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ATTO QUINTO
SCENA I.
Il campo britanno, vicino a Douvres.
Entrano a suon di tamburo e bandiere spiegate Edmondo, Regana, Uffiziali, gregarii, ed altri.
Edm. (ad un Uffiziale che poi esce) Ite dal duca, e dimandategli se persiste nel suo ottimo divisamento, o se ha mutato. Egli è un uomo incostante, e sempre in contraddizione con se stesso. Andate, e ritornate colla sua ferma risoluzione.
Reg. Lo sposo di nostra sorella è divenuto certo demente.
Edm. V’è luogo a temerlo, signora.
Reg. Dolce milord, voi già sapete la fortuna ch’io vi apparecchio; rispondetemi, ma schiettamente... con ingenuità... Amate mia sorella?
Edm. Di un amore onesto.
Reg. Ma occupaste mai il posto di mio fratello, dove vi era vietato?
Edm. Questo pensiero è strano.
Reg. Dubito che a lei non vi congiungeste tanto stretto da poterla dir vostra.
Edm. No, sull’onor mio, signora.
Reg. Nol patirei mai... Mio caro lord, non siate con essa tanto domestico.
Edm. Non temete... Ma eccola insieme col duca suo marito.
(entrano Albanìa, Gonerilla, e soldati)
Gon. (a parte) Vorrei piuttosto perder la battaglia, di quello che colei ci avesse a disunire.
Alb. Amata sorella, sono lieto di trovarvi... Signore, (a Edm.) ho saputo che il re è andato dall’altra sua figlia con molti valentuomini, a cui il rigore del nostro dominio era fatto odioso. Non mai io fai prode, quando non potei esserlo con onore. Questa guerra ci infiamma, perchè i Francesi hanno invaso i nostri Stati; ma non perchè la Francia sostiene la causa del re e di molte persone, che gravi motivi hanno certo mosse contro di noi.
Edm. Signore, parlaste nobilmente.
Reg. A che un tale discorso?
Gon. Uniamoci contro il nemico; le nostre private contese non entrino per nulla nella lotta di questo giorno.
Alb. Determiniamo cogli ufficiali più periti i nostri procedimenti.
Edm. Vi aspetterò alla vostra tenda.
Reg. Sorella, verrete con noi?
Gon. No.
Reg. Bene è però che veniate; prego vi, seguitene.
Gon. (a parte) Oh, oh! conosco l’enigma. — Ebbene verrò.
(mentre stanno per uscire entra Edgardo travestito)
Edg. Se mai Vostra Grazia degnossi di parlare con uomo sì miserabile, quale son io, udite una parola.
Alb. Ti udirò sino alla fine. Favella.
(escono Edm., Beg., Gon., Uff., greg. e seguito)
Edg. Prima di combattere, dissuggellate questo foglio. Se tornate vincitore, fate chiamare a suon di trombe quello che ve lo ha dato; e, malgrado questo esteriore di miseria, posso produrre un campione che sosterrà quello che è detto nella lettera. Se siete vinto, allora tutto è finito per voi nel mondo, e cessa ogni trama. Vi sia propizia la fortuna!
Alb. Fermati finchè abbia letta questa lettera.
Edg. No, mi fu inibito. Allorchè il momento favorevole sia giunto, alla prima chiamata dell’araldo ricomparirò.
Alb. Così sia; addio. Leggerò il tuo scritto.
(Edgardo esce; entra Edmondo)
Edm. Il nemico ci è sopra; ordinate le vostre schiere. Ad onta della vigilanza delle nostre scolte, riesce difficile indovinarne il numero e le forze. A voi spetta ora, duca, di affrettare il soccorso di cui abbisogniamo.
