< Il Saggiatore (Favaro)
Questo testo è incompleto.
Capitolo XXVI
25 27



- 26 -

Or sentiamo l’argomento sesto. "Sed placet ex ipsius etiam Galilæi verbis hoc idem confirmare. Ait enim ipse, quod etiam fortasse verissimum est, spectra huiusmodi et vana simulacra eam in parallaxi legem servare, quam servat luminosum illud corpus a quo proveniunt; ita, si qua illorum Lunæ effecta fuerint, hæc parem cum Luna parallaxim pati; quæ vero a Sole fiunt, eamdem cum Sole aspectus diversitatem sortiri. Præterea, dum adversus Aristotelem disputat et argumentum ex parallaxi ductum assumit, hæc habet: "Denique cometam ignem esse, ac sublunarem asserere, omnino impossibile est; cum obstet parallaxis exiguitas, tot insignium astronomorum solertissima inquisitione observata." Ex quibus ita rem conficio. Auctore Galilæo, quæcumque mere apparentia a Sole producuntur, illam eamdem patiuntur parallaxim quam patitur Sol; sed cometa non passus est eamdem parallaxim quam Sol patitur: ergo cometa non est apparens quid a Sole productum. Si quis autem de minori huius argumenti propositione ambigat, Tychonis observationes cum observationibus aliorum conferat, dum agunt de cometa anni 1577: ipse certe Tycho ex suis observationibus illud tandem deducit, demonstratam nimirum distantiam cometæ a centro Terræ die 13 Novembris fuisse semidiametrorum eiusdem Terræ 211 tantum, cum Sol ab eodem centro ponatur distare semidiametris saltem 1150, Luna vero semidiametris 60. De hoc vero nostro, si quis eas observationes inter se contulerit quas in Disputatione ab uno ex Patribus habita edidit in lucem Magister meus, satis illi inde constabit huius propositionis veritas; nam fere semper longe maiorem cometæ parallaxim inveniet, quam Solis. Neque observationes huiusmodi Galilæo suspectæ esse nunc possunt, cum easdem summorum astronomorum opera exquisitissime ad astronomiæ calculos castigatas testatus sit."

Che il signor Mario ed io abbiamo mai scritto o detto che i simulacri prodotti dal Sole ritengano la medesima paralasse che quello (come il Sarsi in questo luogo afferma per fondamento del suo sillogismo), è del tutto falso; anzi il signor Mario, dopo aver nominati e considerati molti di tali simulacri, soggiugne così: "E avvenga che de’ sopranominati simulacri in alcuni la paralasse sia nulla, ed in altri operi molto diversamente da quello ch’ella fa negli oggetti reali." Non si trova nella scrittura del signor Mario ch’egli affermi, la paralasse esser l’istessa che quella del Sole o della Luna, se non nell’alone; negli altri, ed anco nell’istessa iride, vien posta diversa. Falsa dunque è la prima proposizion del sillogismo. Or veggiamo quanto sia vera la seconda e quanto concludente, posto anco che la paralasse di tutti i simulacri vani dovesse essere eguale a quella del Sole.

Vuole il Sarsi, e coll’autorità di Ticone e con quella del suo Maestro, provare (e così è in obligo di fare) che la paralasse osservata nelle comete sia maggiore di quella del Sole: ma si astiene poi di produrre l’osservazioni particolari di Ticone e di molti altri astronomi di nome, fatte circa la paralasse della cometa; e ciò fa egli perché il lettore non vegga come quelle sono tra di loro differentissime. E qualunque elle si sieno, o sono giuste, o sono errate: se giuste, sì che a loro si debba prestare intera fede, bisogna necessariamente concludere, o che la medesima cometa fusse nell’istesso tempo e sotto il Sole e sopra ed anco nel firmamento, o vero che, per non essere ella un oggetto fisso e reale, ma vago e vano, non soggiace alle leggi dei fissi e reali: ma se tali osservazioni sono errate, mancano d’autorità, né per esse si può determinar cosa veruna; e l’istesso Ticone tra tante diversità andò eleggendo, come se fussero più certe, quelle che più servivano alla sua determinazione fatta innanzi, di voler assegnar luogo alla cometa tra il Sole e Venere. Quanto poi all’altre osservazioni prodotte dal suo Maestro, sono tanto fra sé differenti, ch’egli medesimo le determina inette a potere stabilire il luogo della cometa, dicendo quelle esser state fatte con istrumenti non esatti e senza la necessaria considerazion dell’ore e della refrazzione e d’altre circostanze; per lo che egli stesso non obliga altrui a prestargli molta fede, ma si riduce ad una sola osservazione, la quale, non ricercando strumento alcuno, ma potendo colla semplice vista farsi esattissimamente, egli l’antepone a tutte l’altre: e questa fu la puntual congiunzione del capo della cometa con una stella fissa, la qual congiunzione fu vista nel medesimo tempo da luoghi tra di sé molto distanti. Ma, signor Sarsi, se così è seguito, questo è del tutto contrario al bisogno vostro, poi che di qui si raccoglie, la paralasse essere stata nulla, mentre che voi producete questa autorità per confermar la vostra proposizione, che dice tal paralasse esser maggiore che quella del Sole. Or vedete come gli stessi autori chiamati da voi testificano contro alla causa vostra.

A quello poi che voi dite, che noi stessi abbiamo confessato, l’osservazioni degli astronomi grandi essere state fatte esattissimamente, vi rispondo che se voi meglio considererete il dove e ’l quando sono state chiamate tali, comprenderete che esatte si potevano dire quando elle fussero state anco assai più differenti tra loro di quello che state sono. Furon chiamate esatte e sufficienti a confutar l’opinione di Aristotile, mentr’egli voleva che la cometa fusse oggetto reale e vicinissimo alla Terra. E non sapete che il vostro Maestro stesso dimostra che il solo intervallo tra Roma ed Anversa in un oggetto reale che fusse anco sopra la suprema region dell’aria, può cagionar paralasse maggiore di 50, di 60, di 100 ed anco di 140 gradi? E se questo è, non si potranno elleno chiamar osservazioni esatte e potenti quelle che, essendo tutte minori d’un grado solo, differiscono tra di loro di pochi minuti?

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.