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Gabrio Casati.
senatore.
Figlio a Gaspare ed a Luigia De Capitani di Settala, discendente da famiglia appartenente all’antico patriziato milanese, nacque il conte Gabrio Casati il 2 agosto del 1798 in Milano. Fatti gli studî preparatorî nei collegi di Mercate e di Monza e nel liceo di Sant’Alessandro, ov’ebbe premi in matematica, in fisica e storia naturale, passò all’università di Pavia ove tolse la laurea in ambe le leggi il dì 7 agosto del 1820, e nelle scienze fisiche e matematiche il 12 agosto dell’anno consecutivo.
Non prese parte diretta nei movimenti del 1821, ma non fuvvi neanche del tutto estraneo.
Fratello a Teresa Confalonieri pose ogni sua cura a sollevarne l’animo dai crudi affanni che l’opprimevano. Le si fece anzi compagno nel viaggio a Vienna che la sventurata consorte del conte Federico compiè onde impetrare dall’imperatore Francesco la grazia del marito, e nulla essendosi positivamente ottenuto, il Casati, ricondotta in patria la sorella, riprese lo stesso dì, munito di suppliche delle notabilità di Milano, la via alla volta della capitale austriaca, sinchè consegui pel generoso condannato che la pena di morte gli fosse mutata in quella del carcer duro nel forte dello Spielberg.
Non volendo percorrere la carriera degl’impieghi sotto un aborrito Governo il conte Gabrio continuò ad occuparsi di studî, in ispecial modo matematici; tolse in moglie il 13 gennajo del 1827 la nobile Luigia Bassi, e nel corso di quello stess’anno, essendo stati sottratti all’immediata sorveglianza del direttore generale i ginnasî di Milano, accettò la nomina di vicedirettore del liceo di Sant’Alessandro nella qual carica durò sino a tutto il 1853.
Dimessosi volontariamente in quell’anno, ricusò pure di accettare l’impiego di direttore generale dei ginnasî per la Lombardia, impiego cui era stato chiamato, mediante un decreto che portava già la firma dell’imperatore.
Si fu nel 1837 che, proposto dal consiglio comunale di Milano a podestà della capitale lombarda, e nominato a quell’insigne carica dal sovrano austriaco, il Casati, cui stava sommamente a cuore il bene del proprio paese, non credette dover declinare quel sommo ufficio.
Un sublime ed utilissimo scopo prefiggevasi il nostro protagonista: quello di rialzare il più che per lui si potesse la rappresentanza municipale, unico avanzo, in quei tempi, di nazionali magistrature, affinchè il popolo, in caso di vicende politiche sapesse a qual punto rivolger gli sguardi, e intorno a chi raccogliersi ed ordinarsi.
Dal 13 novembre di quell’istess’anno, giorno in cui il Casati entrò in funzioni, può veramente dirsi incominci la di lui vita politica.
Ognun comprende che non ci è dato rifare in queste pagine l’istoria di quei tempi; ci limiteremo a dire che il conte Gabrio, conscio della rilevanza dell’assuntosi incarico, mise ogni suo studio a trarne tutto quel maggior partito che gli fosse dato cavarne a vantaggio, non solo della città, ma della gran causa nazionale. Non cedendo mai ad esigenze governative contrarie agl’interessi de’ suoi amministrati, prese a far sordamente ai dominatori stranieri un’opposizione ferma e costante, ch’ei sapeva contenere nei limiti della legalità onde potesse venir continuata.
Nè questo era tutto; chè, guardando più lungi, il Casati volle adoperarsi a fare iscomparire tutte le rivalità di municipio, sì funeste all’Italia, e colta la circostanza dell’incoronazione di Ferdinando, avvenuta in Milano nel 1838, fraternizzò con tutte le deputazioni comunali del regno, e sopra ogni altra con quella di Venezia, la quale infino a quel punto si era mostrata assai schiva di entrare in rapporti d’intimità colla civica rappresentanza della metropoli di Lombardia.