Alb. Ci appresteremo all’evento. (esce)
Edm. Giurai ad entrambe le sorelle che io le amava; gelose ora sono, e s’odiano dell’odio che l’uomo porta al serpente che l’ha ferito. Quale delle due prenderò? entrambe? una di esse? niuna? Finchè tutte e due vivranno, nessuna ne potrò possedere. Appigliandomi alla libera, irriterei Gonerilla sino al furore; e sosterrei arduamente le mie parti finchè suo marito respira. — Valiamoci intanto del di lui aiuto nella battaglia; e poscia se colei vorrà privarsi dello sposo trovi i mezzi di farlo. Quanto al decreto che la pietà di Albania ha emanato per Lear e Cordelia, una volta vinta la battaglia e fatto arbitro di loro, non mai essi godranno della sua clemenza. — L’interesse mio è di difendermi, non di gridare. (esce)
SCENA II.
Una landa fra i due accampamenti.
Allarme. Entrano a suon di tamburo e a bandiere spiegate Lear, Cordelia, e l’esercito loro; quindi escono: s’avanzano poscia Edgardo e Glocester.
Edg. Qui, padre, riposatevi all’ombra di questo albero; pregate il Cielo perchè l’esercito, che difende il giusto, trionfi. Se mi è dato di tornare accanto a voi, vi recherò novelle consolatrici.
Gloc. Ti benedica il Cielo, signore! (Edg. esce; allarme; poi suonasi a raccolta; rientra Edg.)
Edg. Fuggi, buon vecchio; dammi la mano; fuggiamo. Il re Lear ha perduto la battaglia; è prigioniero insieme con sua figlia. Dammi la mano; fuggiamo.
Gloc. Non andiam più lungi, signore; si può morire anche qui.
Edg. Di nuovo così tristi pensieri? Convien che l’uomo si rassegni ad uscir di questo mondo com’ei v’entrò. L’esservi apparecchiato è tutto. Andiamo.
Gloc. Bene parli. (escono)
SCENA III.
L’accampamento britanno vicino a Douvres.
Entrano trionfanti a suon di tamburi e vessilli spiegati Edmondo, Uffiziali e gregari. Lear e Cordelia li seguono prigionieri.
Edm. Qualcuno di voi (agli Uff.) li riconduca; s’abbia cura di loro, finchè quelli a cui s’addice di giudicarli abbiano profferita la loro sentenza.
Cord. I primi noi non siamo, che colle intenzioni più pure, volendo ben fare, caddero in gravi infortunio re perseguitato dalla sventura, la sola vostra sorte m’affligge; senza di voi disprezzerei intrepida tutti i furori della sorte iniqua. Non vedrem noi, voi le vostre figlie, io le mie sorelle?
Lear. No, no, no, no! Vieni; andiamo nella nostra prigione: vi canteremo entrambi come gli uccelli prigionieri nella loro gabbia. Quando mi chiederai la mia benedizione, io ti dimanderò perdono inginocchiato; vivremo così insieme, pregando il Cielo e cantando; allevieremo le ore nostre raccontandoci vecchie istorie, e sollazzandoci come farfalle dorate. Allora udiremo poveri pezzenti narrar novelle di corti, e parlerem di politica con loro, intrattenendoci di quegli che vince, di quei che perde; di chi sale blandito dalla fortuna, e di chi scende perchè da lei maledetto; ci compiaceremo allora nelle esplicazioni delle materie più ardue, come se rivelatori fossimo delle opere degli Dei. Chiusi fra i muri della nostra prigione, vedremo i sistemi e le sette dei grandi filosofi passare e incalzarsi l’uno coll’altro, come le onde sospinte dall’influenza della luna.
Edm. Sian tratti lungi di qui.
Lear. Mia Cordelia, gli Dei stessi spargono incensi pel sagrifizio di tali vittime. Sono io con te? Ah! se qualcuno tentasse dividerci, converrà che porti dal cielo un tizzo ardente per incenerirne. Asciuga i tuoi occhi, mia figlia; la peste corroderà tutti costoro, prima che ne facciano versare una lagrima; perir di fame in prima li vedremo: vieni.
