopra di effi più che fopra rfS agitandogli, rifcaldandogli,ed infiammanti più facilmente. Egli è ben g:ufto alSB?m accano più degli.altri fopra la lure rompendola, e rifrangendola. QP™ torza non rSederebb’ella nellepa™ fulfuree de* corpi
òrto, che nelle altre? Per quefta «ffooo
fàcqua bollente, in cui quelle parti fono, mu fnriTionate, à più forza rifrattiva della fredda, feralmente fi calore, e lo sfregamento aumenfa la forza attrattiva, che è ne’ corpi, c.la fa ma«iettare in una particolar maniera. L Amora, oLnfgenere di gemme pellucide, ogni fp«.e di vfuo g?capellife i crini, e molte altre cofe sfrei: °che Ino manicano que fra for» che fi fhiama Elettrica, che fi comunica ad a «i co p, che è portata a amanze incredibile e di cui oltre ogni credere maraviglio!! fono gli effetti. Se un Tubo di vetro fi sfrega fino a tanto, che acquiill del calore, egli arrirerà de’ corpi leggieri, come foglie d’oro, o bambagia, gli fcaccierà lungi da fe dopo averli attirati"; egli ecciterà una fpecie di tcmpcfta in una mafia di pezzuoli di carta bruciata, attraendogli, e fcacciandogli tumultuariamente da fc. Egli è una fpecie di bacchetta Magica, con cui fi comunica, o fi defta ne’ corpi una virtù, che era in loro innanzi, come dormente e fopita. Una palla d’avorio fofpefa ad una corda di novecento, o mille piedi di lunghezza, acquieta la medefima virtù dì attrarre, e di tacciare, fe all’altro. capo della corda lontano da effa mille piedi fi accolli il Tubo sfregato, e divenuto Elettrico. Gran ragione in fatti, ripigliò ella, voi avete di chiamar quefto cubo una fpecie di bacchetta magica, poiché egli veramenre fa cole incomprenfibili. Almeno fi è per me un miilero, come egli debba con tanta avidità trarre a fe i corpicciuoli, e pofeia con una certa fpecie di fdegno da fe rimuoverli, e difcacciarli.
L’Osservazione, foggi uns’io, che è fiata fin’ora la nottra guida, e il noftro filo d’Arianna nell’intricato laberinto della Fifica, lo farà ancora nel po di cammino, che a farci rimane. Ella ci à condono a feoprire nuove proprietà della luce e de’ colori, dalle quali una nuova Ottica ne forge alla Filpfofìa, ci à condotto a difeoprir ne’ più fecreri riponigli de’ corpi l’attrazione, nuova anch’effa e maravigliofa proprietà della materia, per cui la Fifica tutta cangia di faccia, e si rinovella , ed 0m ci conduce al difcacciamemo o alla ripulfione, i cui cfieiti non fono niente me- no cunfidcrabili in Natura, c maravigliofi . Non è ein quella forza che fa, che le moiche poiîan camminar full‘acqua lenza bagnaifi i piedi, e che le particelle ufcite fumi da’ corpi per via del ca- lore o della fermentazione fi allontanino talmenq te tra di elle, chc VEnganO ad occupare uno {pa- zio‘ infinitamente maggiore che non faccan pri- ma? L'aria dopo d’ellere Rara compreira , può efier dilatata. a fegno di occupare uno fpazio più che Ottocento venti {ci mila volte maggiore che compcefia non faceva; e ciò lenza refcaldarla , il che la dilatercbbe ben ancor di vantaggio l La. famofaComcta del mille feiccnib e ottanta due,‘ acciò veggiate che quella forza non (aggiorna anch'efla meno in Cielo che in Terra, andò così vicina al Sole che fu rifc'aldàtà due mila. volte più che non è il ferro rovente. l vapori da cfl‘a. alzatifi e lunga cacciati dalla forza ripulfiva gli. uni dagli altri, l’ornamnn d‘una. resi fpavcntoi‘a Coda, ch'ella imbarazzava in Cielo la lunghezza di Quanta milioni di miglia Inglcfi. Guai a noi {e fofiimo venuti a pafiatle vicino, é ad ciîcrlc inviluppati dentro. in luogo di penfare a guada- gnare un’ anello 0 una nuova Luna, noi faremmo fiati calcinati, e brugiatì come una. picciola pie- tra nel foce d'une {pccéhio Ufiorio. Da quello appunto alcuni:| cui i famaîmi dell’incerm avvc— nire non Iafciàn vctlcrc il fuggirivo preferite , alpenano un giorno 0 l‘altro la conflagrazione Univeri’alc di quefie Globo i Le Comete an for{e cagionato altre volte un diluvio, inno urtato forfe contro 1a Terra e fconvoltovi ogni cofa, e chi sà. che una volta o l’altra non vi cagionino anche un’incendio, ond’ella poi depofia l’antica {paglia qual ferpe ringiovanifca, e rinovelli, e qucfio noilro gran Teatro di Attori cangia: debba ces‘i come di Scena.
