< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Francesco Salaris Niccola Schiavoni


Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Nicolò Ferracciu.



È nato da modesti proprietari in Calangiano, provincia di Sassari nel 1818.

D’ingegno svegliato e precoce, qual possiede in generale la popolazione della Sardegna, in brevissimo tempo percorse i propri studi, sicchè contava appena il diciottesimo anno, quando conseguì la laurea dottorale in legge. Tre anni dopo era aggregato al collegio della facoltà legale presso quell’università.

Prescelta la carriera del foro, in breve pervenne a farsi annoverare nell’eletto numero dei primi avvocati dell’isola, sì nel civile che nel criminale, nel tempo stesso in cui alcune pubblicazioni in materia di giurisprudenza da esso lui date alla luce valsero a far conoscere la profondità della sua dottrina.

Il governo del Re nominava il Ferracciu nel 1847 a professore di economia politica e di diritto commerciale nell’università di Sassari, dalla qual carica, disimpegnata dal nostro protagonista con pieno successo, nel 1855, dietro sua domanda, fu esonerato, non senza profondo rammarico de’ suoi discepoli dai quali egli era amatissimo.

La benevolenza e la rinomanza che, per la sua esemplare probità, si era acquistala in mezzo ai suoi compaesani, il fecero prescegliere non appena ebbe tocchi i 30 anni all’onore della deputazione, onoro che in tulle le legislature, dal 1849 in poi, gli venne confermato avendo per cinque volte rappresentato in Parlamento il collegio di Sassari, una volta quello di Tempio, ed altra quello di Osilo.

Il suo esordire nella palestra parlamentare non ismentì la di lui fama di buon patriota e di dotto ed eloquente oratore. I suoi discorsi in appoggio del progetto di legge per l’ammissione dei cittadini delle provincie unite, ritolteci poi dalla battaglia di Custoza, all’esercizio nello Stato delle loro professioni, e segnatamente la generosa protesta che nella memoranda seduta della notte del 27 marzo 1849 egli lanciò contro l’armistizio di Novara, dimostrano quali fossero gli energici sentimenti del nostro giovine deputato.

Nel 1852 deplorabili avvenimenti succedevano nella provincia di Sassari, che veniva sottoposta allo stato d’assedio. Il Ferracciu si senti ferito nel più profondo dell’animo da quella misura, ch’ei stimava di soverchio rigorosa, e si fu con isdegno ch’ebbe a interpellare replicate volte il ministero terminando uno dei più bollenti suoi discorsi colle seguenti parole, ch’estragghiamo dal processo verbale di quella seduta, e che produssero sugli uditori una profonda impressione.

«Il governo, conchiudeva il nostro protagonista, rispetti esso il primo le leggi fondamentali dello Stato; adempia di buona fede le promesse; vigili sui tribunali e sui magistrati; preservi questo santuario della giustizia dal soffio velenoso di coloro che attribuiscono i mali del paese alle libere istituzioni; pensi di provvedere sollecitamente ai mezzi di pubblica sicurezza; trovi modo di organizzare una buona polizia, la quale abbia tutt’altro incarico che quello di contare i sospiri che si mandano dagli amici della libertà; rimova con severa imparzialità, e senza eccezione d’impiego, tutti quelli impiegati che in molti punti dell’isola sono riconosciuti per manifesti reazionari, che si pascono d’illusioni, che danno corpo alle ombre, che sognano delle congiure, delle imminenti rivolte, per far nascere il tumulto laddove appunto regna la pace, per crearsi dei titoli d’entratura nella tortuosa via degli avanzamenti; faccia, insomma, quello che può, quello che dee per lo sviluppo intellettuale, materiale e morale del paese, per la sua esistenza civile, se desidera che questo paese abbia fede nel regime costituzionale, nè trasmodi agli eccessi, quando eccesso possa darsi nel reclamare i propri diritti.

«Per questo modo, ma per questo modo soltanto, il governo compirà degnamente la sua missione, nè avrà mestieri di adottare dei mezzi i quali, ferendo nel cuore la libertà e le leggi, possono, è vero, riuscire ad un bene momentaneo ed apparente, ma finiscono per preparare la corruzione, per ispianare la via alla tirannide. Credo pertanto di adempiere ad uno stretto mio debito, di soddisfare ad un pubblico sentimento, chiedendo conto al signor ministro dei motivi che l’hanno indotto a sospendere in Sardegna gli effetti dello statuto, senza una legge che ve lo autorizzasse.»

Nè queste eloquenti parole andaron perdute, chè il Parlamento e il Ministero ne rimasero scossi, e la Sardegna dev’esser grata al suo deputato Ferracciu se in breve correr di tempo le di lei condizioni furono considerevolmente ammegliate.

Nè ha meno cuore il Ferracciu, che ingegno. Verso la metà del 1855 scoppiava tremendo il colèra in Sassari, sì che a centinaia per giorno cadevan le vittime. Gli abitanti, costernali, fuggivano, se avevan mezzo di farlo; il Ferracciu non solo rimase al suo posto, ma con ogni maniera si adoperò a render meno esiziali i danni del terribile morbo. Il governo, poscia, quale attestato di patria benemerenza, fregiava il Ferracciu, insieme al Sotgiu, al Pompejano e ad altri pochi, della croce Mauriziana. Non credette il nostro protagonista di dover accettare tale onorifica distinzione, asserendo essergli bastevole premio la coscienza di aver operato il proprio dovere. Questo di lui rifiuto d’uopo ci è notare come non venisse da tutti gli amici stessi del Ferracciu approvato, avvegnachè lo si giudicasse dettato da uno spirito d’opposizione per avventura troppo superbo e sistematico.

Noi riserberemo il nostro giudizio, e finiremo col dire che l’avvocato Ferracciu è senza contrasto uno dei notevoli oratori che possiede il Parlamento italiano. Il di lui ragionare e logico e stringente, la parola facile e adorna; ma la sua non troppo ferma salute gl’impedisce di farsi udire sovente.



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