(escono Lear e Cordelia, scortati dalle guardie)
Edm. Fatti in qua, capitano; ascolta, (ad un Uff.) Prendi questo foglio (dandogli una carta), e seguili nella prigione. Di un grado io t’ho innalzato; e se fai quanto è qui scritto, salirai in breve al colmo delle fortune. Sai tu che gli uomini sono quali il tempo li richiede? La pietà non si addice ad un soldato; la gran cura che ti commetto non avrà responsabilità alcuna. O giura di compierla o cerca altre vie per prosperare.
Uff. La compierò, milord.
Edm. Va dunque, e reputati felice, eseguita che tu l’abbi. Me ne farai cenno per lettera. Pensaci, è nel momento e segui con fedeltà quello che troverai qui dettato.
Uff. Se è cosa da uomo, io la compirò. (esce; suono di trombe; entrano Albanìa, Gonerilla, Regana, Uffiziali e seguito)
Alb. Signore, voi mostraste oggi la vostra intrepidezza, e la fortuna guidò i vostri passi alla vittoria. Prigionieri tenete quelli che vi si opponevano, e ve li chieggo per dispor di loro come lo imporrà la nostra sicurezza, e la sorte che ad essi è dovuta.
Edm. Signore, stimai opportuno d’inviare quel vecchio e miserabile re in una prigione. L’età sua, e più ancora il nome, hanno bastante autorità onde attirarsi gli affetti del popolo, ed eccitarlo a rivolgere contro di noi quelle armi che lo costringemmo a brandire per nostra difesa. Ho mandata la regina con lui, indottovi dagli stessi argomenti. Dimani, o fra alcuni giorni, saran pronti a venirne dinanzi nel luogo ove adunerete il vostro Consiglio. Per ora siamo inondati di sudore e di sangue. L’amico ha perduto l’amico, e le più giuste guerre son maledette da coloro che ne subiscono le calamità. Il processo di Cordelia e di suo padre richiede, per essere ben condotto, luogo e tempo migliore.
Alb. Signore, col consenso vostro, io non vi considero che come un ufficiale in questa guerra, non come un fratello.
Reg. Ebbene, è di questo titolo che a me piace onorarlo. Parmi che prima d’andar sì lungi, s’avesse dovuto chiedere la nostra sentenza. Ei guidò le nostre armi, fu rivestito della mia autorità; ei qui mi rappresenta; e quest’onore è abbastanza grande, perchè possa ambire al titolo di vostro fratello.
Gon. Nol caldeggiate tanto; è per merito suo che s’innalza, non pei vostri favori.
Reg. Investito de’ miei diritti, egli può incedere al pari del più illustre di questo esercito.
Gon. Questo accadrebbe appena se divenisse vostro sposo.
Reg. Uno scherno ha sovente in sè onore di profezia.
Gon. Oh, oh! l’occhio che vi mostrava tale avvenire vedeva losco.
Reg. Madonna, io non istò bene; altrimenti vi risponderei con tutto lo sdegno di cui il mio cuore trabocca. Generale, (a Edm.) prendi i miei soldati, i prigionieri, l’intero mio Stato, e disponi di me, che tutto è tuo. Attesto l’universo, che fin da questo istante io ti dichiaro mio sposo e mio signore.
'Gon. Intendereste goder di lui?
Alb. La concessione non risguarderà il vostro buon volere.
(a Gonerilla)
Edm. Nè il vostro, milord.
Alb. Sì, figlio illegittimo.
Reg. Il tamburo suoni, e tu annunzia i miei titoli.
(a Edmondo)
Alb. Aspettate, uditemi. — Edmondo, io t’arresto qui per delitto d’alto tradimento, e insieme con te questo serpe dorato (indicando Gon.) Quanto alle pretese vostre, vaga sorella (a Reg.), mi vi oppongo per far piacere alla mia sposa, che è segretamente avvinta con questo gentiluomo. Se avete talento d’accoppiarvi, amoreggiate con me, nè intendete alla rottura di nodi già stretti.
