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Antonio Costa.
deputato.
È nato in Alghero — Sardegna — nel dicembre del 1819 dal negoziante Francesco e da Girolama Piccetti, ambi liguri.
Il padre era uomo attivo ed industrioso che introdusse nell’isola importanti ammegliamenti agricoli, e sopratutto vaste piantagioni di olivi che prosperarono e prosperano. Era però di quelle persone che pretendono far seguire ai propri figli una data carriera, ch’essi — i padri — hanno scelto; quindi è che il giovanetto Antonio, il quale era appassionato per gli studî, e che dopo aver fatti i preparatorî nella città nativa aveva spuntato di recarsi all’università di Sassari a studiar legge, dovette tutt’a un tratto lasciar là Digesto e Pandette e reintegrarsi nel domicilio paterno per occuparsi di mercatura.
Se il facesse di buon animo, ognuno sel pensi. Ad ogni modo gli riuscì poco dopo di partire per alcuni viaggi sul continente, viaggi, durante i quali gli fu dato naturalmente occuparsi de’ suoi studî a tutto agio, mettendosi anche in contatto con dotti personaggi che gli giovarono non poco ad avanzarsi in essi con mollo profitto.
Tornato in Sardegna, il genitore, uomo intelligente in fin de’ conti, s’accorse che era tempo buttato il pretendere di far del figlio un mercante, quindi gli lasciò facoltà di tornare all’università a continuare l’interrotto corso legale.
Laureatosi nel 1842, il Costa andò a stabilirsi a Genova ove fece pratiche presso l’avvocato De Ferrari, ora avvocato generale alla Corte di cassazione, quindi ammesso a patrocinare, esercitò per alcun tempo la professione. Se non chè fondatosi nella capitale della Liguria nel 1847 un istituto commerciale, il nostro protagonista accettò di esserne professore di diritto.
La prolusione al suo corso, come quella che conteneva idee e insegnamenti liberali, non fu permesso venisse stampata a Genova, nè a Torino, e ove l’autore non l’avesse mandata all’Academia di Lione, che veniva di riceverlo socio, e che si dette premura di farla subito pubblicare, egli è probabile che non avrebbe per allora almeno veduta la luce.
Con questi sentimenti, dotato d’altronde di non comune ingegno, il Costa doveva prendere, e prese difatti, non tenue parte al movimento del 1848, anche come collaboratore del Corriere Mercantile, nel qual giornale pubblicò una serie d’articoli formanti opuscolo intorno alle condizioni della Sardegna, avendo a cuore sopratutto di metter in vista l’anomalia e l’ingiustizia della separazione amministrativa di quell’isola dal rimanente degli Stati del regno, separazione a cagion della quale i prodotti sardi pagavano dazio d’entrata e d’uscita.
Intanto in casa dell’avvocato Costa riunivansi i membri del circolo detto l’Unità Italiana, alle quali riunioni interveniva pure talvolta il generale Garibaldi, e colà spesse volte il nostro protagonista prendea la parola e propugnava idee e principî d’indipendenza nazionale e di libertà.
Mortogli il padre nel 1850, egli lasciò l’esercizio della professione, che aveva sempre, del resto, prestato gratuitamente, e onde metter ordine ai propri affari alquanto intralciati e compromessi a causa delle largizioni che il Costa faceva spesso e volentieri in favore della patria o degl’individui, si occupò d’imprese di commercio e d’industria, assumendo la perforazione della galleria di Valenza e costruzione del tronco annesso, che furono condotte egregiamente a fine e gli dettero agio di procurare pane e lavoro a molti emigrali che mancavano del bisognevole.
Offertogli in varie occasioni di portarsi candidalo per la deputazione, egli aveva sempre rifiutato tale onore, finchè nel 1855 accettò di venire eletto a rappresentante nel Parlamento dal nativo collegio d’Alghero che da quell’epoca in poi gli ha sempre riconfermato il mandato.