< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Romualdo Trigona Stefano Castagnola
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Giunti Francesco.


È nato nell’aprile del 1808 in Sanginetto nel Cosentino dagli onorati genitori Leopoldo e Fortunata Servadio.

Il di lui padre, che sopratutto al mondo curava l’educazione de’ propri figli, li tenne durante tutta la loro fanciullezza ed adolescenza in propria casa sotto, la sorveglianza propria e di un ajo; procurando loro i precettori i più dotti e solerti. Quando credè poterli allontanare senza loro danno dal letto paterno, inviò il nostro protagonista insieme al fratello in Sant’Adriano, nel collegio italo-greco, il migliore che fosse nelle Calabrie ed ove i due giovinetti studiarono con molto loro profitto le lettere greche e latine. Di là fu il Guinti inviato dal padre in Altomonte, sotto la guida e la sorveglianza di egregio professore, ad apprendere matematiche e filosofia.

Recatosi finalmente in Napoli, Francesco terminò i suoi studi col laurearsi nel 1820 in ambo i diritti.

Quantunque con trasporto egli avesse atteso alle discipline legali, pure fino dalla sua gioventù ebbe repugnanza ad esercitare la professione di avvocato, e sembrandogli più decorosa la carriera della magistratura, sentendosi la virtù e la forza di poterla degnamente percorrere, tentò il modo di entrare nel santuario della giustizia. Gli fu però d’ostacolo l’esser nato da una famiglia che dal 1780 in poi aveva sempre propugnati i santi principi della libertà; di lai guisa era difficile che sotto un governo dispotico e sospettoso, qual era il borbonico, gli fosse mai possibile di raggiungere l’ambito scopo.

Essendosi di ciò ben convinto, pensò a condurre vita tranquilla e privata nel seno della propria famiglia, ove si distrasse coltivandole lettere, e si propose giovare ai propvi compaesani col prestar, come fece sempre, gratuitamente l’opera sua a tutti coloro che potevano abbisognarne, sopratutto ai più poveri.

Nemico acerrimo com’egli era del dispotismo e non potendo certo, per tristezza dei tempi, abbattere il governativo, si dava a tutt’uomo a scuotere e paralizzare quello dei privali prepotenti che avessero intenzione o proponimento di usar soverchieria ai deboli e agl’impotenti. Si fu questo suo generoso e leale agire che gli cattivò la stima di tutti i buoni nel suo paese natale. Calabrese nell’anima, egli era sempre in relazione con tutti i liberali che formicolavano, per cosi dire, nelle nativo provincie. Dimodochè allorquando Ferdinando II concesse si a malincuore la costituzione nel 1848, il Guinti venne eletto deputato a quel parlamento. Ma la reazione non tardando, appoggiata com’era dalle bajonette svizzere e fomentala dalla camarilla, non tardando, diciam noi, a prendere il sopravvento, il Guinti, designato come uno dei più sinceri liberali, fu fatto scopo dell’ira e della persecuzione dei borboniani, i quali, non paghi d’intentare ad esso un processo criminale, lo intentarono pure ai suoi tre fratelli, uno dei quali fu condannato ad otto anni di ferri.

Il nostro protagonista tuttavia rimase incolume da condanna, ma non dalle persecuzioni e dalla sorveglianza la più tirannica, la quale non finiva mai di invadere la sua abitazione sotto pretesto di visite domiciliari, obbligandolo a domicilio forzoso e impedendogli talvolta fino l’accesso ai propri poderi.

Per cavarsi da tante angustie, nel 1856, mercè la spesa d’ingenti somme di denaro, ottenne di poter trasferirsi a fissare il proprio domicilio in Napoli, d’onde non ha mai potuto uscire neppur per restituirsi provvisoriamente a sorvegliare i propri interessi nella sua terra natale.

Venuto finalmente il giorno della libertà, Francesco Guinti fu giudicato degno dì rappresentare il proprio paese nel Parlamento nazionale italiano e venne eletto deputato dal collegio di Verbicaro.



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