< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Eugenio Emanuele di Savoia Giuseppe Airenti

Tomaso Agudio.



AGUDIO TOMMASO, ingegnere

deputato.


L’epoca nostra, malgrado le crisi e gli sconvolgimenti politici ond’è agitata, crisi e sconvolgimenti, sia detto così di volo, che non dissentono, quanto sembra a taluni, dalla civiltà del tempo, come quelli che tendono a dare assetto durevole all’ordinamento de’ popoli; l’epoca nostra mena vanto a buon diritto dello sviluppo e del perfezionamento che in essa hanno raggiunto tutti i mezzi meccanici, i quali servono e giovano all’umana esistenza.

Questo progresso materiale è, del resto, in siffatta guisa vincolato e fuso insieme al morale, che laddove l’uno esiste l’altro non manca, e che il filosofo e l’economista non sanno dirci con certezza se il primo risulti dal secondo, o questo da quello. Ciò che si può ammettere per sicuro si è, che tra gl’individui i più utili e benemeriti d’una nazione tengono un posto eminente coloro che hanno con frutto dedicata la propria vita a quelli studî aspri e severi, a quelle indagini profonde, a quelle esperienze difficili e sovente dispendiosissime, d’onde alla perfine emerge taluna di quelle sovrane scoperte, che imprimono sì gagliardi impulsi al carro dell’incivilimento mondiale.

La patria dei Galilei, degli Scarpa, degli Spallanzani e dei Volta, maestra jeri ancora all’Europa, oggi, sotto questo rapporto, come pur troppo sotto alcun altro, discepola, non saprebbe, a nostro avviso, incoraggiare, plaudire e premiare abbastanza quei suoi figli, che applicatisi con fervore e con successo alle scienze esatte, fisiche e meccaniche, sembrano essersi prefissi il nobile, il rilevantissimo scopo, di far ch’essa torni ad uguagliare, se non a superare, anche in tal ramo la Francia, l’America e l’Inghilterra.

In quanto a noi dichiariamo apertamente che ci gode l’animo d’incominciare il nostro cómpito dal descrivere la vita laboriosa e feconda di uno di tali uomini, vita, come lo si vedrà, fino a quest’oggi piena d’abnegazione e ricca di sacrifici, ma già gloriosa e proficua a colui che la vive, siccome al paese ond’esso trasse i suoi giorni.

Nato in Malgrate, sulle sponde del lago di Lecco, nell’aprile del 1827, da Rinaldo ed Angiola Caronni, l’Agudio va debitore ai nobili ed affettuosi sentimenti de’ suoi genitori dell’accuratissima educazione ch’egli ha ricevuta ne’ suoi anni giovanili, educazione di cui deesi saper tanto più merito a quel padre e a quella madre, in quanto che erano carchi di numerosissima prole.

Egli è vero che si seminava in ferace terreno, e ciò a segno, che, diciottenne appena, Tommaso veniva abilitato nella città di Como agl’insegnamenti liceali di matematica, fisica e meccanica, ai quali si dedicò per due anni, finchè, passato all’università di Pavia, vi ottenne nel 1852 uno de’ più splendidi diplomi di dottore negli studî d’ingegnere civile ed architetto.

Il fervido trasporto dell’Agudio per gli studî tecnici nol faceva però esser pago delle quasi teoriche nozioni acquistate, e lo determinava a portarsi alla celebre Scuola centrale d’arti e manifatture di Parigi, ove, nell’agosto del 1855, ei riceveva l’onorevole grado d’ingegnere metallurgico, chimico e costruttore.

Nell’uscire di là, fu impiegato ai lavori di costruzione della ferrovia tra Parigi e Moulhouse, e in guiderdone si ebbe la nomina a membro della Società degl’Ingegneri di Francia.

Intanto s’incominciavano ad agitare le gigantesche questioni delle strade ferrate attraverso le Alpi. L’Agudio non fu degli ultimi ad occuparsene con tutto l’ardore: e quale splendido frutto delle sue veglie e delle sue meditazioni esponeva in breve all’esame d’una commissione di distinti ingegneri un esteso lavoro circa il passaggio del Moncenisio, basato sopra un suo progetto di locomozione idraulica, idoneo a superare le più erte salite.

La commissione, a capo della quale era il Mary, ispettore generale dei ponti e strade, dichiarò il progetto attuabile, e incoraggiatolo a portarsi a Torino onde presentarlo al ministero piemontese, credette doverlo accompagnare con una commendatizia diretta allo stesso conte di Cavour.