11 prelente,dìfs’ella, è tanto per {e flcffo vario, e piacevole, come fià ora, che 10 m’ingannerei di gran lunga, {e e“non può divertirci per buona pezza di tempo fenza cangiamento alcuno. Ma noi fiamo per avventura, ril’pos’io, obbligati loro del più bello, di cui giornalmente godiamo . Elleno fono {late forfe per lo nofiro Jearro, l‘ingegnofo Macchinìfla, che lo i rcfo girevole, come quel tanto famofo nell’antichità di Curione, in cui quel popolo Romano domator delMondo, {chiana di Eroi, e porzione degli Dei immortali cancella all’uman genere, fedcva pendente in una fragile macchina, e batteva le mani al {no flefio pericolo. Ora noi dobbiamo a qualche Cometa, lenza tema per altro di accidente alcuno, il girar di coreilo nolìto, la rorazìon della Terra, la perpetua e col‘tante {uC‘ ceflìonc dell‘ ombra alla. luce, la varietà infine del giorno, e della none. Forre, che alcuna di loro urtandoci altra volta, ci à dato quefio moro non meno, che agli altri Pianeti, che l’appiamo averlo. I\oi avevamo innanzi ad efi‘a {ci mrfi di giorno, ed altri {ci di notte, come i freddi abitatori ,(e vi fofier, del PoloJenza aver com’cflì, nè una forte rifrazione, nè un lungo crcpufculo, che ci anticipale, e prolungale il giorno ’. Un po’ di Luna ci avrebbe dì quando iti quando debolmente fgom braco quella lunga, e m’pét notte. Qual’Ottica, c quai colori avremmo noi mai avuto per fei meli continui, fenza la Cometa, ed il U10 urto? Poiché ogni cote, ripigliò ella, fta bene prefentemente, Dio ci guardi da ora innanzi, dall’avvicinamento di alcuna di elle, da* loro urti, dagl’incendi, e da* diluyj che ci minacciano, e da quella forza ripuliiva, che ce le rende così terribili e fpaventofe. Ma non fon* eglino quelli gli Enigmi, così come gli fpaventi della Fifìca, che i medefimi corpi debbano at> traerfi, e discacciaifi?
Io non fo, continuai io, dopo un po’ di paufa, fc io debba introdurvi più addentro nel Santuario del Nevvtoniantfmo. V’à in quella ’Filosofia mi Iteri più alti ancora, e più Sublimi di quelli, a’ quali (m’ora ficee Hata ammetta. Quello farebbe il luogo d’invocar quegli Spiriti figli primogeniti della luce, cuirodi di quelle fegrete verità, delle quali fecero già parte al noftro Filo foie, acciò mi foiTe lecito rivelarvi cofe lungi ripoile dalla villa de* mortali, e im merle altamente per loro in una caliginofa nebbia, e nella profondanone. Vi conviene oradcporre,e fpogliarvi anatro di quel poco, che vi potria ancora effèf reftato di profano. Diremi, o Madama, qua! forza vi fentite voi pei Vero ’< Tutta quella forza, rifpos’eìla, che fentc un bravo Soldato a feguire il fuo Capitano per tutto la dove il valor k> chiama, lo vi feguo arditamente per tutto ovunque ci guidi la Verità. Voi riguardate, ripigliai io, e con ragione, come un’Enigma della Fiiica, che i mede-fimi corpi debbano attraerh, e diicacci at-fi. Ma l’Enigma non farebbe egli maggiore, £c io fi diceffi, che quelle due così contrarie forze l’attrattiva, e la ripuliva fono della medeùma natura, e ch’ella non è in fomma che la medeiima forza, che fi mani fella di veramente, e m varie circoftanze? Voi chiamate, difs’ella ’mezzo forridendo, la forza ripulfiva, la medefima che l’attrattiva? L’una fa tutto il contrario dell’altra, quefta attrae, e quella difeaccia. Sono eglino quelli gli alti, e i fublimi Mifteri della Filofofia, di cui appena che mi facette degna, e per li quali bi fognava tanto apparato? Non fi nd liceo" eglino all’arrogo, e all’alletto del Medico di Molière, che è la mede lima cola? Ah Ah, faggiuns’io, voi vi burlate delle cofe più facre della Fifica, e delle quali non vedete ancora l’ufo. Quanto dì profano vi refh ancora! Ma voi ne farete ben p re Ilo punita. Ricordatevi della condufione, che deducete pur poco fa voi medefima intorno a quella ftefla attrazione, di cui eravate così