L’intelligenza che ne derivò fra il podestà di Milano e quello della regina dell’Adria fu così buona, che quest’ultimo, sebbene di opinioni politiche non affatto consone a quelle che professava il Casati, pure accondiscese a firmare un reclamo intorno all’amministrazione pubblica del regno, ed in ispecial modo alla comunale, che fu presentato al conte di Kolhowratz, reclamo cui tenne dietro nel marzo del 1844 altro assai più insistente, e redatto in termini molto più vivi, spedito a Vienna dal nostro protagonista, che, non pago di tanto, recatosi egli stesso nella capitale dell’impero, onde presentare ai principi ed ai ministri l’opera: Milano e il suo territorio, pubblicata per cura del municipio, in occasione del congresso degli scienziati, si fece a propugnare con tutto ardore la causa del proprio paese.
Inutile il dire che di tanti passi e premure il conte Gabrio non raccolse altro frutto, fuorchè quello di sterili promesse rimaste prive di effetto.
Al funerale di Confalonieri avvenuto nel 1846, che dette principio a quelle dimostrazioni politiche dalle quali doveva svilupparsi la rivoluzione milanese, il Casati assisteva tra i primi, e quando nell’anno successivo trattossi della nomina dell’arcivescovo, il conte Gabrio s’adoperò a tutt’uomo, onde non venisse eletto un austriaco, il che prevedeva come dovesse essere d’intoppo ad un movimento in senso nazionale. Eletto il Romilli, alla cui nomina il Casati non ebbe parte, cercando solo che la scelta cadesse sovra un italiano, il podestà di Milano curò si festeggiasse l’installazione del prelato con feste e cerimonie che valessero a evocar rimembranze di antiche patrie grandezze, sicchè le idee d’indipendenza e di nazionalità si destassero più rigogliose nelle menti del popolo lombardo. E che il nostro protagonista non fallisse il suo scopo, cel prova l’ardente contegno della popolazione in quella circostanza, contegno che nella sera dell’8 settembre 1847 eccitò a tal segno l’ira della polizia da indurla a far fuoco sulla moltitudine inerme.
Noi non diremo le rimostranze, le proteste, i reclami diretti al governo dal conte Gabrio in unione a tutto il corpo municipale; ci basti il ricordare che i sei mesi che decorsero da quel giorno in cui si versò per mano degli sbirri austriaci il sangue de’ milanesi, fino a quello in cui scoppiò la rivoluzione, il podestà ed i suoi assessori furono in continua ed aperta lotta contro i reggitori stranieri. Non dobbiamo tuttavia tralasciare di riferire che il 2 gennajo del 1848 il conte Casati s’intermise tra le guardie di polizia, che avevano spianate le bajonette, e la moltitudine onde impedire l’effusione del sangue, e che, arrestato da queste stesse guardie e maltrattato, venne tradotto al commissariato centrale di Santa Margherita. Nel seguente giorno, quando la truppa fece man bassa sul popolo egli accorse a protestare in unione all’assessore conte di Belgiojoso presso il generale Radetzky. Un proclama del podestà Casati, in quell’occasione produsse il miglior effetto sugli animi de’ Milanesi ed indignò altamente il militare austriaco.
Si fu per tali eminenti servigi resi dal conte Gabrio ai proprî concittadini che questi vollero farne eseguire il busto in marmo a testimonianza di loro riconoscenza, e siccome la modestia del nostro protagonista lo induceva a rifiutare tale attestato di gratitudine, gli vennero offerti, legati in un magnifico album, i fogli coperti dalle firme de’ soscrittori all’ideato monumento.
È pur cosa da notarsi che, mentre il Casati protestava contro le arbitrarie deportazioni che venivano tuttodì effettuate in Milano, si discuteva ne’ superiori consigli se convenisse decretare la sua; giudicata troppo pericolosa, si credette però doverne abbandonare il pensiero.
