< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Raffaele Busacca Carlo Fenzi
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Filippo Cordova.


CORDOVA FILIPPO


deputato.


Egli pure è un chiaro figlio di quella terra ferace d’ingegni, quanto lo è di ogni bella ed utile produzione, che si chiama la Sicilia. Compromesso nella generosa rivoluzione del 1848, alla quale il Cordova prese parte efficacissima, e come membro della camera dei comuni e come ministro di grazia e giustizia, al momento fatale della ristaurazione dell’odioso governo borbonico gli fu giuocoforza esulare, e ben presto ridottosi in Piemonte, vi si stabili di una maniera fissa, e vi si mise in contatto con gli uomini i più notevoli per ingegno e per patriotismo.

A Torino, ov’ei risiedeva, dette alla luce varii scritti di economia politica che gli meritarono a buon dritto la stima di quanti ebbero a prenderne conoscenza.

Non appena Garibaldi fu penetrato in Palermo, che il conte di Cavour confidava al Cordova, in unione col La Farina, una importante missione, la quale disgraziatamente nè l’uno nè l’altro furono in grado di effettuare, in quanto che i partigiani di Garibaldi mossero contro di essi una parte della popolazione, e li obbligarono a ripartire poco tempo dopo ch’erano giunti.

Più tardi, calmatisi gli animi, si rese miglior giustizia al Cordova e un collegio dell’isola nativa gli confidava l’importante missione di rappresentarlo in seno al Parlamento italiano. In seno a questo egli non tardò a dar più ampio saggio ancora delle sue vaste cognizioni, mentre gli fu concesso prendere parte a importantissimi dibattimenti sulle materie le più svariate e le più gravi. Uomo di molta penetrazione, di studio, e di svegliatissima intelligenza, ebbe anche il dono singolarissimo, e tanto valevole in uno stato retto da governo rappresentativo, di possedere una facilità di parola delle più rare. Vero è che il tuono della voce, i moti della persona, e la pronuncia stessa, non corrispondono a quella, e quindi nuocono assai all’efficacia dell’effetto che produrrebbe sugli aDimi l’oratore.

Poco dopo la fatale perdita del conte di Cavour, al Cordova veniva affidato dal barone Ricasoli il portafogli d’agricoltura e commercio. Durante il breve tempo ch’ei si trovò alla lesta di questo importante ramo dell’amministrazione, ebbe campo di semprepiù confermare la favorevole opinione che generalmente si era concepita delle di lui qualità di uomo di Stato. Disgraziatamente non si potè ugualmente lodare la di lui condotta riguardo ai rapporti che dovevano vincolarlo al presidente del consiglio e agli altri suoi colleghi del gabinetto. Ognun ricorda la meschinissima e indegnissima guerra che gli avversari del Ricasoli facevano a lui e agli altri ministri. Il Cordova solo andava immune da ogni attacco, e non tardò molto a sapersi, che ciò accadeva appunto perchè, mentre egli continuava a far buona ciera ai suoi colleghi ed a rimanersi nel gabinetto presieduto da Ricasoli, aveva delle intelligenze nel campo nemico, nel quale passava indi a poco, con armi e bagaglio, accettando il portafogli di grazia e giustizia, di cui veniva rimunerato dal Rattazzi.

Questa condotta del Cordova fu giudicata mollo severamente da tutti gli onesti, e difatti si può dire non abbia precedenti, nè in Italia, nè in verun altro paese retto costituzionalmente, e giova sperare, non sia per trovare imitatori.

Tant’è che l’opinione pubblica, così leale tra noi, si sollevò con impeto talmente irresistibile contro quella sorta di giuoco di destrezza, che fu forza all’autore di esso di dimettersi dal ministero e di ritirarsi nella vita privala. Fatto egregio questo, e che servirà d’esempio a coloro che fossero tentati di seguire una via così lubrica.

Il tempo, poco a poco, ha, se non fatto dimenticare il fallo, almeno cancellato in gran parte la macchia.

Dimodochè il Cordova ha ripreso con molta attività i suoi lavori parlamentari, e ha parlato con la solita sua profondità intorno ai progetti di legge di riorganizzazione amministrativa presentati dal ministero Minghetti-Peruzzi, del quale egli si è sempre palesato dichiaratissimo avversario.

Si dice anzi, non sappiamo con qual fondamento, che il generale Lamarmora incaricato dal Re di comporre il nuovo gabinetto, in surrogazione di quello che i moti di Torino fecer cadere, abbia olferto al Cordova un portafogli, e che questi lo ohbia rifiutato.

Senza renderci garanti della verità di questa asserzione, noi la notiamo qui, perchè la crediamo idonea a dare un’idea del concetto di cui gode tuttora il deputato siciliano.



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