fchiva. La Dime per altro dovrebbeno maravigliarfì meno di qualunque altro, come una me de lima cola produr polla contrarj effetti Unaiomma ritenutezza,e una mamfefia parzialità verfo alcuno, non vengon’elleno molte volte dal medclimo principio, e non fann’elleno conchiuder loftello a’Conofcitori? Il Sole indura, e ammollifee fecondo le diverfe circoftanze, nelle quali e/e reità il fuo calore. Nelle azioni più strepitose delia vira umana, quella verità non fi marufeftaniente meno, che ne 1 fenomeni della Fi fica, e della Galanteria. La mede fi ma fere dì lafciar dopo fe un voto nome, e di vivere idealmente nelle bocche della Pofterità, incendia in Afia il Tempio d’Efefo, e precipita in Italia un Romano, e il fuo Cavallo nella voragine aperta in mezzo al Foro. Di un Curzio ella fa un Eroe, e di un Eioftrato un’incendiario. Alcune cofe che ponno parere al volgo, e al volgo Filolofico ancora, le più manifeste contradizioni nel medefimo uomo, che perciò alcuni, come già altri il Regolator dell’Univerfo finfcr doppio, talché volciTe l’uno ciò che l’altro riifvolea, non fon* elleno le neceflarie confeguenze della ftelfa paiTione, e degli fteflì moti? La mede lima caufa che fa, che i corpi uni venalmente fi attraggano, può fare, che in alcune circoftanze li di (caccino. Si trovano Analogie tra queire due forze, che fono di un grandilTimo pefo per conchiudere, ch’elle non fotte in fomma, che la fteila forza a che pretta differentieffetti.
Generalmente dove la forza attrattiva è pìcciola, ivi pure è picciola la ripulfiva 7 dove l’uni è grande, ivi pure grande è l’altra. La rifrazione, che dipende dall’una di quefte due forze, e la rifleffion dall’altra, fi fanno tutte c due, dove avvi una fupeifìeie, che fepari due corpi in denfità differenti; poiché fino a tanto che t raggi per lo medefimo mezzo feorrono, né in un’altro di denfnà differente s’incontrano, nè fi riflettono, uè fi rifrangono. I raggi più rifrangibili sono più fccil ménte rifletti degli all’ri, Quindi fi dice,’ che i raggi più rifrangibili fono ancora 1 più rt~ fiefftbili /Ne’ corpi, da’ quali il lume è maggior mente rifratto, egli è altresì più fortemente rifletto, e generalmente dove fi trova efiere maggiore la forza attrattiva e rifrattiva, ivi pure il trova effer maggiore la forza rifleffiva e ripulfiva, I diamanti che rifrangono più fortemente il lume, lo riflettono più fortemente altresì. Quindi vien la vivezza de’ loro colori,e l’abbagliante del loro lume.
Quefie Analogìe, foggiunfe la Marche fa, fon belle e buone, e buoni fono gli efempj, co’ quali avete fatto loro fìrada, ed a me rimproverato vie più la mia baldanza. Io mi pento di aver rifo in luogo di e (Ter mi maravigliata, e di avere fchernito ’ciò, ch’io dovea venerare. Ma non mi dìcefte voi già che la riflefiìon fuccede dall’incontrar che fa la luce le parti folide de’ corpi, dalle quali è riperco0a? Quella fpiegazione nu pareva affili chiara, e forfè più per dir vero di quella, che m’accennate ora, Egli è, rifpos’io, il Defcartes che ve Vi detto, e non io. Temete adunque della voftra fpiegazione. Un’ingeguofo Autore a propofito del Defcartes, da un- bello avvertimento, che nella Filofofìa non bi fogna fidar fi di ciò, che fi crede d’intendere troppo facilmente, cosi come di ciò, che non s’intende punto. Se la nfleffrone fi face (Te dall’incontrar che fa la luce le parti folide de* corpi, come voi chiari film ameni e intendete che debba farli, fapete voi quale allurdo ne avverrebbe in Natura? Non vi farebbono più fpecchi, non vi farebbero più Tolette Una fupeifìcie per quanto hfcia e pulita dia Sìa, non lafcia dì avere prominenze, e irregolarità affai fenfibili, e che fi feoprono col Mic?ofcopio. Immaginatevi, che tutti i corpi che voi credete i più lifei e i più puliti, fono come l’acqua, allorché ella è increfpata dal vento.
