< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Carlo Bon Compagni di Mombello Antonio Testa
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Quintino Sella.

deputato.


È nato presso Biella in Piemonte da una famiglia di onesti e industriosi fabbricanti. La sua educazione è stata delle più accurate, e i suoi studi severi, come quelli i quali si sono rivolti alle scienze esatte, e più particolarmente alle matematiche. Perfezionatosi alla famosa scuola centrale di Parigi, e approfondite specialmente la metallurgia e le discipline geologiche, tornò in patria col grado di ingegnere, non tardando a distinguersi, tanto per mezzo di scritti molto profondi, che per lavori, i quali richiamarono sul giovine ingegnere l’attenzione dei suoi concittadini.

Eletto deputato al Parlamento nazionale dal collegio di Cossato, gli accadde per la prima volta di prendere là parola intorno ad una questione d’un ordine affatto secondario, quale si fu quella della soppressione dell’università di Sassari.

Noi assistevamo in quel giorno alla seduta della Camera e possiamo asserire che la sorpresa fu grande. Dapprincipio nessuno o quasi nessuno prestava attensione al giovine oratore; ma ben presto la sua facilità di parola, l’acume dei suoi frizzi sparsi di sale attico di buona qualità, lo stringere degli argomenti coi quali circondava come d’inestricabile e d’infrangibile rete i suoi avversari, non solo valsero a far tacere tutti i romori, a ripopolare tutti i banchi, ad attirare tutti gli sguardi e far tendere tutte le orecchie, ma ben presto provocarono le risa di approvazione e gli applausi.

Da quel momento il Sella emerse dalla massa assai piana dei suoi colleghi, da quel momento si pronosticò ch’egli salirebbe in alto.

E l’occasione non si fece aspettare. Quando il Rattazzi fu incaricato, dopo la caduta del gabinetto Ricasoli, di formare un nuovo ministero, si rivolse al Sella onde indurlo ad accettare il ministero delle finanze. Il Sella esitò, a vero dire, assaissimo e rifiutò a più riprese; finalmente si arrese e aderì. Bisogna dire che alla prima notizia che si sparse dell’accettazione del portafogli delle finanze per parte del Sella, la meraviglia fu immensa.

Si sarebbe, esempligrazia, compreso benissimo che Quintino Sella fosse stato messo alla testa del ministero d’agricoltura e commercio, o se si voglia, anche del ministero dei lavori pubblici; ma nessuno, o quasi nessuno, sapeva darsi pace che altri avesse avuto l’idea di confidargli il gravissimo carico delle finanze, e ch’egli si fosse indotto ad assumerlo.

Non istaremo poi a dire che molti lo rimproveravano acerbamente di essere entrato in una combinazione ministeriale ch’era in opposizione quasi assoluta, al punto di vista della screziatura parlamentare, col partito in mezzo alle file del quale egli si era sempre tenuto.

Non pochi de’ suoi vecchi amici gli fecero il broncio e forse non si sono più mai riconciliati con esso; tanto che egli ha dovuto poi staccarsi quasi affatto da loro e gettarsi presso che del tutto tra le braccia dei Rattazziani e consorti.

Ad ogni modo bisogna convenire che, in quanto a concetto che altri abbia potuto formarsi della di lui abilità, il Sella non ha perduto e forse ha acquistato alcun che per l’operato suo nel breve spazio di tempo in cui è rimasto ministro delle finanze. Uomo di molta penetrazione, di svegliata intelligenza, ha saputo barcamenarsi in modo da non fare addrittura dei passi falsi. Vero è che il sentiero gli era tutto tracciato dinanzi dal suo predecessore, il Bastogi, e ch’egli non aveva proprio altro a fare che lasciarsi andare per quello, guidalo e sorretto ad esuberanza da ogni sorta di consiglieri pratici ed avveduti, alcuni de’ quali trovò al posto, altri scelse e collocò molto accortamente al proprio fianco.

Caduto, in quel tal modo che ognun sa, il ministero Rattazzi, il Sella viaggiò in Inghilterra ove recossi a studiare davvicino l’organismo di quell’imposta detta l’income-tax, che, dietro un disegno del Bastogi, effettuato in gran parte coll’introdurvisi alcune modificazioni dal Sella, e presentato da questi alla Camera, veniva imitata colla legge che doveva gravare tra noi i redditi della ricchezza mobile.

Rientrato in Italia, il Sella si rimise a tutt’uomo alle finanze e prese parte grandissima a tutte le discussioni le quali ebbero luogo intorno ai progetti di legge sul dazio consumo, sulla tassa della ricchezza mobiliare, e sulla perequazione fondiaria. Durante le quali discussioni egli non potè certo mettersi in contraddizione col Minghetti, suo successore alle finanze, d’accordo col quale, o dietro i consigli del quale, egli stesso aveva nel tempo ch’era al potere elaboralo quei progetti; ma messa a profitto la circostanza dell’interpellanza mossa dal deputato Saracco al presidente del Consiglio e ministro delle finanze sulla situazione del Tesoro e sulle condizioni finanziarie dello Stato, si collocò, non senza meraviglia di molti, dal lato dell’opposizione e si attirò qualche replica assai stringente, e non a torto, crediam noi, per parte del Minghetti.

I famosi casi di Torino lo hanno ricondotto al potere e gli hanno ridato in mano il portafogli delle finanze. Noi non crediamo che questo ministero, venuto su in modo quasi extra-legale, abbia probabilità di lunga vita; quindi non crediamo che il Sella debba avere, nel periodo in cui resterà di nuovo al potere, grandi imprese da compiere; ma non possiamo menargli troppo buono che si sia scelto a segretario generale il Saracco, l’avversario dichiarato del predecessore, cui è giocoforza al Sella di limitarsi ad emboiler le pas, l’uomo che si è guadagnata una meritata impopolarità col proporre un mal mascherato progetto di disarmamento, onde fare economie e ristabilire l’equilibrio nel nostro bilancio!

Tuttavia crediamo debba sapersi buon grado al Sella per le parole da esso proferite nella sessione straordinaria del consiglio municipale di Torino, seduta del 21 settembre, e queste parole anzi riproduciamo qui sotto a sua lode, estraendole dal processo verbale di quella seduta:

«Il consigliere Quintino Sella conviene con Ara nell’idea che il governo abbia commesso una serie di sconvenienze veramente inaudite (gli si perdoni questa frase assai esagerata, per non dir più, ch’egli ha creduto dover proferire come si gettava l’offa nelle fauci beanti del Cerbero) nel modo e nelle vie tenute nel far conoscere al pubblico l’esistenza e le condizioni del trattato.

«Quanto alle voci di cui ha fatto cenno il consigliere Chiaves, egli se ne spiega l’origine, dacchè, mentre tutti lamentano il malcontento che nascerebbe in queste popolazioni pel trasporlo della capitale in altra città fuora di Roma, alcuni paventano che questo malcontento giunga a segno da render possibile la separazione di parte del Piemonte dal rimanente di Italia. Ma se egli capisce voci di questa fatta in piazza e nei primi momenti di bollore, non potrebbe udirle in un consesso, come il Consiglio comunale, senza dichiararle un pericolo e una assurdità.

«Pericolo è, a di lui senso, dare occasione a dire che secondo il Consiglio comunale l’adozione del trattato equivale alla cessione di parte del Piemonte. Assurdo poi, secondo lui, il pensare che l’assetto d’Europa non debba progredire secondo le nazionalità ed i confini naturali, o l’immaginare che i negoziatori di questo trattato non abbiano capito che i Francesi a Torino vorrebbero dire gli Austriaci a Bologna.



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