Gon. Follie!
Alb. Tu sei armato, Glocester; suoni dunque la tromba: e se alcuno non si presenterà per provare che sei un abbominevole traditore, eccoti il mio guanto. Prima di più cibarmi con una sola vivanda, io vuo’ chiarire, trafiggendoti il cuore, che sei quello che ho detto.
Reg. Oimè, mi sento male!
Gon. (a parte) Se ciò non fosse, non crederei mai più ai veleni.
Edm. Ecco il mio guanto per risponderti. Chiunque è nel mondo che osa chiamarmi traditore, è un menzognero, un vile scellerato. Invita i tuoi araldi; e contro chi s’avanzerà, e contro te, e contro ogni altro, sosterrò il mio onore e la mia fede.
Alb. Un araldo, olà!
Edm. Un araldo, un araldo!
Alb. Non far assegnamento che sul tuo valore; imperocchè tutti i tuoi soldati arruolati a mio nome hanno da me ricevuto il loro congedo.
Reg. Il mio male aumenta. (entra un araldo)
Alb. Ella non istà bene; guidatela nella mia tenda (Reg. esce) Avvicinati, araldo; fa che suoni la tromba, e leggi ad alta voce questo scritto.
Ar. Squilli la tromba, (un trombetto suona, e l’araldo legge)
Se è nell’esercito alcuno di condizione e grado dicevole, il quale sostener voglia che Edmondo, sè dicente conte di Glocester, è un traditore, si mostri al terzo squillo della tromba. Edmondo di pie fermo lo aspetta.
Edm. Suona. (primo squillo)
Ar. Ancora. (secondo squillo)
Alb. Un’ultima volta. (terzo squillo) (una tromba dal di dentro risponde, ed entra Edgardo armato, e preceduto da un trombetto)
Alb. Chiedigli (all’araldo) che intenda col mostrarsi dietro tale chiamata.
Ar. Chi siete? qual nome, qual condizione è la vostra? Perchè rispondeste all’appello?
Edg. Sappi che il mio nome è perduto; il morso avido e furibondo del tradimento me l’ha divorato. Nullameno sono mobile come l’avversario con cui vengo a combattere.
Alb. Qual è il tuo avversario?
Edg'. Chi risponde qui per Edmondo conte di Glocester?
Edm. Egli stesso. Che hai tu a dirgli?
Edg. Snuda la spada; e se il mio linguaggio offende un nobile cuore, il braccio tuo potrà farti giustizia. Ecco la mia spada ignuda. Odi ora quali sono i privilegi del mio grado, de’ miei giuramenti, e della mia professione. Dichiaro, in onta della tua spada vittoriosa, in onta della tua nuova grandezza e del coraggio tuo, che altro non sei che un abbominevole traditore, spergiuro verso gli Dei, verso tuo fratello, verso tuo padre, cospiratore contro la vita di questo illustre principe. Te lo ridico e lo giuro: dalla cima del tuo capo fino a’ piedi tuoi, fino alla polvere che calpestano i tuoi piedi, altro non sei che un tenebroso e vile traditore. Se negarlo osi, la mia spada e il mio braccio ti proveranno che da vile menti.
Edm. Saviamente adoprando, dovrei chiederti il tuo nome; ma poichè il tuo esteriore e il tuo sguardo guerriero sembrano indicare illustri natali, disprezzerò ogni formola che potesse prescrivere la mia sicurezza o le leggi della cavalleria, e rigetterò sul tuo capo l’infame nota che mi hai apposta. Il tuo sangue versata dalla mia spada espierà la tua menzogna infernale. Già i nostri ferri scintillano, e lievemente si sfiorano... Suonate, trombe.
(allarme; combattono, e Edmondo cade)
Alb. (a Gon.) Ora salvalo! salvalo!
Gon. Iniqua trama è questa. Glocester, colle leggi di guerra tu non eri tenuto a rispondere ad un avversario ignoto: vinto non sei; solo schernito e ingannato.