La luce farebbe da effi riflettuta irregolarmente, come io è dall’acqua così increfpata, e non potrebbe mai efferlo con quella regolarità, che e neceflaria per vedervi in uno fpecchio Vedete che cofa vi coderebbe la voftra bella fpiegazione? E’ egli coi vero, foggiuns’ella, che ella coiti così c|o? Voi mi fate forfè più paura, che il pericolo non merita. Le irrego anta che fono nelle fupeifìcie degli fpecchi benché fenfibili al Microfcopio,non potrebbon* elleno effe re infenfibili alla luce? Voi fiete ben difficile, o Madama, replicai io, da un tempo in quà. Le prominenze* %: le cavità che fono negli fpecchi i più Uf i e i più puliti, fono paragonate ad una particel a di luce, ciò che farebbono i Pirenei, o le Alpi, riatto ad una palla di Bigliardo. Le irregolarità degli (pecchi fi veggono co’ Microfcopj ordinati, ma non Va Microfcopio così perfetto che face a vedere i pori del Diamante, attraveifo, il, Quale la luce però paffa abbondan tarmarne me. a noi, fe’le particelle della luce non foffero ouafi che infinitamente picciole. La forza ne?orp fi S dalla quantità di materia che cone gono, che fi chiama la mafia, e che anno; così che tanto maggiore e la forza, quanto fono maggiori e la mafia, e la velocità.’ Le particelle della luce anno una velocita incredibile, come quelle che vengono dal Sole alla Terra in otto minuti in circa di tempo, bile percorrono in otto minuti uno {pazio di ottantun milioni di miglia. Bifogna adunque, che effendo la loro velocità così fmifurata, come quella che di qualche cofa più di dieci milioni eccede la maggior velocità de’Corfieri Inglefi,la loro maffa fia quafì che infinitamente pieciola, perchè una fola particella di luce non faccia qui in Terra gli Affetti i più terribili del cannone, in luogo di gentilmente animare e rallegrar, conV ella fa, al fuo apparir la Natura.
I buoni effetti, ditte la Marchefa, della difficoltà, the noi dobbiamo dimoftrare nel credere agli uomini, fi e [tendono anche a’ Filofofi, poiché gli uni, così adoperando, ci danno maggiori prove di ciò che dtlideriamo efler vero, gli altri di ciò che lo è in fatti. Io mi guarderò da ora innanzi in ogni maniera dal credervi troppo leggiermente. Voi non avrete certo, /oggiuns’io, per quefta volta almeno fulla cofeienza di non avere battami argomenti, onde credere, che la riffe Aioli e Lon fi faccia dall’incontrar, che la luce fa le parti folide de’ corpi. Perchè oltre al grande affutdo che ne verrebbe, fe cos’i folle; egli fioflerva, che la luce trafmefla per un pezzo di vetro feffre una più forte rifleffìone nell’ufcir dal vetro, ch’ella non à fatto nell* entrarvi. Ora come può egli mai e (Te re, che la luce trovi più parti folide nell’aria, di quello che ne à trovato nel vetro medefimo, onde farti quella più forte nfleffionc? Senza di che fe fi pone acqua, od ogho nmediamnente dietro al vetro, U nflefiìone e più debole. La luee troverà ella WP««£ hde nell’acqua, o nell’ogho che nell ar a? H m fine fé l’aria, che è dietro al vetro, con uno ili.umLo a tal uopo farro fi rimovera M<«pcftl«fldhone farà molto più forte di quel o che: tofle, quando v’era l’aria. Direte voi che la luce nei ftno del voto un maggior numero di PJf" J? 1 incontra, che nell’aria? Dio mi guardi dal di lo, rifpofc la Marcherà. Io diro fempre, effe Ma forza npulfiva, caufa della ntóone Io quelli cafi replicai io, ella non è la npulfiva, ma 1 artrauiva Allorché un raggio efee dal vetro nelL Si è attirato dall’aria, e dal vetro; quindi m a’par c di elio, quella cioè che al vetro e pm vicina ritorna in dietro, come fe folle 8a;a*jfte£ SSfSTfi rimuove affatto, effendo, molnffimo attirata dal vetro, e quafi niente da ciò che iella quando Una è rìmoOa, ritorna m d*c*«> qua* tutto Ma fe dietro al vetro fi pone acqua, od o R o.’che lo attira molto più che lana una minSr parte di elio dee ritornare m die re, che quando v’era l’aria, finché bilanciando le forze de’ due mezzi, ficcome allora quando al vetro li a PP nca e un liqu’ore, che ila apprcho coj 5£d«Gtaa denfnà, o un’altro % rageto dee paffar tutto, e in quel o eafo non v Sec riffeffione alcuna. ralmealpuò ftabihre, che la forza attrattiva e la ca da dllU?Sl de’ raggi, allorché la luce passa per un mezzo denfo in un raro, e che la ripulfiva Io è, quando per io contrario la luce palla da un raro in un denfo. Neil’un caio, e nell’altro, poiché la forza attrattiva, e ri pulii va fi propagano a qualche diitan/a da’ corpi, la luce è riflettuta, e (Fendo tuttavia lontana dal corpo che la riflette, cosi come qualor comincia a rifrangerà, è tuttavia dal refi-ingente mezzo alcun poco lontana, nella guifa che" lo è pure dall’eftremità de* corpi, allorché pattando loro vicino, è dal diritto cammin fuo nella diffrazione diflolta, ed incurvata. Per la qual cofa le parti folìde, e la fpiegazione del Descartes, anno nella riflcffione a far meno che giammai.
