< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Benedetto Majorana Giuseppe Pastore

deputato.


Noi abbiamo avuto più di una volta in queste pagine, occasione di fare un’esatta definizione dei partiti politici che si agitino in Italia, e di spiegare qual sia la ragione ed anche l’utilità del loro essere. Noi possiamo dare la preferenza il questo partito piuttosto che a quello, inquantochè secondo i lumi del nostro intelletto, i dettami della nostra coscienza, potremo ritenere che l’azione di questo piuttostochè l’azione di quello possa tornar utile al progredimento della cosa pubblica. Ma non perciò non siamo disposti a rendere piena giustizia agli intendimenti di alcuni tra i membri del partito avverso al nostro, nè negheremo l’efficacia dei mezzi che questo partito possa avere in alcune occasioni adoperate nell’intento medesimo che noi ci proponiamo.

La gran questione sta in ciò, che il più degli affigliati di un partito politico e coloro anzi tra essi che sogliono pagare della persona o degli averi, essendo di buona fede e mirando ad uno scopo santissimo, sono guidati da gente che si serve di essi come d’instrumenti della loro ambizione, e per un oggetto che spesso lista del tutto al tutto da quello che nella loro buona fede gl’illusi hanno speranza e han fatto voto di conseguire.

Varie sono le opinioni dei contemporanei intorno a un principalissimo caporione di partito che agita la lunghi anni più o meno con funesti risultamenti la penisola, mai con prosperi; intendiamo parlare di Giuseppe Mazzini.

Non è qui certamente il luogo di parlare di questo uomo a buon dritto celebre; tuttavia egli ha esercitata coll’oscurità una tale influenza sulle cose e gli uomini d’Italia, e più particolarmente sul personaggio di cui dobbiamo ora discorrere, che non possiamo a meno di spendere alcune parole intorno al troppo famoso agitatore.

Vi sono alcuni, i quali hanno un tempo conosciuto molto davvicino il Mazzini e che gli sono stati anche fino ad una cert’ora devoti, i quali, ravveduti in oggi e discostatisi da lui, sembrano essere nel caso di dare un giudizio probabilmente sicuro intorno al carattere e ai moventi di quel capo setta.

Si esclude udendo costoro, completamente l’idea che il Mazzini sia un individuo di mala fede, ma si ammette incontestabilmente quella che egli possa essere allucinato da un’ambiziono smodata, la quale è dominante sovresso il segno tale da renderlo affatto ligio ai suoi più folli desiri, al punto che non vha mezzo o tentativo che gli sembri di ripudiarsi, purchè valga in qualche maniera a soddisfarne le brane insaziabili.

Ed a quest’ora si sostiene che la cosa possa essere spinta tant’oltre, da doversi addirittura qualificare di mania o di fanatismo che traseende fino ai limiti della frenesia.

Certo quest’opinione ci sembra molto ragionevole, e i fatti per corroborarla non si presentano che troppo frequenti e terribili. Evidentemente il Mazzini, checchè ne dica egli stesso, e checchè vadano predicando i suoi più fedeli adepti, ha tentato fare dell’Italia un piedistallo a sè piuttostochè non abbia mai seriamente pensato al vantaggio di essa. E questa sua smodata, e diciamo pure insensata ambizione, non ha abbadata per disgrazia al costo di sacrifizi che poteva imporre alla patria stessa od altrui l’appagarla.

Non bisogna farsi illusione; tutti o quasi tutti i conati che per iniziativa del Mazzini si sono prodotti in Italia o fuori col sedicente scopo di tener desto lo spirito nazionale e di turbare il sonno ai sovranucoli d’Italia, non potevano non avere agli occhi delle persone dotate di qualche senno, che lo scopo più presto e più imlubitatamente raggiunto, di far gontiare le gote della Fama per soffiare a tutto fiato nelle sue due trombe il nome del grande agitatore. Che se vi fosse chi sostenesse assurda questa appreziazione, noi volontieri ce ne assumiamo la responsabilità, che del resto, dividiamo con persone di molto senno, le quali molto meglio di noi anche, sono a portata di giudicare gli atti di Giuseppe Mazzini.