Alb. Tacete, madonna, o con questo foglio vi chiuderò la bocca... — Osservate, signore... Tu, la più malvagia delle femmine, leggi le tue colpe... Non lacerarlo: veggo bene che lo riconosci. (dando il foglio a Edmondo)
Gon. Quand’anche ciò fosse, le leggi stanno in mio favore, non in tuo. Chi ha diritto d’accusarmi?
Alb. Mostro spietato! conosci tu quel foglio?
Gon. Non mi chiedete quel ch’io conosca. (esce)
Alb. Seguitela; ell’è disperata; vegliate su di lei.
(ad un uffiziale, che le va dietro)
Edm. Tutto che m’avete imputato, io l’ho commesso; e molta anche di più. — Il tempo svelerà ogni arcano... Cose, com’io, passate sono... Ma chi sei tu, cui fortuna concesse su di me la vittoria? Se sei un nobile, io ti perdono.
Edg. Vuo’ esserti pietoso. Il mio sangue non è meno illustro del tuo, Edmondo; e se di più lo è, di più tu m’oltraggiasti. Il mio nome è Edgardo, e tuo padre mi diè la vita. Gli Dei sono giusti, e fanno delle colpe, che ne son care, il nostro castigo: il delitto tenebroso che ti mise in luce, costò gli occhi allo sfortunato che lo compiè.
Edm. Hai detto il vero; me ne avveggo: la ruota della fortuna ha terminato il suo corso, ed io son qui.
Alb. Ravvisato io ben avea nel tuo portamento (a Edg.) una nobiltà regia. Vieni fra le mie braccia. Possa la disperazione dilaniarmi ogni fibra, se mai odiai te o il padre tuo.
Edg. Degno principe, lo credo.
Alb. Dove rimanesti nascosto? come fosti istruito delle sventure di tuo padre?
Edg. Sovvenendole, signore. — Udite un breve racconto; e finito ch’io l’abbia, oh possa il mio cuore spezzarsi! — Per sottrarmi alla sanguinosa proscrizione che minacciava i miei dì (l’amore della vita è egli possibile che duri perenne anche fra gli spasimi di morte?) mi travestii coi cenci del mendico, e mi mostrai sotto l’esterno più abbietto. Così cangiato trovai mio padre, le cui ferite sanguinavano ancora; le adorate pupille del quale erano state barbaramente strappate. Divenni sua guida: accattai per lui di tugurio in tugurio la vita; e tanto feci, che lo salvai dalla disperazione. Non mai, so che era male, non mai mi diedi a conoscere a lui durante il nostro pellegrinaggio; e solo un’ora fa, allorchè m’accingeva a combattere, fidente di vittoria, gli rivelai il mio nome e i disagi patiti, e lo richiesi della sua benedizione. Oimè! il suo cuore era troppo debole per sopportare la lotta potente del dolore e della gioia. Inetto a sostenere più a lungo l’urto di due tremende passioni, il suo cuore s’è franto mentre i suoi labbri sorridevano ancora.
Edm. Il vostro racconto m’ha commosso, e forse riuscirà a bene. Parlate; vi resta altro da dire?
Alb. Se cose più dolorose delle già esposte ti rimangono a rivelarci, desisti; quelle che già intesi m’hanno intenerito anche troppo.
Edg. Dissi quanto bastava perchè mi si credesse al colmo dei mali, ma v’hanno creature che si compiaciono dei dolori altrui, che di sventure non sono mai satolle, e bramano udirne finchè l’occhio loro spazi nell’abisso delle umane avversità. — Dando sfogo al mio dolore con grida feroci, sopravvenne un uomo che m’avea visto un tempo nel mio stato di miseria e d’obbrobrio, e sfuggiva il mio odioso consorzio: ma riconoscendo chi era quegli che sopportato aveva tanti flagelli, si slanciò al mio collo, mi strinse fra le braccia, e alzando urli da squarciare le vòlte dei cieli, baciò il cadavere di mio padre, rammentandomi di sè e di Lear la più dolorosa istoria che mai ferisse orecchio mortale. L’angoscia sua cresceva tanto coll’inoltrar del racconto, che tutte le molle di sua vita pareano in procinto di rompersi. In quel punto la tromba per la seconda volta squillò, e io l’abbandonai in uno stato meno di vita, che di morte.