Il povero Defcartes, continuò ella, e bene attaccato fin nell’ultime lue trincee. E non gli manca altro, fe non che gli fi neghi ancora, che ficco tri e la luce non è riflettuta dalle parti folide, cosi ella non Ila trami ella da* pori de’ corpi, e poi fe ne pctrà tornare a cafa Amile a quel momentaneo Al diandro del Nord, che dopo le più rapide e ftrepirofe conquille, perdette in fine il fiore de’ fuoi mede li mi flati. E’ gli fi nega almeno, rifpos’io, acciocché in fine gli fia negato ogni cofa, e poffa, quand’e’ vuole, tornarfene a cafa, che la quantità, o la grandezza de’ pori ne* corpi, contribuìfea alla loro trafparenza. Si prova al contrario, che fe i pori d’un corpo fi riempiano come que’ della carta, con acqua, o con oglio, ella divien trafparente di opaca, ch’ella era,. laddove fe fi moltiplicano in un corpo i pori, come nel vetro, qualor fi riduce iti polvere, egli diviene di trafparente opaco. La omogeneità e quella in cut ricercar fi dee la cagione della apparenza. Se in un corpo vi faranno molti pori i, > e che quelli riempiuti fieno di una materia ditteremi: da quella del corpo roecìefìtno, fuccederanno alla luce mille rifrazioni, e nfleflioni ne le interne parti di elio, coficchè ella ne verrà ad onere allatto e fi ima. L’aria cella di efler trafparente, quand’è nuvolofa, benché fia più leggiera della focena, e confeguentemenre più poroia. La fu a opacità da altro non può venire, fe non dall’efler lei in quel tempo eterogenea; il che la foffrire a’ raggi della luce, che per effa pallano mille rifleffioni, e rifrazioni, onde vengono ad efler ben tolto foffocati ed ertimi. Cosi pure la piccante fchiuma del dehztofo vino di Champagne verfata da una delira mano alle dilicate cene di Parigi, è opaca, benché più porofa, e leggiera dei vino medefimo. Quindi pare dedurli poifa un argomento, che i Cieli non pofean efler pietà di una materia, quantunque rara ella tinger il rolla, quantunque tutta quella, che dentro il vallo Orbe di Saturno contenuta iofle, e 1 pori della quale non eccedeflero la più picciola larghezza, che concepir poffiate, la potette unita ch’ella foffe perfettamente mueme, e lenza alcun vano Tramezzo fingere in un pugno. Che mi dite voi mai? efclamò la Marchefa. Coretto Nevvtonianifmo è egli il Vello d’oro, alla cui conquirta non fi debba andare, che attraver o {Dille (Wai portenti, e domando prima mille ajoftii dell’immaginazione? Credete voi, le rìfpos’io, che l’oro, quefta predio fi foitanza, per cui fi fanno, e fi foffrono si grandi cofe dagli uomini, e di cui tanto più crefce ne’ tioitri petti la farne, quanto più Cembri, che dovette eterne fczia,e che i diatninri fteffij la più brillante Opera della Natura, benché pefanti oltremodo e gravi, motta materia in fe contengano? Strano vi parrebbe il dirvi, quanto poca realmente ella fu, attefa!a vaftità del vano, che v’à fra mezzo, c che perfettamente pieno all’ingannato noflro occhio ratembra. La materia, che un pezzo di vetro rifpctto alla fu a mole in fe racchiude, non è che un.granel di arena rifpctto al Globo Terraqueo. Egli è maravigliofo quanto poco di folido vi ha ani Monda, e di quanto pochi materiali, per cosà dire, egli.ila fabbricato. Voi temerete per avventura di camminar falla bambagia, Tene rifapefte il vero, e di fchiacciarlo fot co a vollri piedi, roller pure. così leggieri, come quelli della veloce Camilla, o di quella moderna Salratrice, le cui tracce gli alati Amari duran fatica a feguire, e a cui ZeiHro amorofo non può involare un bacio, che quando riftà di danzare. Ora quantunque oltre a ciò, che immaginar fi polla, rara fisgafi la materia de’ Cieli, la luce però, la quale malgrado la fmifurata fua velocità impiega fei anni di tempo fecondo gli ultimi calcoli a venir dalle itelle a noi, eiìinguerli affitto dovrebbe per le tante riflclfiont, e rifrazioni, che a foffrir uria collreua in queit’immenfo tragitto; ficcoroc una numerofa, c florida Armata in una lunghiflìma marcia s perir dovrebbe e disfarfi da se ik ila a forza diftenti/e de’ foverchi diligi del cammino.
