< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Giorgio Molfino Aurelio Saffi
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia




Nei grandi movimenti nazionali, gli uomini dotati di un’attività febbrile come quella della quale è posseduto il Ricciardi, quando sono animati da buone intenzioni, e che al pari di lui hanno lealtà di sentimenti e acutezza di spirito, possono tornare di una vera utilità, quantunque talora e a taluni sembrino esser d’impaccio.

Il Ricciardi è nato in Napoli dal conte Francesco di Camaldoli e da Luisa Granito dei marchesi di Castellabate.

L’infanzia del nostro protagonista fu tormentata fisicamente e moralmente. I pedagoghi l’importunavano, ed egli non voleva saperne di studiare sotto la lor direzione; per giunta soffrì per ben cinque anni di dolorosissima malattia, detta cosalgia (lussazione del femore che finì col renderlo zoppo per tutta la sua vita).

Liberato dai pedagoghi e dal male, si pose a studiare da per sè e ne trasse profitto.

Nel 1827 il Ricciardi in compagnia de’ suoi genitori, fece il suo primo viaggio, visitando tutte le primarie città d’Italia, e avvicinando dappertutto le persone le più notevoli in fatto d’arti e di scienze. Rientrato nella città nativa incominciò a soddisfare il bisogno della produzione, digià ben possente in lui, col fondare il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, rivista bimensile, destinata a surrogare l’Antologia di Firenze. Questa rivista rimase, e benchè passata in altre mani, visse fino al 1848.

Nel 1832 nuovo viaggio del nostro protagonista, che si prolunga oltre un anno e che si estende alla Svizzera, alla Francia, al Belgio, alla Germania e all’Inghilterra, e durante il quale egli avvicina tutti i più illustri personaggi d’Europa, e tra gli altri a Londra il principe Luigi Napoleone, attuale imperatore dei Francesi. A Parigi dette alla luce il suo primo componimento poetico, non privo d’ispirazione e di vigore, la Canzone alla Libertà.

Tornato in patria, il Ricciardi incominciò ad entrare nella sua vera e consentanea carriera, quella delle cospirazioni. Arrestato nel 1834, non fu reso libero che dopo otto mesi di prigionia; le prove mancarono. Durante tutto il tempo che rimase in carcere, non si ristette un istante dallo studiare e dallo scrivere; uscitone deliberossi ad esulare, disgustato qual era per le persecuzioni mossegli contro dal governo, e più perchè si era trovato modo di spogliarlo della direzione della rivista il Progresso.

Prima di partire però egli fu vittima di un inaudito abuso di potere, che mostrerà a qual segno arrivasse il dispotismo e l’arbitrario sotto il paterno regime dei borbonici in Napoli. Avendo il nostro protagonista scritto una lettera assai risentita sulle vessazioni da esso sofferte al generale marchese Del Carretto ministro di polizia, questi il fece tradurre nel manicomio, ore il tenne per ben venticinque giorni racchiuso.

Recatosi in Francia, il Ricciardi vi restò poco dapprima, giacchè si portò in Ispagna, ove malgrado il suo difetto fisico voleva entrare in qualità di volontario nella legione straniera, militante contro D. Carlos. Ma rifiutato, si restituì a Parigi, ove prese stabile dimora, ed ove si diè a scrivere su vari periodici, ed ove nello spazio di circa venti anni diede alla luce gran parte delle numerose sue opere, ed ove nel 1840 ei tolse moglie.

Al ridestarsi degli spiriti nazionali in Italia, il Ricciardi, nell’autunno del 1847, percorse clandestinamente tutta la penisola, onde meglio giudicare il movimento che preparavasi ed attivarne sempre più lo sviluppo.

È da notarsi però che il Ricciardi non pose mai fede nel pontefice, cui ognuno in allora acclamava il rigeneratore d’Italia, e ciò a segno tale che non si trattenne dallo scrivere sfavorevolmente di lui in Francia ed in patria.

Gli avvenimenti del 1848 avendogli riaperte le porte della città natale, ei lasciò Parigi nel marzo, dopo aver promossa la fondazione di quell’associazione nazionale italiana di cui fu presidente Giuseppe Mazzini. Diremo anzi, giacchè il nome del celebre agitatore ci è caduto sotto la penna, che le relazioni del Ricciardi con esso lui datano fino dal 1855, epoca in cui surse la Giovine Italia; e ch’egli non si distaccò dall’ex-triumviro che nel 1850, e non già, com’egli stesso dichiara, per discrepanza di principi, ma per differenze di tattica e di persone.