Spuntato il 18 marzo si deve pure a Casati se si decise che le truppe non occupassero i posti della città prima di mezzogiorno; mentre se il contrario fossesi acconsentito, il moto di quel dì per avventura non avrebbe potuto verificarsi.
Recatosi alla testa del popolo al palazzo di governo, nel ritornarne fu aggredito dalle truppe con una scarica di pelottone e ritrattosi in casa Taverna, ove si stabilì il centro della rivoluzione, gli fu offerta l’importante ed ardua carica di presidente del governo provvisorio, carica ch’egli non esitò punto ad accettare, a condizione che s’invocasse il possente soccorso del re Carlo Alberto, soccorso di cui accelerò l’arrivo mediante lettere di proprio pugno inviate al sovrano di Sardegna, al duca di Savoja, e al generale Ettore di Sonnaz.
Durante il lungo periodo di tempo in cui rimase al sommo del potere in Milano, il nostro protagonista continuò sempre a dar prove le più splendide dell’ardore di patria carità che tutto animavalo. Gli schiamazzi e le intemperanze d’un partito che tanto danno ha recato all’Italia non pervennero a fargli cader l’animo e ad indurlo ad abbandonare il timone dello Stato, in sì difficili e supremi momenti, e sarà dai posteri ritenuto come uno degli atti i più coraggiosi dell’istoria contemporanea quello del Casati quando il 29 maggio, circondato dalla tumultuante orda mazziniana che aveva invaso il palazzo governativo, strappò di mano al congiurato la proclamazione del nuovo governo, che colui preparavasi a leggere, e laceratala ne gettò i brani giù dal balcone.
La moltitudine che ingombrava la piazza del Marino si scosse tutta a quell’atto generoso, che applaudì vivamente, e indi a poco accompagnò il capo del governo fino alla propria casa in mezzo ai più entusiastici evviva.
Tanto è vero che uno slancio di nobile e legittimo ardimento incute rispetto e ammirazione nelle masse popolari fossero queste anche agitate dal più funesto delirio.
Il dì 10 giugno il conte Casati ebbe l’onore di presentare in Garda a re Carlo Alberto i quasi unanimi voti dei Lombardi per l’unione col Piemonte, quindi nel mese successivo recatosi, in Torino per affari di finanza, ebbe ordine dal re di trattenervisi onde formare un nuovo ministero in unione a Giacinto Collegno. Superate immense difficoltà ed opposizioni provenienti anche da persone illustri e che si segnalarono dipoi pel loro italianismo, prestò giuramento come presidente del Consiglio de’ ministri il 27 luglio, dopo conosciuti i disastri di Custoza, e rimase in carica fino al 29 agosto, giorno in cui offrì le proprie dimissioni.
Occupata che fu la Lombardia dagli austriaci, il Casati si adoperò a raccorre nella capitale del Piemonte la consulta lombarda, dalla quale fu eletto presidente.
Sciolta questa dopo la battaglia di Novara, il conte Gabrio si recò per alcun tempo in Francia, quindi tornato in Piemonte, pose stabile dimora in Torino, riducendosi a vita privata.
Non crediamo dover trascurare, giunti che siamo a questo periodo della vita del nostro conte, di trascrivere nel suo originale francese una lettera di cui l’onorò in quel torno l’infelice e magnanimo martire di Oporto, rispondendo ad una missiva direttagli di Lione dal Casati, missiva in cui questi esprimeva il proprio dispiacere di aver saputo troppo tardi il passaggio del re sul territorio francese, non essendogli per questo motivo stato concesso di recarsi ad ossequiarlo e a ringraziarlo di quanto avea fatto per la salvezza ed indipendenza d’Italia.
Ecco la lettera di Carlo Alberto:
- «Oporto, le 17 mai 1849.