Io vedo con piacere, dille la Marchefa, come
le proprietà della notlra luce ci conducano perfino a votare il Ci c lo, e dopo aver fai io muover la Terra, le di l’imbarazzi no anco la llrada. Le diffrazioni ancora, replicai io, che la luce (offrirebbe dalle pam df quella materia ce Ielle, fervirebbon non pùo ad rftinguerla, nella guifa che il debbon pur fare ne’ corpi, che fono molto poroli, ed eterogenei i Egli è mirabile, che fi trovi un luogo nelle note, fe ben mi fovviene, che I fatto il Ferrault:a Vitruvio, che moftra aver lui veduto quella verità in barlume. La rarefazione, die’ egli, cioè l’allomanamento delle partì, rende i corpi opachi, perchè rarefacendoh diventano eterogenei di omogenei, ch’erari pnm
Ben più mirabil mi fembra, disella, che trovato fiafi chi abbia chiaramente villo, e dimoflrato, che due così oppolte cofe, come la rifrazione, e la rifkflion fono, il che fìa Tempre una maraviglia per me, fi faccian tuttavia per la medefima caufa. Le facilità, foggiuns’io, e gli oftacoli, che trova la luce nel paflar da un mezzo in un altro, fono quali nel medelimo caio. Forfè un fottiliffimo fluido fparfo ne’ contini de mezzi, prontiffimo a vibrarfi, e in cui il lume percuotendolo, eccita modulazioni, e tremore, come un fallo nell’acqua, o la voce nel ’ aria, e cagione sì delle une, che degli altri; talché le la luce rrovaii nel cavo delle onde di quello fluido, ella ella vi ■paffa liberamente attraverfo, fe nel fomniQ, ella è rifiuta. Quandi vengono gli acceffi, o le veci delle più facili trafmijfione, e riflefftone, cioè il medefimo raggio di luce è in un momento trafmeilb, e nflettuto nell’altro; e poiché le vibrazioni di quello fluido fon rapidiffime, egli ci pare nel med efimo tempo, e riflettuto, e trafme ilo. Ma eccoci già a* confini delle cofe, dove fi sfumano, per così dire, le idee, alle sbarre del fapere, le quali non è di fuperar concetto a qualunque forza d’umano ingegno, ed io forfè fono lcorfo più oltre che non dovea.
Molte cofe fono fiate propofte dal Signor Newton forto 11 forma di Qulltioni che fono verifimilmente i nafcondiglj, e i receflì, ne’quali fi ritira la Natura per fottrariì agli fguardi mortali. Le Analogie tra i fuoni, e i colori, lefirane metamorfofi di luce in corpi, e de’ corpi in luce, le doppie, e maravigliofe rifrazioni del crifhllo d’Islanda, dei crii tal di Monte, e di quello, che sì è ultimamente feoperto al Braille, faranno enigmi Tempre mai inpcnetrabili al genere umano, ic entello EJipo non gli- a iciolti, e indovinati. Quanto diveifa dal tnodeiio dubitar di quello Legislatore de’ Saggi non è la temeraria aHerzione de’Seduttori della moltitudine? Frometton coitoro tuttavia agli uomjni che ài femore coli’ iiìdfe Infinge ingannato, di fpalancar loro ben prdìo, e agevolmente con certi nuovi principi ll &tf allora tentato in vano, e chiufo Tempio della Verità, nella guifa che altri con certi loro novelli Siiìcmt tendono di quando in quan do ail* umana ingordigia artifiziofe reti, e promettono di arricchire ad un tratto le Nazioni, che anno mai Tempre colle medtfime ani impoverito I/aggradevole, e vano error della fperanza conduce gli uni in fiotta al Telonio, gli altri al I icèo. Non difformi dalle concepite lu> finRhe fogliono èflfer i F r.ncìpj. Arride il vento alta Nave che feioglie dal Porto, e dolcemente invitano due begli occhi la prima volta, che li