Giunto appena in Napoli, il nostro protagonista si adoperò a fondarvi un giornale, L’Indipendenza italiana; se non che il manifesto stesso ed un foglio di saggio non potettero veder la luce a cagione della fatal giornata del 15 maggio, nella quale il Ricciardi fece ogni sforzo in seno dell’assemblea preparatoria costituita a Monte Oliveto, onde avversare e controbattere i perfidi disegni di re Ferdinando II. Eletto deputato in Capitanata il giorno 18 aprile, il Ricciardi fu rieletto addì 15 giugno, sebbene si trovasse alla testa della sollevazione nelle Calabrie.

Dopo essersi vanamente adoperato a tutt’uomo perchè questa trionfasse, quando ogni speranza e ogni possibilità di continuare la lotta fu interamente perduta, il nostro protagonista esulò di bel nuovo, e toccato Corfù, Ancona, Roma, la Toscana, ove subì corta prigionia, passò in Corsica, ove soggiornò due mesi e daddove si restituì a Parigi.

Colà riprendeva la vita di pubblicista e dettava la sua istoria della rivoluzione italiana del 1848, che vedeva la luce in Francia e in Italia. Non appena saputa la funesta notizia del disastro di Novara, il Ricciardi raccoglieva in sua casa i principali emigrati italiani e redigeva un indirizzo all’assemblea nazionale, che presentava insieme a Giuseppe De Filippi ed a Celeste Menotti.

Allontanatosi da Parigi a cagione del cholera-morbus, si recò a passar due anni in Isvizzera, ove scrisse il martirologio italiano dal 1792 al 1847, che fu poi pubblicato nel 1860 dal Le Monnier e che il giornale il Diritto dette alle stampe, ma a brani, pel primo. Recatosi poscia a Tours, ove dimorò circa otto anni, vi scrisse i Drammi storici (Lega Lombarda, Vespro Siciliano, la cacciata degli Austriaci da Genova, il Masaniello ecc.), l’Histoire d’Italie, e le Memorie autografe d’un ribelle.

Il Ricciardi si trovava a Nizza per curare la propria salute assai indebolita quando sopraggiunsero i grandi avvenimenti del 1859. Nel settembre di quel medesimo anno egli recossi a Genova, e nell’aprile dell’anno successivo stringea conoscenza col generale Garibaldi.

Il nostro protagonista contava far parte della omai celebre spedizione dei mille, e dopo aver firmato uno dei proclami, si era già messo a bordo del Lombardo, quando le forze fisiche il tradirono e colto da improvviso malore poco prima che l’eroica falange salpasse per la Sicilia, gli fu forza ridiscendere a terra.

Ma per un uomo dell’attività del Ricciardi un teatro anco più adatto gli si offriva in Napoli, ove le concesse franchigie costituzionali gli concedevan rientrare ed ove egli poteva ajutare la grand’opera di liberazione intrapresa dal sommo capitano, col preparargli colà il terreno; nè vi mancò. Giunto Garibaldi, il Ricciardi ch’era stato designato per far parte d’un governo provvisorio, ricusò d’accettare verun officio, e quello tra gli altri di governatore della Capitanata.

Presidente del circolo dell’Unione, il Ricciardi credette dover fare ogni sforzo presso il dittatore’onde indurlo a convocare un Parlamento napoletano, dal quale doveva esser decretata l’annessione piutlostochè dal plebiscito.

Eletto deputato a voti pressochè unanimi dal collegio di Foggio, l’antico cospiratore venne a sedere sui banchi dell’estrema sinistra nel Parlamento del Regno Italiano.

Il Ricciardi è uno spirito di sua natura irrequieto, e quindi fino a un certo segno incontentabile. Il far opposizione è, secondo noi, per esso un bisogno, una necessità di temperamento; non è quindi da farsegli soverchio carico se il vediamo sorgere così spesso ad interpellare il Ministero e se talvolta, eccitato, o mal disposto fors’anche fisicamente, trascende a proferire delle espressioni poco misurate.

Il porgere del Ricciardi non è privo di eloquenza; ma la sua voce fievole e nasale mal gli consente di lar valere i suoi discorsi. A quando a quando il suo cuore, a dispetto della sua testa, lo riconduce sul retto, sul generoso sentiero, e allora lo salutano gli applausi di tutta la Camera.

Il Ricciardi piccolo di statura, magro fino alla macilenza, con gran barba negra e negri capelli, di cui sembra però aver molta cura, ha le tinte brune e giallastre dei biliosi.

Le opere da lui pubblicate e di cui abbiamo ricordate le principali, formano un catalogo di ben quattro pagine di stampa, e un editore di Napoli ne promette una ristampa in dodici grossi volumi.



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