< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Vincenzo Salvagnoli Domenico Elena

senatore.


È un cittadino onesto, operoso e devoto tanto alla patria che in una città così patriottica qual è Milano lo si scelse a sindaco tra i molti egregi patriotti che in essa esistono.

Milano è una delle città metropoli italiane le più sontuose, e l’essere alla testa del suo municipio non è cosa di lieve momento. Il Beretta è riuscito benissimo nella missione che gli è stata affidata, tanto per il modo col quale ha saputo dirigere una delle più complicate ed estese amministrazioni, quanto per la maniera con cui ha saputo esercitare quella autorità e ascendente morale che hanno maggiore influenza le popolazioni, come quelle che provengono sopra da una sorgente, la più accetta e la più riverita, che esista in Italia.

Nei difficili momenti durati per breve lasso di tempo che sorsero in Milano dopo la caduta di Garibaldi in Aspromonte, si deve senza alcun dubbio al Beretta, se così presto a dei tumulti i quali minacciavano seriamente l’ordine, successe con rapidità estrema la pace e la concordia fra Governo e governati, che a plauso della capitale lombarda, non hanno mai cessato di regnare in essa.

Ed a questo proposito, noi non possiamo trattenerci dall’istituire un confronto, tra la condotta del municipio di Milano in essa circostanza, e quella del municipio di Torino, in occasione delle dimostrazioni per la notizia del trasferimento della capitale.

A Milano, l’accordo tra la autorità governativa e la municipale, mediante la prudenza e il patriottismo disinteressato di questa, non cessò un solo istante; tanto che, quando per uno sbaglio che poteva avere le più serie conseguenze, si volle spazzare le vie con isquadroni di cavalleria di linea, il municipio avvedutosi in tempo dell’errore commesso, rappresentò al prefetto, quali tristi conflitti potessero derivare da quella maniera di sciogliere gli assembramenti, e gli propose di aver piuttosto ricorso a pattuglie di guardia nazionale, la cui presenza nelle strade e nelle piazze, quand’anche fosse stata in piccolo numero, sarebbe bastato a ristabilire la quiete.

Ed il prefetto, da quell’abile ed esperto uomo che è, aderendo di buon grado all’invito fattole dall’egregio capo del municipio, accettò l’onesta offerta del con corso della guardia nazionale, e si dette premura di avvertire l’autorità militare, onde avesse a ritirare e a consegnare la cavalleria. E da quel momento, cioè non appena che il primo drappello di guardia nazionale comparve nelle vie di Milano, gli applausi scoppiarono fragorosi in mezzo alla folla addensata, e i mali intenzionati stessi, furono costretti a farle buon viso, quantunque senza alcun dubbio la maledissero in cuore. Ma anche in quella circostanza il prefetto di Milano, come il ministro dell’interno a Torino, ottenne dal commendatore Beretta e dal generale comandante in capo la guardia nazionale, che non si battesse per le vie la generale, la quale; come ognun sa, serve sempre a spargere l’allarme e ad eccitare viemaggiormente le ire cittadine; la guardia accorse come potè, meno numerosa dapprima, e ad ognora crescente di numero, non si tosto si conobbe ch’erasi fatto appello al suo patriottismo, per ricondurre alla pace la popolazione turbata. E così ogni inconveniente di qualsiasi natura venne evitato, nè si pensò a lanciare l’anatema contro l’autorità governativa, perchè a bel principio aveva creduto potersi dispensare dal chiamare sotto le armi la guardia cittadina. E di questa felicissima maniera d’evitare lo spargimento del sangue, bisogna riconoscersi debitori al sindaco Beretta, il quale del resto in quel frangente, dette le più alte prove di coraggio, d’abnegazione recandosidi persona, e più di una volta, in mezzo ai gruppi i più compatti dei tumultuanti, arringandoli con autorità e bonomia, riprendendoli talora, tal’altra ammonendoli, e minacciando arditamente i più ostinati e riottosi. E siccome egli è persona notissima al popolo milanese, la gran maggioranza di questi commosso altamente nel vedere il proprio sindaco scendere tra le sue masse, a parlarle quel linguaggio · brusco talvolta ed energico, ma ad ogni modo amorevole e paterno, approvava i suoi detti ed obbediva alle sue ingiunzioni.

Senza voler qui esaminare la condotta tenuta dal municipio torinese, durante i dolorosi fatti del 21 e 22 settembre, non occorre che noi diciamo quanto essa abbia differito da quella che abbiamo qui sopra esposta, e che per fortuna di Milano, e del prefetto di essa città, il sindaco di questa, tenne nella circostanza difficile da noi già descritta.

Il commendatore Beretta, si è sempre messo alla testa di tutte quelle benefiche e filantropiche sottoscrizioni, per le quali, come è noto a tutti, Milano non ha rivali.

Il suo palazzo inoltre, si apre sovente a splendide feste, alle quali concorre, non solo tutta la più distinta cittadinanza milanese, ma anche quella di altre città italiane, e tutti restano commossi della cordialità e squisita gentilezza dell’accoglienza, come della sontuosità delle suppellettili e degli apparecchi. In guisa che niuno potrà maravigliarsi, se noi affermeremo che il commendatore Beretta, esercita a buon dritto un’influenza delle più utili sui suoi amministrati e se è riputato da tutti coloro che lo conoscono per uno dei più benemeriti cittadini d’Italia.