vestono. La Banca convertendo m fui pnncipioìe freraoze in oro, la fua ripurazmn conferta ed accrefcc; e nelle fenfate Prefazioni fofheltk fuo decoro la Filofofia più felice nel bandire eli antichi errori, che nel foftituirvi verna novelle; talché coloro che accortamente diffidai d! buon’ora dall’infìdie il pie ntrageono, o un onefto accrefcimento della lor facoltà recan fico, o un ragionevol diùnganno de’ loro pregiudizi pattati. Ma pochi (odo i gasai, che il prefente non contamino nel iar Sii per Avvenire, e a’ quali la felicità cTossi digradino non ferva alla mifcna di domani Gli uni fi trovano alla fine cogli fentto, ingombri di cedole, che non fin più valore alcuno e gH altri col capo di non altro gonfio che Sì moti di predione, di rotazione di globe»., e d vortici.Talfe monete della Filofofia. Il Signor Newton dalla lenta, ma iicura Sp«ienz* guidato nulla prù v» promette, eh ella non fia ad attender valevole, colà fi arrefta, ov ella lo ab& ti vero dal fallo, ddK<n*»£ *W babile,la mercè fua, dengue, e nel! cfteniio se del fuo fpirito conofee i confini dell’umano.
I raggi della luce, vi dice egli, non farebbon’eglino per avventura corpicciuoli di differenti grandezze, i più piccioli de* quali il color violetto, come di tutti il più languido ed ofeuro d i inoltrano, e fono dall’attrattiva forza del prifma più agevolmente di tutti dal diritto cammin loro diitorti, e gli altri di mano in mano, fìccome più grandicelli fono, così più chiari e più forti colori dimofrrano, l’azzurro, il verde, il giallo, e il roffo, e fono fecondo la maggior forza del colore, e la maggior grandezza de’ corpicciuoli che lo compongono, più difficilmente rifratti? Certa cofa è, che i raggi della luce e quanto al colore, ed alla rifrangibilicà fono tra loro divertì, e quanto alla forza, con cui percuotono il fenfo c Lo fcarlatto ci abbacina la viltà, l’azzurro del Cielo languidamente la muove, e foavemente la ricrea il verde d’un praticello. Una foladi quelle differenze, difTe Ja Marchefa, baftato avria ad un cornuti Filofofo per francamente porre quefta differenza di grandezza nelle particelle della luce; tutte e tre battano appena al noftro per formare una congniettura.
V'a replicai io, nella vasta ed illimitata Profpetciva della Narura oggetti, che fìam condannar, a veder fempre mai confufi, e languidi fenza fperanza, chc cannocchja, e aIcun0 | m tanza ne fcerai e nc accrefca agli occhi noftri ofofo nd nn" * I mod °™ del noftro Fiatato nel non affermare, che quello che dimo{tran le o nervazioni e (Ter vero, fervir dovrebbe a’ più arditi di efempio di faggia imitazione. Qual’altro con più ragione di lui, che fu tic ali della Geometria librato volar poteva per immenfi fpazj alla nortra curiofuà fino allora impenetrabili, dovea crede- Ci in UUto di allahre vi Cielo, e di riportarne. vittoriofo il fecreto della Natura?
Quanto ftrana condizione, ripiglio ella, si e mai eoterta noltra! Noi lappiamo qual g™zza in una particella, che iunge fi fot trae dalla villa fianeceflaria per riflettere un certo colore; ma queiìo colore, che abbiam fempre dinnanzi agli occhi, che cofa è egli È Appena il poffiam noi indovinare per via di una debole conghiettura. In una cofa fumo lincei, nell’altra ciechi Ivi i noftri fenfi oltre quel che di fperare era lecito affinati fi fono; qui pare che ci abbandonino ad un tratto, e del tutto ci manchino.