«Les sentiments que vous m’exprimez dans vôtre lettre, l’affection que vous m’y montrez, mon très-cher comte, m’ont profondément touché, et furent une grande consolation pour mon cœur, vous estimant et vous honorant comme un des hommes les plus remarquables de notre infortunée patrie; comme un de ceux a qui elle doit le plus et qui a le plus fait pour son indépendance.
«Après un combat malheureux dans lequel je ne pus trouver la mort, je voulais encore conduire l’armée a des nouveaux combats; les généraux ne le crurent plus possible; alors j’abdiquai, ne voulant point renoncer à la sainte cause de notre indépendance, ni souscrire à des conditions qui n’étaient point honorables.
«J’emporte dans mon éloignement la douce conviction d’avoir fait tout ce qui était humainement possible pour notre patrie.
«Votre souvenir me sera toujours précieux, et je jouirai en me retraçant votre beau et noble caractère.
«Je vous embrasse, mon bien cher comte, vous priant de me croire à jamais votre ami
Ch. Albert.»
Non è ella questa una lettera di cui si può dire, senza tema d’esser tacciati di soverchio entusiasmo — taccia che già da un giornale ci venne apposta — che la fa tanto onore a colui che la scrisse quanto a quegli stesso cui è stata diretta?
Nel 1853 il conte Casati fu nominato senatore del regno.
Scoppiata nel 1859 la novella guerra dell’indipendenza, il nostro protagonista, non volendo restare a verun patto inoperoso, recossi ad assistere i feriti, nell’ospedale militare d’Alessandria, dapprima, quindi alle ambulanze di Desenzano, e in ambi i luoghi ebbe il non tenue conforto di vedere da quei miseri altamente gradita l’opera sua.
Il Casati trovavasi ancora a Desenzano, quando fu invitato ad assumere il portafogli dell’istruzione pubblica, incarico ch’egli era troppo buon patriota per declinare, quantunque non di buon animo vi acconsentisse, attristato qual si sentiva per la fatal pace di Villafranca.
Sebben d’accordo coi suoi colleghi in tutto ciò che avea riguardo a politica estera, alcuni dissensi sorvenuti tra essi e lui rapporto all’interno regime, indussero il Casati ad offrire la propria dimissione il 12 gennajo del presente anno.
Il conte Gabrio è gran cordone dell’ordine Mauriziano, commendatore di quello di San Gregorio, cavaliere della Legion d’onore.
Il nostro protagonista ebbe varî figli; quando emigrò gliene rimanevano quattro: tre maschi ed una femmina. Questa egli ha maritata al conte Gajoli Boidi; dei figli, il primogenito Girolamo, dopo aver compiuto il corso di giurisprudenza, preferì seguitare nel 1848 la carriera militare, fu dal re Carlo Alberto nominato tenente di stato maggiore, meritò nel 1849 la medaglia al valor militare, subì dipoi in modo distintissimo gli esami necessarî ad esser promosso capitano in quel distinto corpo, e con tal grado perì sventuratamente, ma eroicamente, in Crimea.
Il terzogenito Antonio, laureato in ambe leggi, entrò nella carriera diplomatica; per lui si ruppero, come ognun ricorda, momentaneamente, le relazioni tra il nostro governo e quello dell’ex-granduca Leopoldo II di Toscana. Era giovine di molto ingegno e di severi studî, autore di varie ragguardevoli pubblicazioni, tra le quali è da notarsi quella di Milano e i principi di Savoja. Segretario di legazione a Madrid, vi morì di morbo, tolto al padre e alla patria nel rigoglio degli anni.
Il secondogenito Luigi Agostino, uscito dalla reale Accademia ufficiale d’artiglieria, fece le campagne del 1848 e 49, fu insignito della medaglia al valore militare e della croce di San Maurizio e pervenne fino al grado di capitano in detta arma. Le dolorose perdite dei due fratelli lo costrinsero ad abbandonare il servizio; tuttavia si prestò posteriormente qual volontario ad occuparsi presso il comando d’artiglieria ogni qual volta l’opera sua potè tornare utile.