Ma si dirà: non è egli possibile che questi ammettesse la probabilità di riuscita di quei tentativi, dappoichè non può credersi ch’egli volesse indursi d’animo pacato, a provocare il sacrificio degli eroici ed improvvidi uomini che slanciava tanto tranquillamente in avventure in cui non potevano che perdere la libertà, più spesso ancora la vita.

Noi non diciamo che il Mazzini facesse ciò d’animo pacato, che il fanatico ed il frenetico, pacato animo non posseggono; ma che il Mazzini potesse malgrado tutta la sua esaltazione personale, ammettere un’istante che quei tentativi stessi potessero condurre ad un esito diverso dal sacrificio più o meno completo degli attori di essi o al maggiore conseguimento delle di lui qual fossesi celebrità non è in alcuna guisa da ritenersi per verosimile.

Tuttocið è ad ogni modo incontestabilmente consentito da coloro i quali, come abbiamo detto sopra, sono in grado di meglio sapere il vero stato delle cose, perciò che concerne il Nazzini e le di lui spedizioni, alle quali egli si è sempre, come ognun sa, guardato dal prender parte personalmente; noi non possiamo che deplorare la situazione d’animo di quel personaggio e la di lui evidente cecità, la quale gli permette di perdurare in commettere azioni, le quali dovrebbero pesare molto gravemente sulla sua coscienza; ma ci duole molto di più ch’egli come ha trovate teste calde giovanili le quali si sono lasciate persuadere ad esporre libertà e vita per agire nel suo senso, così continui anche adesso in cui egli non dovrebbe a dir vero, ispirare la benchè menoma fiducia negl’Italiani a trovare individui che consentano di buon grado ad immolarsi a guisa degli indiani fakiri sotto il pesante carro della sua insaziabile personalità.

Giovanni Nicotera fu uno di quelle vittime mazziniane, la quale per fortuna scampò alla sorte riservatale, e può oggi dedicarsi più utilmente al servizio del proprio paese.

Chi non ricorda Carlo Pisacane, e l’ardore di patriottismo veramente eroico di quel nobile napoletano, il quale aveva combattuto con tanto valore le campagne di Lombardia e di Roma? Egli era pertanto uomo maturo di senno, sebbene d’altronde troppo facile a secondare gli slanci di un immaginazione degna figlia della terra vesuviana. Come accadde, che quel valoroso soldato si lasciasse indurre a creder possibile la riuscita di un’ tentativo così poco ragionevole, come quello della discesa a Sarno? Noi ce lo siamo domandato più volte, e non abbiamo per verità trovata una risposta che ci appagasse. Potevaegli, Carlo Pisacane, ignorare qual fosse lo spirito delle popola zioni napoletane? Sorgevano, è vero, molte e brillanti individualità, ma che nella massa erano troppo abbrutite dal servilismo a cui si erano da lunghi anni avezze per mostrarsi disposte ad accettare efficacemente il soccorso che loro veniva offerto da quei prodi giovani onde spezzare il giogo del dominatore borbonico.

Noi crediamo piuttosto che in quella triste epoca, nella quale i destini d’Italia sembravano ricaduti si basso che non fosse più possibile, almeno per lungo correr d’anni, di sperare si rialzzassero, Carlo Pisacane provasse uno di quegli scoraggiamenti profondi, i quali confinano colla disperazione, e che stimasse miglior partito, l’andar di buon grado, incontro ad una morte quasi sicura, ma ch’egli avrebbe affrontata a pro dell’Italia, piuttostochè continuare a vivere di quella vita scolorata e inerte, che per chi ha vissuti i giorni gloriosi delle battaglie combattute a vantaggio della patria, poteva a giusto titolo parere in sopportabile.

Cosi soltanto, crediam noi, potrebbe spiegarsi che quell’eroico soldato s’inducesse a mettersi alla testa d’una spedizione poteva ignorare come ch’ei non andasse secondo ogni probabilità, incontro ad una immancabile catastrofe.

Giovanni Nicotera, conosceva molto il Pisacane, e riponeva in lui una di quelle fiducie, le quali non dubitano e non discutono. Si chiese egli soltanto, se quell’audacissima spedizione fosse per avere un risultato diverso dal massacro o dalla prigionia di tutti coloro che vi avrebbero preso parte?E quanto noi non osiamo certamente affermare. Per lui, quello che massimamente importava, era di mettersi in un impresa che aveva il nobile scopo di fare un tentativo onde liberare dal giogo borbonico le patrie provincie fosse pur anco a prezzo di tutte il proprio sangue.