Non an mancato, foggiuns’io allora» di quegli, che an creduto, che le tante difficolti, onde il poco della noftra Scienza e opprelfo, i tanti Siitemi, var] Emblema» dell ignoranza umana, e quefto continuo Tantaleggiar de’ Filofori incontro al Vero, da altro cagionati non fieno, che dalla mancanza itì noi di un fello naturai fenfo, che molto di quel che ci è afeofo ci belerebbe, e che sfugge per avventura quette cinque mani dateci dalla Natura per prendere gli oggetti ertemi, e recarli all’animo. Chi fa fe nella gu.fa che arinovi fra noi animali, che in virtù per avventura di lenii a noi ignori, il variar delle Itagioni, l’avvicinarli del mattino, e fcnza aver letto nè Diofconde, oè altro Botanica quell’erba fai ut are fceleon fra mille, che la lor piaga rifarà, cosi in un altro Siftema nel Mondo forfè di Giove non v’abbian viventi, che de’ nolM Filosofi più perfpicaci veggano qual fia la figura, e la grandezza delle particelle, che i var] colori dipingono, e come fenza funi, e fenza uncini attrar poffan Saturno in una dilianza di più di trecento e cinquanta milioni di miglia. Ma incontraccambio fi eco me in quel Pianeta, dove non fon dtfolati dal furor della Guerra, non fenton poi le dolcezze dell’Amore, e vi fi nojano, talché ogni cofa e diverfifìcaro, e per via di giufH compenfi bilanciato trovafi, fecondo che ne dice il piacevole Storico di que’ Mondi; così là dove veggono che cofa i colori fono, non àn poi forfè fenfo per godere della più bella loro armonia fulle guancie delle lor Fillidi, le attrazioni dei Pianeti conofeono, noti forfè quelle dolci che a’ piaceri ci tirano, molto più apprezzabili di qualunque Speculazione.
Ma comecché fia di quella più vana forfè delle altre, a noi non giova di cercare, onde vie più de’ notiti difetti accorgerli, e di effcr cotanto ingegno!! nel tormentarci. Nè cognizioni, nè piaceri a noi mancheranno purché buon ufo di que* fenfi facciamo, che ci fono caduti in forte, e a voi non mancherà forfè, benché in che cofa confidano i Colorì, e la Luce, fola mente per conghie t tura Tappiate chi dica 4 che molto più ne fapete, che non convienfi per avventura ad una Dama. Io ne avrò la colpa; io che v’ó fatto fopra que’ pochi verfì, che an dato occafione a quella Luce un Comento, che baderebbe ad un Poema Balla Filofofìa Newtoniana. Ben per lei che voi faprete diffimular talora il vollro Japere con coloro, che fi beffan di ciò che dovrebbono imparare, e che alla Scienza della Folca voi congiungerete anco quella del Mondo.
Che dunque, efclamò ella, io fono ora tanto dotta da dovere itudiare di e Aere ignorante > Seriamente io pollo chiamarmi Newtoniana? Voi avete di già, replicai io, folennemente abjurato a* primieri voftri filolofici errori. La Luce del Nevvtonianifmo à diffi paro -i Cartelìani fantafmi, che vi affala na vari la villa. Voi liete ora veramente Newtoniana, e lo farete con non lieve vantaggio della Verità. Io voglio poi un giorno feri vere la bella conquida l che le ò procurato, e fon certo, fe io poi elfi dipingervi quale voi fiere, che non mancherebbono al mio Libro Lettori, nè feguaci alla buona Filofofìa. Voi farete la Venere, che preilerà il leggiadro Cinto a quella aufiera Giunone per renderla agli Uomini amabile e vezzofa.
IL FINE. ERRORI PIÙ NOTABILI CORREZIONI p. VI. 1. ii di tratto in tratto p. 2 1.4 Gepra p. 10 1. 9 tuono p, 23 I.25 farò p. ì. 16 da’ Filofofì p. 55 1.9 ad abbracciare p. 63 1. 21 del detto p. 65 I. 30 che fola a lui par Donna p.^7 1. 11 ravvicinaremo p. 6*9 1.6 tradero p. 139 I.25 del non favolofo Orfeo p, 140 1. 5 liberarcene ivi 1. 6 votice p. 142 l. 8 de’ Poeti p. 1 5<5 I.4 giudizio p. 187 Lio le pietre dure p. 193 1. 17 valefle p. 199 I. 7 fieno p. 210 1, 31 Fosforn p. 215 I.23 fe noi polliamo p.2i7 l.zé dodificare p.220 1. 11 Voi apprendere p. 223 1. 10 come pur p.224 Lui gacinti p.220* Li principalmente p. 229 I.19. Voi mi dite p, 2f*ò I. j pel principio p.265 L 16 Dunkerken p.270 E 10 E’ p.282 L13 refe fidarla ivi 1. ij feicento e ottanta due p.290 1.20 attirata di tempo in tempo Guerra tono farò a’ Filofofi ed abbracciare del tutto che [oh a luì par Doma ravvicineremo tarderò del noflro non favolofo Orfeo liberacene vortice di Poeti Giudizio le pietre dure arruolano valeffèro fieno Fosforo fe non polliamo modificare Voi apprenderete come pur fanno i giacinti principal merito, voi mi dite per principio Dunkerquen E ribaldarla feicento e ottanta attirato.