< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Enrico Castellano Giuseppe Briganti-Bellini

deputato.


La famiglia di questo egregio patriota è stata una di quelle che si sono maggiormente segnalate per la loro devozione all’Italia.

Il fratello dell’avvocato Benedetto, di cui imprendiamo a discorrere, è morto sul campo di battaglia nelle pianure lombarde durante la guerra rigeneratrice combattuta nel 1859. - Benedetto, uno dei mille, è stato gravemente ferito in Sicilia, e deve a un miracolo della scienza il non essere rimasto storpiato in modo da non poter camminare che a forza di grucce.

Benedetto Cairoli ha fatto eccellenti studi, e se invece di mettersi a tutt’uomo, come ha fatto, nella politica e di seguire, le armi alla mano, il celebre liberatore della Sicilia, si fosse occupato della sua professione, e avesse seguita la carriera forense, andiamo convinti ch’egli sarebbe riuscito uno dei più notevoli avvocati d’Italia. Invece, l’ardente amore di patria da lui nutrito fin dalla più tenera infanzia, e il non meno fervido desiderio d’illustrarsi con qualche nobile impresa compiuta appunto a vantaggio d’Italia, lo indussero a lasciare da banda i suoi studi, per seguire nelle sue corse avventurose ed ardite quell’intrepido condottiero, cui i suoi stessi avversari i più accaniti, pagano un tributo larghissimo di ammirazione; ognun comprende, che intendiamo parlare di Garibaldi.

Il Cairoli seguì l’eroe di Marsala nelle guerre da lui combattute in tutta la penisola ed in Sicilia, ove pervenuto al grado elevato di colonnello, fu pericolosamente ferito nell’entrare che fecero le truppe garibaldine in Palermo.

Dopo aver lottato a lungo colla morte, il temperamento robusto del Cairoli e le cure prodigategli la vinsero, ma egli rimase crudelmente storpiato giacchè il tendine della gamba destra leso dal proiettile, erasi raccorciato, e aveva fatto sollevare la punta del piede e ratrappire notevolmente il ginocchio. Forza fu dunque al Cairoli di abbandonare la spada per riprendere la penna e valersi della parola.

La nobiltà del suo carattere, e la stima tutta speciale che nutriva per lui il vincitore di Milazzo, vi aprirono l’adito alla Camera ove egli sedè all’estrema sinistra.

Il Cairoli non prese che poche volte la parola, e questa prese in solenni occasioni. Ma il modo distinto col quale seppe servirsene valse ad attirargli l’ammirazione anche dei suoi contraddittori. Pochi deputati hanno pronunciato discorsi così forbiti di stile e di lingua, nonchè contenenti idee più dignitose, pensieri più elevati, di quello che ne contenessero le orazioni pronunciate dal Cairoli. Le quali, sebbene informate a uno spirito di liberalismo dei più avanzati, tuttavia sapevano tenersi nei limiti di quella moderazione di forme, tanto necessaria per far si che la parola di un oratore possa venire ascoltata e produca effetto anche sugli stessi suoi avversarii.

La discussione avvenuta in Parlamento intorno all’interpellanza sulle condizioni della Sicilia, indussero il Cairoli a seguire l’esempio dato dal suo illustre amico il generale Garibaldi, e a ritirarsi dalla Camera insieme a varii altri dei proprii colleghi della medesima screziatura.

Tutti però accettarono di nuovo le candidature loro offerte, è riuscirono ad essere di nuovo eletti, tornando cosi alla Camera più forti ed autorevoli di prima perchè ritemprati alle acque del voto elettorale; le eccezioni furono poche: Bertani, Saffi, Libertini e Cairoli rimasero soli esclusi.

Libertini riuscì a trionfare più tardi e dopo accanita lotta, nel collegio di Acerenza; Cairoli sostenuto vigorosamente da Garibaldi e da tutto il partito estremo, assai predominante nella metropoli partenopea, potė dopo una lotta assai accanita, essere rieletto nel primo collegio di quella città.

Intanto però che accadevano queste vicissitudini elettorali, il Cairoli sopportava con un’intrepidezza delle più maravigliose, un’operazione dolorosissima mediante la quale riusciva a guarire quasi completamente, del terribile incomodo ond’era travagliato a cagione del raccorciamento del tendine di cui abbiamo avuto occasione di parlare più sopra.

La cosa ci sembra valer la pena d’esser descritta giacchè ridonda a lode dell’operatore, nonchè ad elogio pure del coraggio e della fermezza invincibile del Cairoli.

L’operazione consisteva adunque nel taglio di quel famoso tendine detto d’Achille, che gli antichi ritenevano non si potesse ledere senza attentare alla vita del paziente.

Ora questo taglio sempre pericoloso, difficile, dolorosissimo, riusciva tanto più doloroso e pericoloso in quanto che si doveva operare sovra un soggetto ferito. — Tuttavia il dottor Bertani insisteva presso il Cairoli perchè si sottomettesse all’operazione, di cui garantiva la piena riuscita. Vero è che nel tempo stesso avvertiva l’amico, che egli avrebbe sofferto orribilmente, non tanto al momento in cui doveva effettuarsi il taglio, ma più ancora allorchè si sarebbe applicato alla parte offesa la macchina, mediante la quale dovevasi impedire ai due tronconi del tendine di ricongiungersi, e nel tempo medesimo aveva a radrizzarsi il piede storpiato.

Il Cairoli credeva a ragione essere di suo dovere il sottomettersi ad ogni costo ad un’operazione, che valeva, secondo le attendibili promesse del suo amico Bertani, a restituirgli l’uso delle sue membra che gli era quasi assolutamente tolto, e che lo rendeva a parer suo inutile alla società; quindi l’operazione ebbe luogo.

Il dolore patito fu terribile, e il Cairoli non volle neppure che fosse alleviato mediante l’eterizzazione, ma fu sostenuto con un’intrepidezza delle più ammirabili. Due tronconi del tendine furono posti alla dovuta distanza, e si applicò la terribile macchina per riallungare la gamba e raddrizzare il piede.

Questa macchina esercitava sul membro offeso del paziente, una tortura continua, insopportabile e ch’ei sopportò pur tanto per quattro lunghi mesi durante gli eterni giorni dei quali, egli dormiva appena una o due ore. La sua costanza non si smentì un solo istante, ed egli pervenne al termine delle sofferenze, e ad una guarigione quasi completa, senza che desse prova del più leggero atto di debolezza.

A quest’ora l’egregio avvocato che non poteva avanzare un sol passo se non sostenendosi sulle grucce, cammina spedito, e quasi senza l’aiuto di un bastoncello, che porta più per vezzo che per bisogno. Si converrà che se la cura fa onore al professore che la tentò e la condusse a buon termine, non lo fa meno a chi seppe sottomettervisi con una fermezza d’animo degna d’altri tempi.


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