Noi non avremo a dire come procedesse la spedizione, e come quei valorosi, quanto improvvidi giovani, non appena toccato il suolo napoletano venissero assaliti da un numero strabocchevole di borbonici, tanto che varii di essi, tra i quali, primo l’infelice Pisacane, vennero a cadere estinti, ed altri gravemente feriti, nel cui numero appunto si trovò il Nicotera.

La sorte di questi ultimi non era in verun modo da preferirsi a quella dei primi, mentre la prospettiva del destino che loro era riservato in caso che riuscissero a sfuggire alla morte, era di questa mille volte peggiore.

Ognun sa di fatto, come gli sventurati superstiti delle catastrofe di Sarno fossero chiusi in perpetua prigione, d’onde li liberò tuttavia, quel miracolo che si accompiè per opera dell’imperatore dei Francesi e onde l’Italia ebbe a ripetere la sua risurrezione.

Il Nicotera dopo essere liberato dalla lunga prigionia sofferta, seguì le sorti del Garibaldi dal quale si ebbe grado di colonnello.

Egli voleva nel 1860 intraprendere prima nel momento opportuno una spedizione nell’Umbria penetrandovi dalla frontiera Toscana, la quale dovette essere impedita dal barone Bettino Ricasoli. Questo rifiuto dispiaque assaissimo al Nicotera, tanto chè egli, prima di disciogliere la propria colonna, si lasciò indurre in un impeto di mal’umore, a profferire delle parole che certo dovettero increscere più tardi a lui stesso, e che d’altronde egli disconfessò coll’accettare la nomina sua a deputato fatta dal coleggio elettorale di Salerno, e col prestare giuramento al Re e alla costituzione del regno.

Resta a dire qual parte il Nicotera abbia rappresentato in seno al Parlamento nazionale dal momento in cui egli vi ha seduto per la prima volta fino a quello nel quale, dopo aver dato le sue dimissioni, ed essersi apertamente dichiarato impossibilitato a sedere ancora nella Camera attuale, s’indusse a ripresentarvisi essendo stato rieletto dal collegio di Salerno per sostenere in seno a quella l’opportunità dell’adozione della Convenzione stretta dal Governo del Re con la Francia il dì 15 settembre.

Il Nicotera, senza essere a rigor di termine un ora tore, è tuttavia un parlatore pronto ed esprimente con sicurezza quanto gli talenta di dire. Il suo tono di voce è omogeneo, e il suo porgere non è virulento ed aspro come quello di taluni de’suoi confratelli della sinistra; ciò non gl’impedisce tuttavia di far dell’opposizione spinta e di proporre blandamente le misure le più radicali e sovversive.

Non appena saputasi a Napoli la notizia della Convenzione e i casi di Torino, che si organizzò in quella grandiosa metropoli un meeting de più solenni, e del quale s’intese con qualche meraviglia essere stati promotori i membri dei partiti i più opposti che, dimesse anzi del tutto in quell’occasione le ire e le avversioni di parte, si fusero nell’intendimento di appoggiare l’adozione di un patto mediante il quale si affrettava lo sgombro delle truppe Francesi da Roma.

Lo spirito di conciliazione mostrato dal barone Nicotera in questa circostanza gli fa il più grande onore, e palesa com’egli nelle occasioni solenni in cui le sorti della patria sono in giuoco, sappia e voglia intender ragione e non ispinga lo spirito di cóterie fino al punto da indursi a respingere un provvedimento saggio ed utile, dal quale possono emanare le più favorevoli conseguenze pel paese in un avvenire che non saprebbe esser lontano, perchè quei provvedimenti sono proposti dai propri avversari politici.

Il bene della patria, avanti le meschine soddisfazioni personali, ecco il principio in virtù del quale il Nicotera ha fatto atto di abnegazione, che se per avventura gli varrà il raffreddamento di taluno dei suoi colleghi dal lato in cui siede nel Parlamento nazionale, gli ha già guadagnato e gli guadagnerà in progresso di tempo la stima e l’affetto di quelli che oggi quasi non possono più dirsi suoi avversari politici, e la gratitudine dell’intero paese che sà e saprà apprezzare un atto che può qualificarsi a buon dritto di disinteressamento e di devozione.


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