Noi avevamo già redatti i qui sopra esposti cenni quando ci sono pervenute da fonte sicura particolari più precisi intorno la vita dell’onorevole sindaco di Milano. — Trattandosi di persona tanto benemerita della patria e a più d’un titolo ragguardevole, noi ci diamo premura di aggiungerli qui sotto: Dal 1842 al 1848 il Beretta fece parte in qualità d’assessore del municipio di Milano di cui era in allora capo il conte Gabrio Casati. Prese parte alla rivoluzione mirabile del 1848 e fu un dei membri del governo provvisorio lombardo.

Nominato più tardi plenipotenziario presso l’armata, il Beretta prese le disposizioni necessarie per l’approvigionamento delle truppe alleate.

Succedette al conte Martini come rappresentante della Lombardia presso sua maestà re Carlo Alberto, e nel mese di giugno col detto conte Gabrio Casati, presidente del governo provvisorio, e il conte Vitaliano Borromeo, vice-presidente di esso, recò al re nella città di Garda il patto di fusione della Lombardia col Piemonte, patto votato per suffragio universale.

Allorchè la causa italiana soggiacque e che si presentò l’inesorabile necessità di firmare la capitolazione di Milano, il Beretta si refugiò dapprima in Torino, ove fu ammesso a far parte della Consulta lombarda fino al momento in cui essa venne disciolta dietro la fatale disfatta di Novara. Allora egli protestò insieme ai suoi colleghi contro quello scioglimento per mezzo di atto solenne che fu deposto negli Archivi di regio notaio.

In seguito il Beretta lasciò il Piemonte si partì in Francia, quindi in Inghilterra donde si restitui finalmente in Milano, dopo avvenuta la promulgazione dell’amnistia generale del mese di agosto 1849 per rientrare nella vita privata.

Ma il governo austriaco non mancò di perseguitare un sì caldo e devota patriotta; nel 1835 sequestrò i suoi beni a proposito degli ordini dati dal Beretta in qualità di plenipotenziario per l’approvvigionamento delle truppe; ma egli portò la causa innanzi ai tribunali e citò dinanzi a questi i governi della Toscana e del Piemonte, e trascinò talmente in lungo il processo, che non era ancora terminato quando gli austriaci, per la memorabile vittoria di Magenta, si videro costretti ad abbandonare la Lombardia.

Il Governo nazionale succedette all’estera dominazione, levò il sequestro di sù le proprietà del Beretta e gli concesse in benemerenza dei servigi resi e delle persecuzioni sofferte la croce di ufficiale dell’ordine cavalleresco dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Allorchè il Governo ebbe applicate alla Lombardia le leggi del 23 ottobre 1859 sull’amministrazione provinciale e comunale, Beretta fu eletto per voto dei propri concittadini a membro del consiglio comunale di Milano; poco dopo il re Vittorio Emanuele lo nominò sindaco di quell’illustre città, elevandolo poco dopo alla dignità di commendatore nell’ordine cavalleresco sopra citato e con decreto del 13 novembre è stato creato senatore.

Le cure che nella sua qualità appunto di sindaco ebbe per l’armata Francese che soggiorno, come ognun ricorda, durante un anno intero in Milano, gli valsero in ricompensa la croce di ufficiale nell’ordine imperiale della Legion d’onore.

Secondato da distintissimi assessori egli si occupò intieramente della riorganizzazione dell’amministrazione comunale, dell’ammegliamento dei servigi pubblici e della condizione degli impiegati. Furono costrutti per dato e fatto suo nuove strade, macelli e mercati pubblici; l’istruzione fu pure di molto aumentata. Fece un imprestito di 16 milioni a 5 0/0 al pari; un altro di 10 milioni con premi a quattro franchi e novanta centesimi il cento per cinquantacinque anni compresovi l’ammortizzazione.

Suo scopo è stato quello di procurare alla città i mezzi di potere aprire grandi arterie nel suo centro, completare la grande via Vittorio Emanuele e la gran piazza del Duomo tanto desiderata e a quest’ora già cominciata. Ha pur presa l’iniziativa della formazione di una società di costruzione di case per gli operai e di bagni pubblici. Molti monumenti s’innalzeranno e grandi opere saranno fatte sotto i di lui auspici e per le cure che nella sua qualità di capo della civica magistratura vi applica.

Il pubblico favore con cui venne accolta fin dai primi giorni in cui la si conobbe la sua nomina a sindaco, è sempre andato aumentando tanto nella popolazione che nel consiglio comunale, che nella classe stessa degl’impiegati da esso lui dipendenti. Non vi ha esempio in fatti che una sola delle sue proposte sia rigettata dal consiglio comunale e gl’impiegati sono da esso trattati con una benevole autorità.

Il pubblico non può non essergli riconoscente di quanto egli ha fatto e fa ogni giorno negl’interessi della città; di più si sa che mediante una generosità di cui non si hanno che troppo rari esempi impiega non soltanto gli emolumenti che gli si retribuiscono nella sua qualità di sindaco, ma buona porzione ancora delle proprie sue rendite in opere di beneficenza e nelle splendide feste ch’ei dà in sua casa e che riescono, come abbiamo avuto occasione di dire più sopra, brillantissime e frequentatissime.


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