Alb. Ma chi era egli?
Edg. Kent, signore, il proscritto Kent, che travestito seguiva il re suo nemico, e lo serviva in uffici che avrebbero invilito uno schiavo. (entra precipitosamente un gentiluomo con un pugnale insanguinato in mano)
Gent. Soccorso, soccorso, soccorso!
Edg. A chi!
Alb. Favella.
Edg. Che significa quel sanguinoso pugnale?
Gent. È ancor fumante... e si tuffò nel cuore...
Alb. Di chi? favella.
Gent. Della donna vostra, signore, della vostra donna, che rivelò d’aver avvelenata la propria sorella.
Edm. Fidanzato io m’era con entrambe: tutti e tre saremo sposi fra brevi istanti.
Alb. Recane i loro corpi, siano vive o morte. Questo giudicio del Cielo ne fa tremare, senza svegliare in noi sensi di pietà.
(esce il Gent.)
Edg. S’avanza Kent, signore. (Kent entra)
Alb. Oh! eccolo, ma le circostanze non consentono le formole d’uso.
Kent. Signore, venni per dare al re il mio ultimo addio. Non è egli qui?
Alb. La cosa più grave fu da noi obbliata!... Parla, Edmondo, dov’è il re? dove Cordelia?... Vedi quel feretro, Kent?... (i corpi di Gonerilla e di Regana sono portati in scena)
Kent. Oimè! perchè questo?
Edm. Perchè Edmondo era amato... e per amor mio l’una avvelenò l’altra... poscia si uccise.
Alb. Egli dice il vero... Coprite i loro volti.
Edm. La vita mi fugge... in onta della mia natura vuo’ far opera buona... Affrettatevi... spedite... non perdete un istante; volate al castello... un mio scritto condanna a morte Lear e Cordelia... mandate in tempo...
Alb. Corri, corri, oh corri!...
Edg. Da chi, milord?... chi n’ebbe l’incarico? Danne un segno che riprovi...
Edm. Prendi la mia spada... mostrala al capitano...
Alb. Affrettati, per la via tua. (Edg. esce)
Edm. Egli ebbe comando da me e dalla tua sposa di soffocare Cordelia nel carcere, e di versare il biasimo della sua morte sulla di lei disperazione.
Alb. Oh gli Dei la proteggano! Trasportatelo lungi di qui. (Edmondo è portato altrove; entrano Lear, recante Cordelia morta fra le braccia, Edgardo, Uffiziali ed altri)
Lear. Gemi, gemi, gemi, gemi!... Oh! voi siete uomini di pietra. Avessi io le vostre lingue e gli occhi vostri, e vorrei usarne per guisa da far sostare nel loro corso le stelle... Oimè! per sempre, per sempre se ne andò!... Ben discerno allorchè uno è vivo da quando è morto.... ed ella è morta come la terra... Datemi uno specchio: se l’alito di lei lo offusca, ella vive ancora.
Kent. È questo il termine che ci eravamo promesso!
Edg. Questo è il vagheggiato nostro avvenire?
Alb. (a Lear.) Ah! cadi e muori!
Lear. (mettendo una piuma accanto alle labbra di Cordelia) Questa piuma si muove; ella vive!!!... Ah! se ciò è, tale avvenimento redime tutti i miei dolori passati.
Kent. (inginocchiandosi) Oh mio buon re!
Lear. Pregoti, allontanati.
Edg. Egli è il nobile Kent, l’amico vostro.
