< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Filippo Linati Domenico Monti
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Celso Marzucchi.


Nato in Siena nel settembre del 1800, fece i suoi primi studi iu quella città, e nel 1818, ristabilita l’università Senese, vi conseguì la laurea di dottore nell’una e nell’altra legge.

Nel 1829 fu nominato professore di diritto civile in quello stesso Ateneo.

La nuova vita e lo spirito italiano che aveva saputo infondere in quell’insegnamento, e che gli attiravano durante le sue lezioni frequenti applausi per parte dei molti uditori, diedero ombra al governo granducale, il quale nel 1832 lo destituì dalla cattedra. — Nell’ultima sua lezione aveva preso a dimostrare che la religione dell’evangelio è promotrice d’ogni perfezionamento sociale. Questa lezione fu stampata la prima volta in un giornale di Torino, al principiare del pontificato di Pio IX; fu poco dopo ristampata in Firenze, e quindi in Palermo.

Quattro anni dopo la sua destituzione, il Marzucchi trasferì il proprio domicilio in Firenze, ove si dette ad esercitare la professione d’avvocato fino al novembre del 1847. — In quel mese il ministero Ridolfi lo impegnò ad accettare il posto di assessore del governo di Livorno.

I tumulti avvenuti in quella città nel dicembre dello stesso anno, e nel successivo mese di gennajo, dettagliatamente narrati nell’ultimo volume della storia civile della Toscana, dettata dal cavalier Zobi, gli fecero desiderare di deporre un ufficio tanto contrario alle sue abitudini, e sul finire del marzo 1848, ottenne di ritornare in Firenze, ove fu aggregato avvocato generale alla Corte suprema di cassazione.

Proclamata in Toscana la costituzione, fu da tre dei sei collegi di Firenze inviato deputato al Parlamento, del quale fu nominato vice-presidente.

Caduto il ministero Ridolfi, fece parte del nuovo ministero Capponi, rimasto sì breve tempo, nella qualità di ministro di pubblica istruzione e beneficenza.

Durante il successivo ministero democratico e il governo provvisorio, che ressero lo Stato dopo la fuga del granduca, il Marzucchi restò senza ufficio.

Al momento della restaurazione operata, come ognun sa, in Toscana per voto di popolo il nostro protagonista fu richiamato presso la suprema Corte di cassazione. — Trovandosi ivi il 27 aprile del 1859 in qualità di primo avvocato generale, venne richiesto di assumere il portafogli degli affari ecclesiastici, incarico ch’egli non credè dover accettare, consentendo bensì ad occupare il posto di procuratore generale presso la Corte d’appello di Firenze; pochi mesi dopo, nell’ottobre di quel medesimo anno, fu chiamato al posto rimasto vacante di procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione, essendo stato in quel frattempo nominalo anche consigliere di Stato in servizio straordinario.

Il governo Toscano incaricò il Marzucchi nel febbrajo del 1860 di venire a Torino per far parte della commissione cui era affidata la revisione del codice civile Albertino. — Quando la Toscana ebbe votato il plebiscito, col quale dichiarava voler far parte del regno italico sotto lo scettro costituzionale di Vittorio Emmanuele, egli fu uno degli abitanti di quella gentile provincia, che vennero onorati della nomina di senatori. — Creato poscia cavaliere dell’ordine Mauriziano. il Marzucchi è stato recentemente promosso ad ufficiale nel medesimo ordine.

Il decreto reale, in data del febbrajo di quest’anno, lo pone nel numero dei quattro vice-presidenti del Senato, per la prima sessione del Parlamento italiano.

La vita così attiva del Marzucchi non gli ha impedito di produrre vari scritti notevoli, che in forma di articoli dette alla luce in quell’ottima rivista che si chiamava l’Antologia di Firenze, articoli relativi specialmente al diritto penale; e negli Atti della reale accademia economico-agraria dei Georgofili, della quale il Marzucchi fu segretario e vice-presidente, leggonsi di lui diversi rapporti, memorie ed elogi, dettati con tale eleganza di stile, elevatezza di pensieri e calore di sentimento, che ne fanno rincrescere di non possedere finora di esso qualche opera di maggior lena.



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