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Francesco Bubbani.
deputato.
È nato in Bagnacavallo sullo scorcio del 1808, e ha fatto i suoi studi a Bologna, ove ebbe laurea in diritto civile e canonico a vent’anni.
Nei movimenti politici del 1831 egli prese non poca parte, il che fece sì che fosse sottomesso a continua sorveglianza durante tutto il pontificalo di Gregorio XVI, venendo in ultimo arrestato nell’ottobre del 1845 dietro il rivolgimento di Rimini, che ebbe un eco a Bagnacavallo. — E tant’era la fama di liberale e avverso al governo del pontefice di cui godeva il Bubani, che il giudice inquirente, sebbene non trovasse materia a procedere contro di lui, tuttavia ordinava la continuazione dell’arresto, non sapendo convincersi che a Bagnacavallo fossesi operato alcun moto o dimostrazione insurrezionale senza che il Bubani l’avesse saputo o avessevi partecipato.
L’amnistia proclamata da Pio IX nel luglio 1846 trasse di carcere il nostro protagonista, il quale da quel momento potè accudire alle pubbliche incombenze, siategli interdette fin da quell’ora, e dopo aver sostenute nel proprio paese varie cariche municipali, fu chiamato a Bologna in qualità di membro del commissariato straordinario di Stato presieduto dal cardinale Amat.
Nel cader d’ottobre 1848 si scioglieva quel commissariato, e al Bubani veniva annunciato che il governo lo riguardava siccome entrato nella carriera amministrativa. Accaduto infatti poco dopo il funesto assassinio del Rossi e la successiva fuga del papa da Roma, e prelati e governatori di provincia andarono mano a mano dimettendosi, e primo di essi monsignor Giraut, che reggeva la provincia di Fermo. Il governo provvisorio di Roma inviò colà il Bubani in qualità appunto di supremo preside, ed egli restò in quel posto fino a che accadde l’occupazione di quelle contrade per parte delle truppe austriache, dalla quale risospinto, si ridusse il Bubani in seno della famiglia, ove non lungamente rimase, chè per autorevole consiglio fu indotto ad allontanarsi, chiedendo ed ottenendo passaporto per Firenze. Colà visse sufficientemente tranquillo durante tre mesi, sebbene il nunzio pontificio gli fosse avverso; saputa l’amnistia emanata da Pio IX nel settembre 1049 e trovandovisi compreso, non potè trarne subito partito per esser caduto ammalato. Lo fece allora il nunzio sollecitare, mandandogli apposito invito e notificandogli di esser abilitato a firmargli il passaporto per rientrare nella città nativa. Appena glielo permise il miglioramento di sua salute, cede il Bubani alle insidiose premure. Buon per lui se non l’avesse fatto! Giunto la sera a Bagnacavallo, la successiva mattina la di lui abitazione era invasa dai carabinieri pontificii, i quali dichiaravano che non avevano a tener conto alcuno della regolarità del suo passaporto. Costoro il gettarono in una segreta, ove si rimase per ben tre anni per esser quindi trasferito nel forte di Pagliano d’infausta celebrità, ove fu ancora prigioniero due anni, fino a che fu cacciato nel 1855 in esilio.
Si rifugiò allora il Bubani in Piemonte, questa terra d’asilo e di speranza per tutti quegli italiani che erano vittima della tirannia dei propri governi, e vi rimase fino al momento in cui le gloriose armi nazionali, guidate dall’intrepido Cialdini, ebbero riunite le Marche al regno italiano.
Quella stessa provincia di Fermo, ch’egli aveva governata un tempo, a significante dimostrazione dell’affettuosa memoria che aveva conservala del Bubani, lo ha eletto a rappresentarla nel seno del Parlamento nazionale.