Disgraziatamente per l’Agudio, il presidente del Consiglio e il ministro dei lavori pubblici d’allora, avendo già contratto un serio impegno con una Società d’ingegneri dello Stato pel traforo del Cenisio, non fecero grande accoglienza alla sua importante proposta, dimodochè il nostro giovine ed operoso ingegnere si trovò aver perduta la sua cospicua posizione in Francia ed aver sopportata un’ingente spesa negli studî del progetto, senza ritrarne altro compenso che quello di poche e sterili lodi.

Conscio però del merito del suo trovato di locomozione, e persuaso che se il Governo sardo non credeva doverlo adottare per l’accennato passaggio del Moncenisio, ne avrebbe per avventura riscontrala utile l’applicazione in altri casi equivalenti, con quella costanza, e diremmo quasi ostinatezza, ch’è propria dei distinti inventori, non solo non si scoraggiò, non solo non sospese i suoi lavori, ma anzi raddoppiò di sforzi onde pervenire a risolvere nel modo il più soddisfacente la complicata questione, che ora appunto vien messa innanzi dal ministro de’ lavori pubblici, circa il passaggio settentrionale delle Alpi, passaggio che dee porre in comunicazione la nostra rete di strade ferrate con le ferrovie della Svizzera, e con quella del lago di Costanza.

Nè si creda che gli studi dell’Agudio consistessero in semplici ispezioni praticate sulle carte geografiche: chè, ottenuta l’opportuna concessione dalla Dieta svizzera con patente del 16 maggio 1856, egli si portava, accompagnato da due altri ingegneri, sulla faccia dei luoghi, onde avvisare se esistesse possibilità di tracciare una via ferrata attraverso quelli elevatissimi gioghi, visitando passo a passo le Giulie, il Septimero, lo Spluga e il Lucomagno.

Resultato non tenue di tante fatiche e sì diligenti perlustrazioni si fu una memoria accuratamente elaborata dal nostro operoso ingegnere, e da esso diretta verso la fine del mese di novembre del 1859 al commendatore Bona, in cui consigliava si facesse passare la ferrovia attraverso il Lucomagno, provando esservi luogo a ritenere che in quella direzione la linea presentasse men grandi difficoltà d’eseguimento.

Stabiliva pure l’autore in quello scritto un confronto tra il suo progetto e quello presentato dal colonnello del genio svizzero Lanicca, e tendeva a dimostrare essere interesse del governo il prendere in seria considerazione il nuovo sistema di locomozione idraulica, mentre per esso rendevansi accessibili le forti salite con sicurezza delle persone ed economia d’esercizio, talchè la linea del Lucomagno avrebbe potuto riuscire economicamente praticabile, o in più chiari termini, avrebbe offerto alla Società intraprenditrice un equo interesse del capitale impiegato, senza esigere dalla parte del nostro governo e del municipio di Genova troppo gravosi dispendî.

Molti distinti personaggi, sì statisti che esteri, conoscono il sistema di locomozione dell’Agudio e lo approvano altamente. L’ingegnere Ruva, direttore del materiale delle ferrovie dello Stato, dettò su quello un favorevol rapporto, dietro il quale l’ex-ministro Bona, per mezzo del generale Cavalli, concesse in sul principio dell’anno scorso l’uso del piano inclinato di Dusino onde far del sistema l’esperimento su grande scala.

Lo scoppiar della guerra impedì l’operazione mentre già si stava per porvi mano, e fu deciso avesse a serbarsi a tempi più calmi; noi cogliamo la presente occasione per manifestar la speranza che il governo ricordi l’impegno da lui contratto verso l’Agudio, sembrandoci di tal natura da non dover certo venir trascurato.

Incapace l’Agudio di rimanersi un sol istante nell’ozio, e volendo pure che la sua abilità e i suoi servigi tornassero utili il più che per lui si poteva alla patria, nelle difficili contingenze in cui questa versava, si offrì a prestar opra gratuita come ingegnere meccanico nel regio arsenale, ed accettato dal governo in questa qualità, fu poscia nominato ingegnere applicato alla fonderia reale.

A questo incarico ha ultimamente rinunciato, quando il suo paese natale, Lecco, quasi ad unanimità di voti eleggevalo a deputato al Parlamento nazionale, dandogli così quella prova di fiducia e di stima che maggiore possano ad uomo porgere i propri concittadini.

L’ingegnere Tommaso Agudio appoggia alla Camera il ministero cui presiede il conte Camillo di Cavour.



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