Lear. Disonore a voi, omicidi, traditori tutti! Avrei potuto salvarla; ora ella è andata per sempre! Cordelia, Cordelia, indugia un poco... Oimè! che è quel che tu dici?... La voce sua era sì tenera, sì dolce, sì affettuosa! ogni gentil dote di donna ella possedeva... Io trucidai lo schiavo che ti strozzò.
Uff. È vero, signori; così fece.
Lear. Non dissi il vero, amico? E il giorno ho visto, in cui tutti li avrei fatti cadere sotto la mia buona spada... Ora son vecchio, e questi mali mi hanno fiaccato. — Chi siete voi? I miei occhi non sono dei migliori; vel confesserò candidamente.
Kent. Se la fortuna si vanta per avere amato o odiato due uomini, noi veggiamo entrambi uno di quelli.
Lear. Dolorosa vista! Non siete Kent?
Kent. Kent sono, il servo vostro; ma l’altro vostro servo, Caio, dov’è?
Lear. È un buon compagno, posso assicurarvene: sapeva menare, e prontamente, le mani... Ora è cadavere già putrido.
Kent. No, mio buon sire; io sono quell’uomo...
Lear. Che ti vegga più davvicino.
Kent. E dal primo vostro decadimento, sempre seguii i vostri tristi passi...
Lear. Qui siete il benvenuto.
Kent. Più alcuno non lo è..... tutto è sconforto e dolore..... Le vostre figlie più adulte fecersi giustizia da se stesse, e sono morte disperatamente.
Lear. Sì, così credo.
Alb. Ei non sa quel che dica; vano è che gli stiamo dinnanzi.
Edg. Interamente vano. (entra un ufficiale)
Uff. Edmondo è morto, milord.
Alb. Avvenimento che non è ora di alcun conto. — Voi lordi e nobili amici, udite i nostri propositi. Tutto che far potremo per alleviare tante feroci sventure, non sarà da noi obbliato; finchè questo canuto avrà vita, in lui solo sarà posto l’assoluto potere. A voi, Edgardo, io rendo tutti i vostri diritti, e vi aggiungerò quelle grazie e quei nuovi onori che avete meritati. Tutti i vostri amici otterran guiderdone alle loro virtù, e i nostri nemici beveran l’amaro calice dovuto alla malvagità loro... Oh vista! oh vista!
Lear. E il mio povero pazzo ancora fu strozzato? No, no, non più vita... Un cane, un cavallo, un topo vivrà; e tu non avrai più alito? Oh! non più tu vivrai, mai più, mai più, mai più, mai più!... (baciando Cordelia) Vi prego, sciogliete il nodo... Grazie, signore... La vedete voi? (accennando Cordelia) Guardatela... guardate... le sue labbra... guardate là, là!... (muore)
Edg. Ei manca!... milord...
Kent. Spezzati, cuore; te ne prego, spezzati.
Edg. Signore, aprite gli occhi.
Kent. Non fastidite l’ombra sua... lasciatelo morire!... Egli abbonirebbe colui che volesse rattenerlo di più fra le torture di questo mondo doloroso.
Edg. Oh! è spento infatti!
Kent. Fu meraviglia che soffrisse per tanto tempo. Egli usurpava soltanto ora la vita.
Alb. Toglieteli di qui. — La sventura comune chiede i pensieri nostri. Amici dell’anima mia, (a Edg. e a Kent) assumete le cure di questo reame, e tergete il sangue che arrossò questa terra.
Kent. Debbo fare un viaggio fra poco, signore. Il mio re mi chiama, nè mi si addice il rifiutare di seguirlo.
Alb. È d’uopo rassegnarsi alle sventure di questi orribili tempi. Diciamo quel che sentiamo, non quel che dovremmo dire. Il più vecchio che qui stava, patì più di tutti; e noi, che giovani gli sopravvivemmo, non vedrem mai tanti mali, nè tanti giorni. (escono al suono di marcia funebre)
fine della tragedia.